INDICE DEI PARAGRAFI
- Sul senso di perfezione e sul perfezionismo
- Illusione, delusione, falsa illusione
- Accettazione di sé e migliorabilità
- L'arte come immaginazione materializzata
- Perfezione, perfezionismo e senso religioso latente
- Immaginazione tra sentirsi perfetti o imperfetti
- Le anoressiche
- Sugli aspetti favorevoli del 'senso di perfezione' per il singolo individuo medio delle realtà urbane occidentali
- Riferimenti bibliografici
La ricerca della perfezione è una forma di suicidio.
Paul Valéry, 1973, tr. it. Quaderni. Volume primo, Milano Adelphi, seconda ed. 1990, p. 405.
Sul senso di perfezione e sul perfezionismo
Nel film A Beautiful Mind (2001), Russell Crowe interpreta il personaggio di un giovane matematico di genio, John Nash, che vive nel suo mondo di numeri e teoremi complessi da risolvere. A tal fine, egli spesso si concentra sui calcoli e i passaggi matematici, trascurando il mondo circostante e le persone che conosce e che possono trovarsi a pochi metri da lui, in uno spazio favorevole all'interazione, come la camera da letto del college. In questo caso, gli altri passano in secondo piano, nello sfondo, anche se tentano di comunicare con lui. John invece, in quei momenti di totale concentrazione nel suo mondo matematico, è come se fosse 'altrove'. Il suo corpo si trova, per esempio, in quella camera da letto del college, ma la sua mente non è più nel 'qui e ora' condiviso dagli altri astanti, proprio perché è attiva da un'altra parte che però si trova in una dimensione trascendente.
Questo ritiro necessario di John nel suo mondo comporta un modo di vivere particolare che potremmo considerare schizoide, mentre la concentrazione mentale sui numeri, nel corso del tempo, comporta una modalità ossessiva. Il matematico è come se operasse una sorta di trascedenza spazio-temporale e sociale, per approdare in una dimensione atemporale in cui si svolge la fenomenologia dei suoi passaggi logico-matematici. E' come se si soffermasse in uno spazio transizionale, come direbbe W.D. Winnicott, tra dentro e fuori di sé e dove il tempo si è sospeso. Gli altri, in quei momenti di grazia geniale, sono messi tra parentesi come in una epoché fenomenologica. Dopodiché, uscito da questi momenti di 'misticismo logico', John ritorna nel mondo condiviso da tutti, quasi come gli altri. Dico 'quasi' perché il genio matematico di John rimane nello sfondo quando si trova con gli altri a socializzare e appare più estroverso e alla mano, ma di certo quell' 'altrove' non può essere cancellato.
Questo stile schizoide-ossessivo di vivere, anche se circoscritto, dall'esterno può esssere giudicato strano, bizzarro, o pazzesco per delle menti comuni e semplici, ma per il soggetto che invece vive quella passione per i numeri non è così, anzi quel modo di vivere strano gli è necessario e fa parte del suo modo di essere. D'altra parte, Nasch perviene a un grande risultato quando risolve un teorema a cui avevano fallito grandi menti matematiche fino ad allora, e la sua scoperta viene pubblicata in una importante rivista per specialisti, nota a tutti. Nash grazie alla sua incredibile forza di concentrazione e alla passione per i numeri, ottiene così quel risultato insperato. Quel modo di vivere che agli altri poteva apparire strano, alla fine aveva dato i suoi frutti creativi, vivendo Nash in un modo lontano dalla cosiddetta "nomalità" degli individui comuni.
Nel film Nash si trova poi a vivere delle situazioni incresciose dove il suo già precario equilibrio mentale viene catastrofizzato in una sorta di psicosi, ma questo episodio nella pellicola viene narrato in maniera confusa e poco interessante, a mio avviso, e sui cui non mi soffermerò. Quello che invece mi preme sottolineare è che questo giovane studente vive una grande passione per la matematica, e che questo mondo di numeri diventa per lui un rifugio mentale che però lo isola dagli altri. Tuttavia, non si tratta di un ritiro passivo e regressivo, ma un vivere dentro di sé, in maniera attiva e creativa, la sua intelligenza logico-matematica. C'è in John dell'ambizione in questo, un desiderio di sfida, un'aspirazione alla realizzazione di qualcosa di superiore, come la possibilità di trovare dei passaggi logico-matematici corretti che portano alla soluzione di un difficilissimo teorema complesso. Potremmo allora chiederci, non c'è in questo ideale il desiderio di raggiungere la perfezione? In che cosa il 'senso di perfezione' è diverso dal perfezionismo? Nel modo di vivere del soggetto, rispetto al suo 'senso di perfezione', c'è una scissione tra aspetti buoni e aspetti cattivi nel suo Sé e nella sua dinamica affettiva oggettuale?
Che in John ci sia una sorta di scissione tra la realtà esterna e il mondo mentale dei numeri mi pare evidente. Il 'senso di perfezione' rispetto al 'fare creativo' viene vissuto in senso religioso, come se l'oggetto affettivo impersonale, in questo caso la matematica, fosse accettato nella sua interezza. L'oggetto di devozione qui è la disciplina in cui ci si impegna, e verso cui si orienta il sentimento di devozione passionale. Il matematico vive in uno stato, per così dire, preambivalente rispetto al suo oggetto di devozione religiosa impersonale? C'è un eccesso di 'senso di perfezione' in quello che fa? Possiamo chiamare, in tal caso, questo eccesso di 'senso della perfezione' come perfezionismo?...
Nel perfezionismo, a mio parere, c'è una scissione tra aspetti buoni e cattivi dell'oggetto affettivo e del Sé. Inoltre, a partire da questa scissione, gli aspetti buoni vengono isolati e idealizzati, mentre quelli cattivi vengono demonizzati ed espulsi dal Sé. Il soggetto perfezionista vuole così vivere all'interno del suo perimetro di valori idealizzati, mentre nei confronti degli aspetti che lui interpreta come cattivi, e che ha posto ingannevolmente fuori di sé e negli altri con la difesa dell'identificazione proiettiva, può poi nutrire anche un'intensa avversione e un timore. Nei confronti di queste parti cattive di sé espulse negli altri, il perfezionista può tuttavia temere che possano ritornare in forma introiettiva e minacciare gli aspetti buoni idealizzati del Sé e dell'oggetto parziale buono, entrambi scissi. Così, nei confronti di ciò che viene identificato come 'cattivo' e 'male' il soggetto può attivare delle difese ossessivo-compulsive per evitare, per l'appunto, che il materiale psichico, minaccioso e persecutorio, invada il proprio Sé e danneggi l'Io. D'altra parte, come direbbero gli psicoanalisti, è possibile che la catastrofe sia già avvenuta, e nel nostro caso nella mente del perfezionista.
Il perfezionista può vivere fobicamente ciò che interpreta come 'cattivo' e 'male'. Questi aspetti malefici di persone o cose bisogna allora tenerli a bada, da qui l'attivazione di dispositivi di controllo da parte del soggetto che si illude, in questo modo, di non essere 'contaminato'. Il perfezionista tende, in altri termini, a proteggere con l'isolamento gli aspetti 'buoni' e il 'bene' che si trova nel Sé, nelle persone care e nelle cose a cui vengono attribuiti significati di 'bontà', desiderando vivere a stretto contatto con loro, ossia con quanto viene da lui idealizzato.
Il 'senso di perfezione' si può vivere, così, in senso patologico nel perfezionismo, ossia nella tendenza eccessiva e morbosa di identificarsi con gli aspetti del Sé e degli oggetti scissi e idealizzati, oppure in modo sano nella tendenza (non fanatica) a migliorarsi, nella manutenzione del Sé e delle relazioni con gli altri. La perfezione è solo un ideale, e come tutti gli ideali è irragiungibile. Un ideale, come sappiamo, non può mai essere realizzato nella vita al 100 %. Esso è soltanto una guida come la stella del Nord per il viandante nell'oscurità della notte. L'ideale lo possiamo considerare come un valore di riferimento nella nostra esistenza, a cui ci ispiriamo quando mettiamo in atto le nostre azioni.
Di un ideale se ne può realizzare una minima parte nelle azioni umane. Tuttavia, quando si tratta di un ideale che nella vita attuiamo al 10% possiamo anche sentirci soddisfatti, in quanto ci siamo approssimati ad esso nelle nostre azioni proprio in quel senso. Certo questa approssimazione non può essere che imperfetta e relativa. Anche quando operiamo nella realtà secondo una maniera artigianale, cercando di fare le cose in maniera 'ben fatta', il nostro risultato, ottimale per quanto possa essere, non potra mai eguagliare la 'perfezione' irraggiungibile di un astratto ideale. Credo che però vada bene così. Quello che conta è che se abbiamo cercato di fare del nostro meglio, e qualche risultato lo abbiamo ottenuto, questo lo dobbiamo anche a quella stella interiore che ci ha guidato nella direzione 'giusta', e che consideriamo un valore, o ideale personale, che ha sostenuto i nostri sforzi realizzativi.
Illusione, delusione, falsa illusione
Se la vita è senza senso, come ormai sappiamo tutti, possiamo chiederci cosa ci facciamo in questa terra. Se il senso è soltanto finzione, quando si vuole dare significato all'esistenza, allora è bene esserne consapevoli, non tanto per diventare cinici e indifferenti, come in fondo sembra esserlo la gente soprattutto di città che vive in maniera individualista o, come direbbe George Simmel, per cerchie di conoscenti che escludono gli altri, ma per essere consapevoli della natura fittizia di un ideale, e anche di come nella storia gli ideali siano stati utilizzati per manipolare le masse e in maniera demagogica da parte dell'élite del potere, per assicurarsi il consenso politico e la conservazione dei privilegi.
Le illusioni sono illusioni, certo, ma senza illusioni la vita si isterilisce. Se da una parte l'illusione svolge una funzione psichica di grande importanza, come ha suggerito Winnicott, in quanto sta alla base della cultura e dei progetti esistenziali di ciascuno, sappiamo bene che la maggior parte di tali illusioni si infrange davanti al muro invalicabile della dura realtà, provocando disillusioni. Tuttavia, nel momento in cui l'illusione si forma in noi e la viviamo, ci sentiamo vitali e pieni di speranza. Tra illusione e delusione c'è poi la falsa illusione. Quando ci sentiamo falsamente illusi? Quando l'illusione cela, in realtà, un inganno. Abbiamo bisogno, allora, di proteggere le illusioni a cui diamo un valore personale. In questo senso, possiamo coltivare un segreto. Carl Gustav Jung ha sottolineato più volte l'importanza di coltivare dei segreti, e di non essere, come si suol dire, 'un libro aperto' che chiunque può leggere. Non si tratta tanto di furbizia, in questo caso, come nel senso deleterio che viene dato a questa parola. Piuttosto si tratta di accortezza e intelligenza, di preservare un valore nella propria interiorità evitando la sua svalutazione pubblica, di fronte alla cattiveria del prossimo. In questo senso, ai nostri segreti possiamo affidare qualcosa di importante, da cui può dipendere anche la nostra trasformazione interiore. Credo che ciò abbia a che fare con il 'senso di perfezione', che nel migliore significato che possiamo dare a questa espressione coincide con il desiderio di migliorarsi.
Accettazione di sé e migliorabilità
D'altra parte, tutto ciò che esiste va bene così com'è. In questo senso, è bene che ognuno di noi si accetti in quanto tale. Tuttavia questo punto di vista non va equivocato, non va interpretato come una posizione conservatrice nel senso più abbietto del termine. Accettarsi per come si è, riferito agli esseri umani, tanto bisognosi di precisazioni per evitare fraintendimenti linguistici, significa assumere lo sguardo verso di sé della saggezza esistenziale. Il desiderio di miglioramento va interpretato in armonia con l'accettazione di sé. Così, si può accettare se stessi in quanto esseri umani fragili e imperfetti, con pregi e difetti, con possibilità e risorse da realizzare, ma anche con limiti da chiarire e non forzare per non 'rompere' un certo equilibrio ottimale in se stessi. Siamo degli animali paradossali e contraddittori che aneliamo alla coerenza personale, fallibili, e qualche volta capaci di imprese straordinarie. Cioran ha osservato che l'Uomo è un essere geniale, ma che purtroppo ha fin della sua origine, e che coincide con il peccato originale, imboccato il sentiero della rovina, come ha dimostrato la storia.
Se l'essere umano è, in fin dei conti, un animale fragile, anche nei rappresentanti della specie homo sapiens più in 'salute' e più 'evoluti', ciò non toglie che anche gli esseri umani 'più' forti e belli non siano bisognosi di prendersi cura di se stessi. Tutti gli esseri umani hanno bisogno di manutenzione nei confronti del proprio corpo, ma anche nei confronti della propria 'salute mentale' che va interpretata come un ideale, e non come una possibilità concreta che è presente in ognuno di noi. La 'salute mentale' è un ideale a cui possiamo approssimarci, in qualche modo, ma nei confronti della quale vale il discorso sull'ideale che ho già affrontato più sopra. Del resto, Edgar Morin non afferma, dall'alto della sua sapienza e dei suoi importanti studi epistemologici, che noi apparteniamo, in realtà, alla specie homo sapiens demens?... Basterebbe questa consapevolezza, se riuscissimo a fare nostra una briciola di saggezza, per evitare l'inganno del narcisista che si illude, appunto falsamente, di essere 'per sempre' una creatura perfetta e bellissima in tutti i sensi, cullandosi nella povertà della sua onnipotenza-impotenza e vivendo nella torre d'avorio del suo Io specchio di se stesso.
Uno dei problemi umani fondamentali consiste allora nel prendersi cura di se stessi non in maniera narcisistica, ma per vivere la vita dignitosamente. Abbiamo bisogno così di prenderci cura di noi stessi nel corso del tempo. Ciò non ha tanto a che vedere con il 'senso di perfezione', del resto fragile di fronte all'esame del divenire temporale, anche perché, come sappiamo, nessuno è perfetto, ma semmai, come abbiamo visto, perfettibile nel senso di migliorabile tenendo però conto, lucidamente, dei limiti che circoscrivono la nostra 'migliorabilità'. Il nostro desiderio di perfettibilità deve confrontarsi con il processo di invecchiamento, lento o veloce che sia. Naturalmente, tutti ci auguriamo di invecchiare nel modo migliore e lentamente, con meno acciacchi possibili, affinché sia buona la nostra qualità della vita anche negli anni a venire. Accettare l'inevitabilità della corrosione del tempo, impresso e incarnato nel nostro corpo, credo che sia una buona cosa. Occorre ridere di noi stessi, accettare con umorismo i nostri limiti e la 'perdita di colpi' nel corso del tempo. E' umano e salutare.
L'arte come immaginazione materializzata
Ciò che colpisce nell'arte è l'originalità, la stranezza, la particolarità dell'immaginazione materializzata. Non ci colpiscono tanto le opere 'equilibrate', ma quelle che sono eccelse nel loro 'squilibrio', nelle loro asimmetrie, come nelle loro patologizzazioni immaginarie. I dipinti dei surrealisti, per esempio, come quelli di Salvador Dalì, Joan Mirò, Max Ernst sono creazioni immaginarie che sono simili al sogno o all'incubo. Colpisce in quelle opere d'arte la stranezza dell'immagine che non può essere riportata a una rappresentazione pseudo-imitativa della realtà esterna come accadeva nella pittura della scuola realista. Nel caso delle opere surrealiste, il punto di riferimento è la realtà interiore con le sue 'deformazioni oniriche'. Non è un caso che il surrealismo ha come punto di riferimento l'opera di Sigmund Freud, anche se indirettamente.
L'opera d'arte ci colpisce quando in sé c'è la 'verità' dell'artista, la trasposizione estetica di frammenti della sua biografia vissuta. Le opere 'esagerate', 'eccessive', che escono dal "senso comune", dalla "normalità", sono le opere impregnate della soggettività dell'artista e che hanno un impatto peculiare sull'occhio del fruitore, nel caso di opere figurative.
D'altra parte, c'è una sterilità di fondo nell'aspirazione morbosa alla perfezione. Edvard Munch o Marc Chagall sono stati degli artisti eccelsi, per esempio. Lì c'è il genio senza l'aspirazione della perfezione smodata. Sono più interessanti gli schizzi e le opere incompiute o 'imperfette' che accennano piuttosto che l'opera completata, e l'opera finita che è 'incompleta'. Le accademie sono sterili con tutte le loro regole e la loro scarsa immaginazione.
Ci sono musiche, considerando un altro genere di arte, a cui ci si sente affini e con cui la propria sensibilità vola poeticamente. Si tratta di un'identificazione assoluta, totale con la musica preferita, quella che ci piace in modo particolare, che ci fa 'stare bene', che provoca in noi una sorta di unio mystica. Tuttavia non cerchiamo tanto la perfezione dell'esecuzione, quanto un arrangiamento di quella musica che colpisca la nostra immaginazione musicale, e che susciti intense emozioni estetiche. Una musica'perfetta' in senso razionale può risultare noiosa, mentre una musica ricca di immaginazione e meno razionale può colpirci in profondità nelle nostre emozioni.
Perfezione, perfezionismo e senso religioso latente
Possiamo però chiederci in cosa consiste, in senso psicologico, la 'perfezione' e la sua caduta nel 'perfezionismo'. A una prima riflessione la 'perfezione' risulta dalla scissione delle qualità buone e cattive dell'oggetto affettivo e, successivamente, dall'identificazione dell'Io esclusivamente con le qualità 'buone'. Questa forma di idealizzazione della 'bontà' può diventare, tuttavia, causa di disagio. Per esempio, può provocare una nevrosi ossessiva-compulsiva e una fobia nei confronti di tutto ciò che viene identificato con il 'male' e nei confronti del quale si attiva un meccanismo difensivo di espulsione e di evitamento anche con livelli di intensità che comportano la messa in atto di dispositivi ritualistici difensivi che comportano parecchio tempo, e che quindi paralizzano l'esistenza dell'individuo. Inoltre, la caduta del senso di perfezione in 'perfezionismo' può assumere un significato religioso latente rispetto a ciò che viene idealizzato come 'bene' e 'buono', da un lato, e ciò che viene demonizzato come 'male' e 'cattivo', dall'altro.
Il perfezionista vive la sua esistenza in maniera scissa, e tutto ciò che rappresenta il Negativo viene a sua volta, e difensivamente, negato, proprio perché si ha timore di ciò che viene demonizzato. La persona che vive la sua vita tenendo conto del Negativo come parte di sé, cioè nella consapevolezza che il 'male' le appartiene, che non è solo nella realtà esterna, vive in maniera più 'equilibrata' la propria interiorità. La coscienza di essere delle creature fragili, inperfette e incompiute, come le cose in cui ci cimentiamo, ci fa stare meglio con noi stessi rispetto a chi nega la propria fragilità, i propri difetti e la propria incompiutezza.
Immaginazione tra sentirsi perfetti o imperfetti
Con il Novecento l'iimmaginazione viene riabilitata, rispetto la cattiva opinione di cui godeva presso i filosofi dei secoli precedenti. Gaston Bachelard afferma che l'immaginare consiste nel deformare necessariamente ciò che si immagina. Jean-Paul Sartre invece analizza le caratteristiche della coscenza immaginativa in contrapposizione alla coscienza percettiva, e afferma che l'immaginazione comporta un arretramento dal mondo reale, un suo annullamento, affinché possa attivarsi la coscienza che immagina e dove l'immagine nasce come atto irrealizzante dal nulla: guardi bene una sedia che è nella stanza dove ti trovi, chiudi gli occhi e la riproduci nello spazio interiore con un'operazione irrealizzante. Carl Gustav Jung osserva che l'Anima è immaginazione. Il senso di essere perfetti o imperfetti ha a che fare con il modo come noi ci percepiamo nella nostra immaginazione, dopo aver 'interpretato' la percezione della nostra immagine corporea allo specchio. Se fisicamente ci consideriamo 'imperfetti' e non ci accettiamo così come siamo, può scattare un senso di rivalsa interiore, negare il 'male' che è in noi e idealizzare il 'bene' verso cui aspiriamo attraverso il lavoro di 'eccellenza' delle nostre azioni. Si tratta di una forma di 'riscatto' idealizzato, a livello psicologico, rispetto all'imperfezione di come ci percepiamo fisicamente. Da qui la tendenza alla 'perfezione', lo sbilanciamento verso l'aspirazione a realizzare forme artistiche di eccellenza sostenute da ciò che chiamiamo 'perfezionismo', nel caso di certi artisti.
E' comunque fondamentale distinguere, come fa James Hillman, il livello metaforico da quello concreto quando parliamo di psicologia. Spesso, purtroppo, questi due livelli interpretativi vengono scambiati. E' più comune che la deformazione interpretativa nella comunicazione quotidiana consista nel concretizzare contenuti psichici che invece hanno un significato 'metaforico', ossia un significato che deve rimanere soltanto sul piano squisitamente psichico, e non 'concreto'. L'Anima, ossia l'immaginazione con i suoi dinamismi d'immagine, nell'animismo è non solo dentro il 'selvaggio', ma anche nelle cose, per esempio in una pietra. Questa osservazione junghiana è stata poi rielaborata da Hillman quando ha parlato dell'anima del mondo, invitando a non guardare solo dentro di noi, semmai ad aprire la finestra dell'Io per guardare fuori, il mondo attorno a noi.
Possiamo ipotizzare che il perfezionista abbia concretizzato un vissuto che doveva invece rimanere a livello metaforico, ossia psicologico. In altri termini, il perfezionista può pensare di 'fare' qualcosa perché si sente in un certo stato d'animo più e più volte, così crede che quel 'fare' deve svolgersi in azioni concrete, mentre probabilmente quello che si pensa di 'fare' dovrebbe comportare innanzitutto un'azione interna, al livello del 'fare psicologico', e non del 'fare concreto nel mondo esterno' agendo, per esempio, sugli altri. Blaise Pascal diceva che l'essere umano ha difficoltà a rimanere a casa e starsene tranquillo, per esempio seduto in una stanza, invece ha la smania di 'fare' qualcosa, e così di agire nel mondo esterno, mettendosi facilmente nei guai.
Come conciliare l'apertura dell'Io verso il mondo esterno, auspicata da Hillman, al contrario della tradizione introspettiva della psicologia del profondo, anche se poi ha lasciato il campo al relazionismo, e l'affermazione di Pascal che entrare in azione nel mondo esterno significa combinare soprattutto guai? Certo, non tutte le azioni nel mondo sono delle catastrofi, anche se nell'epoca dell'emergenza ecologica, come la nostra, tra l'altro dominata dal "capitalismo dei disastri", come lo ha chiamato Naomi Klein, non c'è dubbio che soprattutto l'homo economicus tende alla corruzione e all'arricchimento facile, se tutto ruota attorno al dio denaro e se il denaro è diventato un idolo che motiva le azioni degli individui. Poter sopravvivere, non dico 'vivere', come essere umano significa, soprattutto nell'epoca della globalizzazione, poter disporre di una quota di denaro minima. Per 'fare denaro' la tutela dei 'deboli' non significa nulla per le classi alte privilegiate che vivono solo per assicurarsi i loro privilegi, infischiandosene del destino dei popoli. D'altra parte, cosa pensare della facilità con cui si provocano le guerre e che nascondono, dietro la retorica ideologica dell'esportazione della "democrazia" e della "libertà" agli "Stati canaglia", il business delle industrie e delle agenzie private belliche e che, favorito dalla compiacenza neoliberista degli Stati Uniti, promuove un'economia bellica? Se la globalizzazione è foriera di catastrofi planetarie, è possibile che il divenire della storia, dalla seconda metà del Novecento in poi, sarà ricordato dai posteri, se mai ce ne saranno ancora, come l'inizio dell'Apocalisse mondiale e che ha accelerato l'invecchiamento e la distruzione totale della natura del pianeta Terra, e questo, paradossalmente, con il procedere del cosiddetto "progresso" della scienza e della tecnica. Il 'senso della perfezione', in tal caso, sposato con gli agiti della "pulsione di morte", si trasforma nel perfezionamento di un destino di rovina totale non solo per l'homo sapiens, ma per tutta la natura e, quindi, per ogni forma di vita che annasperà sempre di più a riprodurrre se stessa, se non in forme 'mostruose'.
Le anoressiche
Prendiamo il caso delle anoressiche. In quel tipo di disagio mentale agisce una sorta di tendenza al controllo del peso in maniera morbosa. L'anoressica vuole esercitare il potere su se stessa, non riuscendo ad esercitarlo nel mondo esterno, così la sua aspirazione idealizzata è quella di rimanere magra in maniera radicale. Si tratta anche di una sorta di vendetta nei confronti dei suoi oggetti d'amore primari (i genitori, in primo luogo) che in qualche modo l'hanno fatta soffrire. Non potendo agire sui genitori, l'anoressica agisce sul suo corpo, la sua vendetta nei loro confronti passa attraverso la percezione del loro 'sguardo sofferto' nei confronti della figlia 'che sta male'. In questo 'controllo del peso' da parte dell'anoressica c'è una tendenza al 'perfezionismo', coprendo il suo male interiore con una giustificazione culturale, volendo essere, in forma idealizzata, come le giovani modelle anoressizzate da psicofarmaci e droghe che si vedono sulle passerelle dell'alta moda e pubblicizzate in tv, in Internet, e nei giornali, nei tabelloni pubblicitari sparsi per le città.
Sugli aspetti favorevoli del 'senso di perfezione' per il singolo individuo medio delle realtà urbane occidentali
Se il senso di 'perfezione' come ideale può essere accettabile in arte, inteso come miglioramento delle proprie performance estetiche, meno accettabile è il perfezionismo che invece è la sua forma deteriore e che, questa volta sì, possiamo dirlo, si concretizza in uno stato di disagio psichico. La mente ha bisogno di cibarsi di forme psichiche, di essere 'messa in forma' con pratiche, come la scrittura o la pittura, per esempio, che permettano di 'pensare' e di 'esprimere', di portare fuori ciò che è dentro di sé, soprattutto di mettere ordine al proprio disordine interiore. Suona 'a pennello' la frase di Nietzsche sul caos interiore che ci abita, e che grazie ad esso, in quanto materiale psichico per così dire 'grezzo', possiamo, nell'operazione di 'ordine', far emergere una stella danzante, ossia l'atto creativo.
Il 'senso di perfezione' è bene, come si è detto, che non scada nel perfezionismo, ma che diventi una motivazione a mettersi in forma nel senso di conservare nel tempo, fin dove è possibile, le funzionalità del Sé, con la manutenzione dell'unità psicofisica della persona. Abbiamo bisogno di auto-accettarci per come siamo ad ogni stadio del ciclo di vita, ma anche di migliorarci utilizzando le nostre risorse e rispettando i limiti che ci riguardano. Occorre dunque valorizzare gli aspetti favorevoli del 'senso di perfezione', sia come migliorabilità ottimale di se stessi nei confini del proprio Sé (per esempio, mantenendosi in forma con esercizi fisici, il camminare, l'andare in bicicletta, il seguire una dieta e una cura), sia nella frequentazione di esperienze che arricchiscono la propria individualità (per esempio, leggere libri, andare al cinema, partecipare ad eventi culturali, interessarsi di arte, andare nelle mostre artistiche, viaggiare e visitare nuovi posti), sia nell'esperienza personale di pratiche che riguardano l'espressione del Sé almeno come forma di auto-terapia (per esempio, teatro, danza, scrittura, pittura, scultura).
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