sabato 30 dicembre 2006

Psicologia epocale e necessità di una crescita umanistica

La psicologia vive nella mente e tra le menti degli esseri umani, la psicologia è presente in tutto ciò che facciamo, nell'intimità della nostra immaginazione e dei nostri pensieri come nella comunicazione con i nostri simili. In ogni forma di esperienza in cui siamo protagonisti o testimoni entrano in azione processi psicologici. La psicologia, in questo senso, si coniuga con la cultura di una società ed è presente nelle forme artistiche che esprimono le visioni del mondo di quella società. D'altra parte, la psicologia, in quanto disciplina complessa e variamente articolata e che è genuinamente interessata alle varie forme di funzionamento della psiche e alle situazioni di contesto in cui essa si esprime, non può che prendere atto dei cambiamenti socioculturali di un' epoca e tentare di comprendere, dal proprio punto di vista e con l'aiuto anche di altre discipline, il mondo in cui viviamo, le espressioni di ben-essere e di mal-essere che attraversano le esistenze di ognuno.
Il nostro è diventato un mondo globale e multiculturale che chiede rispetto per le differenze individuali e culturali e allo stesso tempo desidera una solidarietà che non sia inquinata da ipocrisie di potere, affinché tutti gli esseri umani possano sentirsi parte della società in cui vivono, senza alcuna discriminazione. Credo che, in questo senso, il cammino sia lungo, e che siamo ancora molto indietro dal punto di vista della crescita umanistica rispetto agli sviluppi che si sono avuti nel campo scientifico e tecnologico. Avremo modo, in questa sede, anche prendendo in considerazione il pensiero di alcuni studiosi, di riflettere su come ognuno di noi possa fare molto per dare un contributo innanzitutto a se stessi, e poi agli altri, per favorire una crescita umanistica, ridurre la violenza che è presente nella nostra società e favorire la costruzione di una convivenza genuinamente civile.
Diversi studiosi osservano che la vita in se stessa obbedisce solo all'istinto di sopravvivenza, e nient'altro. Questo punto di vista potrebbe legittimare facilmente il suicidio, se le motivazioni legate alle risorse personali venissero meno e non si trovasse più nel vivere piacere, gratificazione, bellezza. Tuttavia, non è questo il nostro punto di vista. Anche se la vita obbedisce a se stessa come volontà di essere presente nel mondo, una volta che nel mondo si è stati gettati, l'individuo trova nella trama di relazioni interpersonali e nella sua collocazione sociale delle ragioni per giustificare il suo esserci. La persona esiste però in quanto tale e ha un valore esistenziale. E' nell'essere soggetto che la persona ricerca il suo senso-della-vita, per cui possiamo affermare che non ci interessa tanto un 'senso oggettivo' o 'scientifico', che in realtà umilierebbe la nostra presenza nel mondo, come si uccide un fiore in primavera quando lo si strappa dalla terra e gli si tirano i petali. Il senso-della-vita è una ricerca personale, perché in realtà noi desideriamo costruire, in senso artistico e filosofico, come del resto è l'estetica della vita, le ragioni che ci motivano ad essere ancora vivi. Quando ci chiediamo cos'è il tempo?, ha osservato un filosofo del Novecento, sbagliamo il modo come formuliamo tale domanda. In realtà, secondo lui, la domanda corretta sarebbe chi è il tempo?, e la risposta non potrebbe che essere il tempo sono io che vivo per quanto mi è concesso. Dunque, il tempo non è solo quello convenzionale segnato dall'orologio, 'oggettivo', o pressapoco 'oggettivo', o 'intersoggettivo'. La questione del senso-della-vita diventa, allora, anche quella che è rivelata dalle seguenti domande: quale valore autentico dò all'esistenza?, il tempo che io sono lo 'utlizzo' in un modo che soddisfa il mio sentire più profondo o lo sperpero nella banalità del quotidiano?, nella società dei consumi di oggi, come vivo la mia esistenza?, gli altri che posto hanno nella mia vita?, che posto ho io nella vita degli altri? Ognuno di noi può tentare di dare una risposta a queste domande esistenziali. E' nella nostra 'natura' di individui cultural-simbolici e nel sentiero della personale individuazione che desideriamo realizzare la sostanziale unicità che ci differenzia nella nostra essenza, oltre a desiderare di sentirci parte di una comunità di individui che si rispettano e si riconoscono attraverso relazioni costruttive e favorevoli in senso etico e psicologico.
Nella nostra società individualistica, ego-orientata, narcisistica, consumistica, competitiva in senso distruttivo, anti-etica, è difficile trovare spazio per un'alternativa, anche perché la filosofia del più forte che si impone sul più debole e la psicologia della violenza relazionale che fanno da sfondo alla mentalità dominante impongono di trattare l'altro con prepotenza, arroganza, giochi di potere, un uso consumistico delle relazioni umane che vengono concepite secondo la modalità 'usa e getta', come si fa con le lattine di Coca Cola quando ormai sono vuote. La gentilezza è ormai interpretata, in maniera distorta, come una 'debolezza', e non come una qualità civile che sta alla base delle buone relazioni, se rispecchia un sentire interiore autentico. La barbarie, del resto, non è solo fuori di noi, ma anche dentro di noi, il cattivo non è solo l'altro ma anche noi stessi, per cui, se non vogliamo cadere in un facile moralismo da quattro soldi, dobbiamo riflettere onestamente su come siamo noi stessi in senso psicologico.
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