lunedì 31 marzo 2008

L'anarchia libertaria, la realizzazione maschilista, il destino tradizionale, la creatività : 4 modi di vivere il femminile nella modernità globale

INDICE DEI PARAGRAFI
  • Dedica
  • Storicizzare il femminile
  • L'anima anarchica e libertaria di una falsa emancipazione al femminile
  • La realizzazione maschilista della donna e il tradimento dell'"etica della differenza sessuale"
  • Alcune osservazioni di Maria lourdes Alonso Gomez sulla vita della donna nella regione spagnola dell'Andalusia
  • Il femminile tragico nella storia di una famiglia tradizionale del Sud d'Italia (anni '80 del XX secolo - 2007)
  • L'asservimento del femminile al maschilismo patriarcale e autoritario
  • Il pregiudizio razzista di Emil Cioran verso la donna
  • Donna, società degli uomini, economia neoliberista e potere
  • Alcune note sulle differenze biologiche e cerebrali della donna e dell'uomo
  • La coppia creativa
  • Creatività e amore
  • Riferimenti bibliografici

Dedica
Dialogando con Maria Lourdes Alonso Gomez, scrittrice spagnola di romanzi che si ispirano alla letteratura arturica, sul modo di vivere il femminile nella modernità di questo primo decennio del XXI secolo, ho maturato alcune riflessioni che desidero riportare in questo breve lavoro. In ogni caso, di ciò che ho qui scritto me ne assumo la totale responsabilità, mentre l'unica responsabilità di Maria Lourdes è quella di avermi ispirato, per cui dedico a lei quanto segue. Tuttavia le osservazioni sulla donna nel Sud della Spagna, in Andalusia, sono di Alonso Gomez, per cui esse sono riportate in un apposito paragrafo del presente saggio.
Storicizzare il femminile
Prima degli hippies e della contestazione giovanile del 1968, le ragazze vivevano in famiglia in un clima di repressione e insicurezza, che le faceva sentire castrate. Questo sia nel periodo infantile che nell'adolescenza. La repressione era molto accentuata, soprattutto a causa dell'influenza della religione cattolica nei Paesi europei. Nelle ragazze questa 'educazione' così restrittiva poi provocava una certa inibizione sessuale. Non è un caso che all'inizio del Novecento Sigmund Freud individuava nella repressione sessuale la 'causa' della nevrosi. La mentalità vittoriana di quell'epoca esigeva una certa restrizione nei costumi sessuali.
Nel corso del Novecento, tuttavia, ci sono stati variazioni nei costumi sessuali, per cui non sempre sono stati così ristretti. Negli Stati Uniti, per esempio, gli anni '30 sono stati abbastanza liberali, probabilmente anche per effetto del superamento della crisi dellle borse del '29. In ogni caso, bisogna anche distinguere tra una certa ufficialità delle credenze collettive, a cui si deve conformare per, come si suol dire, 'salvare la faccia' , e i comportamenti concreti in fatto di sesso da parte delle singole persone. Gli scandali emersi anche relativi ai comportamenti sessuali di uomini politici che combattono contro il crimine e la prostituzione, quando sono loro stessi a cercare il sesso a pagamento, la dice lunga sulle contraddizioni e sulla ipocrisia delle credenze culturali e religiose del sistema sociale. Religiosi cattolici che secondo l'ideologia della loro fede dovrebbero abbracciare la castità e il 'matrimonio spirituale con Dio', poi rivelano, 'scandalosamente', di praticare, normalmente, la pedofilia, l'omosessualità, l'eterosessualità. Perché la Chiesa non favorisce il riconoscimento delle pratiche sessuali nei religiosi cattolici? Al di là delle giustificazioni teologiche 'eterne', rimane il fatto che i sacerdoti praticano il sesso, e se non lo fanno possono cadere anche in un disagio psichico. I religiosi non sono dei 'superuomini', ma degli esseri umani come tutti gli altri, con i loro bisogni e desideri sessuali, per cui perché nevroticizzarli negandone l'esistenza?... (La domanda la rivolgo alle autorità ecclesiali, anche se la risposta è scontata e insoddisfacente).
Nell'Ottocento la donna per bene, la donna borghese, non poteva avere come unico destino che quello di sposarsi con un 'buon partito' e ricevere dal marito il suo status sociale. Se rinnegava il matrimonio, perdeva tutto e perdeva anche la reputazione davanti alla società. Se voleva lasciare il marito, la società la puniva considerandola, da quel momento in poi, una donna 'inferiore', che poteva diventare di facili costumi o che non aveva futuro. Così non rimaneva che salvare il matrimonio e tradire il marito di nascosto, nel caso in cui nasceva un amore con un altro uomo. D'altra parte, gli uomini non erano da meno, e anche loro avevano le loro storie sessuali più o meno segrete. Tuttavia, il disagio nevrotico per repressione sessuale emergeva sulla scena sociale. Si parlava di isteria, ma non si sapeva come curarla. Charcot alla Salpetriere di Parigi curava l'isterismo con l'ipnosi, diceva lui, e ne dava dimostrazioni pubbliche. Poi si venne a sapere che pagava i 'pazienti' che simulavano questo disagio psichico. Freud lasciò perdere l'ipnosi quando si accorse della possibile causa che stava alla base del malessere nevrotico, e così si accorse dell'importanza dell'ascolto della narrazione della paziente, di quello che aveva da dire sul suo malessere. La catarsi fu il primo obiettivo terapeutico di Freud come risultato dell'ascolto: il parlare già di per sé era terapeutico per la paziente. Non vogliamo qui però fare la storia della psicoanalisi, basta soltanto avere accennato il suo inizio.
Se però William Reich nella prima metà del Novecento scrisse un saggio come La rivoluzione sessuale (Reich, 1936 , tr. it. nona ed., 1974), un motivo doveva esserci. La nevrosi su base sessuale rilevata dal clinico (naturalmente, sulla scia di Sigmund Freud) rimandava alla morale repressiva che si riscontrava nel vivere moderno. Si deve arrivare agli anni '60 del XX secolo, con gli hippies, per assistere alla proposta di uno fenomeno sociale di rivolta pacifica contro la morale repressiva dell'Occidente. Il loro motto, come sappiamo, era "Fate l'amore, non fate la guerra". Il gruppo dei Giganti e The Bachelors, gruppo irlandese, al Festival di Sanremo del 1967 cantavano Proposta (canzone), o detta poi anche Mettete dei fiori nei vostri cannoni, una canzone il cui testo recitava: "Mettete dei fiori nei vostri cannoni/ perché non vogliamo mai nel cielo/ molecole malate ma note musicali/ che formino gli accordi per/ una ballata di pace." Il testo era di Albula, mentre la musica fu scritta da Giordano Bruno Martelli. Era l'ondata pacifista contro la guerra del Vietnam, l'esaltazione dell'amore e della musica, la proposta della rivoluzione dei costumi sessuali contro la repressione e l'ipocrisia familiare.
Effettivamente il messaggio hippie non cadde nel nulla e fu acquisito dalla generazione del '68, per cui quella generazione si mostrò più libera sessualmente. Anche la musica pop contribuì all'allargamento dei costumi sessuali contro il bigottismo religioso della tradizione. Era l'epoca dei Beatles e dei Rolling Stones, di Jimi Hendrix e Jim Morrison, e prima di loro avevano fatto la loro parte personaggi come Elvis Presley, apparentemente più in linea con il sistema sociale. Purtroppo il fenomeno rock non proponeva soltanto una liberalizzazione dei costumi sessuali, ma una ribellione al sistema che assunse una direzione distruttiva, con l'uso di droghe e alcol che portò alla morte prematura di alcuni dei più importanti protagonisti del rock come Janis Joplin, Morrison, Hendrix, il chitarrista Brian Jones dei Rolling Stones, e tanti altri.
Con il '68 il Movimento per i diritti delle donne iniziò a farsi sentire. Il femminismo si istituì come ideologia, nacquero i collettivi femministi, la filosofia femminista, anche formulazioni esasperate contro la società degli uomini, il loro maschilismo, che diventava un autogol di odio al femminile quando veniva proposto l'ideale di una vita senza gli uomini. Le donne filosofe e psicoanaliste iniziarono a scrivere saggi 'dalla parte del femminile', come Juliet Mitchell (Mitchell, 1966, 1970, 1971, tr. it. 1972; Mitchell, 1974, tr. it. 1976), Lucy Irigaray (Irigaray, 1985, tr. it. quarta ed. 1990; Irigaray, 1990, tr. it. 1992), Germaine Greer (Greer, 1970, 1991, tr. it. 2000), tra le altre. Non possiamo però tacere sul fatto che proprio una importante esponente del femminismo francese come Elisabeth Badinter nel 2003 pubblicò La strada degli errori. Il pensiero femminista al bivio (Badinter, 2003, tr. it. 2004). In questo saggio la Badinter denuncia gli errori del femminismo, se non il suo bilancio fallimentare. Nel 1985, invece, la Irigaray inaugurava il pensiero della differenza, un'etica della "differenza sessuale" (Irigaray, 1985, tr. it. quarta ed., 1990) che nell'ambito del femminismo ebbe sicuramente la sua importanza, e contribuì a far comprendere il modo differente di essere al maschile e al femminile.
La stabilità familiare del passato era vera, ma basata su rapporti di forza e di potere che costringevano la donna ad adattarsi a quel tipo di concezione familiare, cioè alla famiglia patriarcale. Così la donna veniva sacrificata alla famiglia, all'allevamento dei figli, dovendo rinunciare a una possibile realizzazione come persona creativa, al di là della maternità. Certo, dopo la famiglia patriarcale abbiamo visto l'affermarsi, sulla scena del sociale, della famiglia nucleare (coppia e uno o due figli) il cui successo è dovuto al fatto di essere più in sintonia con il tipo di economia capitalistica che emergeva negli anni successivi alla legge sul divorzio (1970). Si venivano ad affermare sperimentazioni di convivenza alternativa alla famiglia borghese negli anni '60 con la rivoluzione sessuale degli hippies. D'altra parte, negli anni '70 comparivano anche forme di timida convivenza di coppie non sposate in Italia, ma che ancora venivano guardate con occhio malevolo dai bigotti benpensanti dell'epoca.
Dopo la legge sul divorzio, in Italia, tuttavia sono aumentati sempre di più le richieste di separazione più o meno consensuale, e poi il divorzio. La donna è cambiata e la sua volontà di diventare autonoma e indipendente economicamente, per certificarsi lavoratrice nel mercato del lavoro, o, in ogni caso, protagonista nel mondo sociale, non è stato indenne poi in termini di prezzo da pagare rispetto alla sua vita privata e al desiderio di realizzarsi nella coppia e nella maternità. Le separazioni hanno provocato un disagio mentale non indifferente agli stessi protagonisiti della coppia, a loro come genitori e ai figli. Il ricorso agli operatori della psiche è diventato sempre più massiccio, e mi riferisco, in particolare, agli operatori della salute mentale, quali psicologi, neuropsichiatri, psichiatri, o anche al ricorso degli assistenti sociali del Ssn. Comunque, questo è un altro discorso che ci porterebbe lontano e che richiederebbe un'altra trattazione.
L'anima anarchica e libertaria di una falsa emancipazione al femminile
D'altra parte, l'instabilità di oggi ( sto scrivendo nell'anno 2008) si basa su una concezione che definirei anarchica nel rapporto donna-uomo. Sembra che ci sia un desiderio forte della donna di oggi nel riappropriarsi della sua vita e decidere come vivere in quanto soggetto, e non secondo i conformismi sociali e la concezione maschilista del rapporto donna-uomo. Il desiderio di voler vivere l'esistenza in forma radicale, da parte della donna, non è però una tentazione filosofica scevra da pericoli, e dietro l'angolo può celarsi una forma di alienazione imprevista.
Anarchia significa autogoverno, che ognuno si governa da sé e che non si accetta un governo centrale da cui dipendere in senso politico. In questo senso, la donna diventa, nella fase attuale della sua emancipazione, 'anarchica' in quanto rifiuta il legame tradizionale della famiglia, anche nel senso della famiglia nucleare, come può rifiutare la convinvenza, o vuole vivere in maniera trasparente il suo essere lesbica con la sua compagna, o, in ogni caso, vivere la sua sessualità senza schemi predefiniti, in maniera libera.
Mi pare che questa 'anarchia' della donna si coniughi nel senso di un desiderio di libertà assoluta, ma questa libertà assoluta, a mio giudizio, non porta a niente, perché gli esseri umani sono condizionati biologicamente. La libertà assoluta è una falsa illusione e una forma di alienazione, perché porta a negare sia il bisogno di dipendenza che i propri limiti, che esistono e che fanno parte di ciascuno di noi, al di là dell'appartenenza sessuale, della "differenza sessuale". Abolire i limiti, significa abolire il senso della libertà, un senso che ha il suo luogo proprio nell'essere morale.
Cosa significa 'essere morale'? Non significa essere buono, come ci ha insegnato Zygmunt Bauman (Bauman, 1993, tr. it. 1996; Bauman, Tester, 2001, tr. it. 2002) , ma saper discernere il bene dal male e diventare capaci di scegliere. Cosa scegliere? Direi di scegliere quella opzione che sta dalla parte della vita e che è un bene per sé e anche per gli altri, se è possibile. Invece vivere secondo una libertà assoluta significa abolire ogni limite, e farsi scegliere dall'irrazionalità distruttiva. La vita ha senso solo se sappiamo ponderare sulle possibilità e sui nostri limiti, e di conseguenza scegliere ciò che è meglio per noi e per gli altri. Sembra una cosa semplice, mentre invece non lo è, se guardiamo alla realtà dei fatti, se diamo una sbirciata anche alle pagine dei giornali e veniamo a sapere dei guai in cui gli esseri umani vanno a cacciarsi.
La realizzazione maschilista della donna e il tradimento dell' "etica della differenza sessuale"
Oggi sembra che ci sia un livello di distruttività non indifferente. L'insicurezza, la precarietà della vita, la "paura liquida" (Bauman, 2006, tr. it. 2008) caratterizzano la nostra vita. La questione dell'emancipazione della donna oggi più che mai inoltre s'intreccia con la cultura del narcisismo. Consumismo e narcisismo vanno a braccetto. Quello che avrebbe dovuto essere l'emancipazione della donna è un progetto che è naufragato. Un progetto genuino di emancipazione avrebbe dovuto portare all'individuazione delle qualità caratteristiche del femminile e in base all'"etica delle differenze sessuali" avrebbe dovuto proporsi, sulla scena del sociale, in quanto tale. Invece diventiamo testimoni di un altro tipo di psicologia e di etica: la donna nella società degli uomini vuole il potere e il successo, vuole fare carriera, e a tal fine si identifica con i valori del maschilismo, si comporta, nel bene e nel male, come i maschi per raggiungere le mete del conformismo sociale (ricchezza, potere, successo). Il fallimento del progetto emancipativo della donna è da individuarsi nel tradimento nei confronti dellla carica rivoluzionaria del femminile, della sua etica e della sue qualità psicologiche. La donna, nella società degli uomini, ha capito che il femminile è sempre stato 'inferiore' (v. Hillman, 1972, tr. it. 1979, pp. pp. 225-307, sull'inferiorità del femminile) e non può essere 'vincente'. Se la donna non vuole soccombere, rimanendo fedele a se stessa nella sua parte migliore, allora non può che tradire il proprio Sé, e diventare 'come tu mi vuoi' nei confronti del maschio, cioè se vuole un suo ruolo nella società degli uomini.
Anche la cattiveria della donna quando riesce a imporsi nella società degli uomini, ad ottenere un ruolo di potere, è sintomatica del tradimento nei confronti del proprio femminile. La donna che riesce ad ottenere un ruolo di potere e a fare carriera, si vendica delle frustrazioni subite facendola pagare soprattutto ai maschi ad essa subalterni nell'istituzione in cui lavora. Questo non è sicuramente un bel risultato evolutivo da parte della donna, ma la spia di essere diventata una 'bastarda' quanto l' 'uomo' e come l' 'uomo', impoverendosi come essere umano e nella sua specificità femminile. In questo caso, la donna mette in atto quel meccanismo di difesa di cui hanno parlato Anna Freud (Freud, 1961, tr. it. 1967, pp. 119-132), da una parte, e Sandor Ferenczi (Ferenczi, 1932, tr. it. in 2002, pp. 96-97) , dall'altra, e che è l'identificazione con l'aggressore.
Mi pare che l'emancipazione della donna, che poteva in origine essere un progetto genuino e legittimo di liberazione, si sia incagliata nel consumismo capitalistico e in una nuova forma di maschilismo. La donna oggi non ha superato quella criticata condizione, da parte delle femministe, di 'donna-oggetto'. Ciò ha anche a che fare, almeno in Italia, con la concezione della donna che ha la cultura di potere di destra: la donna concepita come femmina che dà piacere all'uomo di potere per ottenere da lui un vantaggio o un privilegio o il raggiungimento di un obiettivo. Gli esempi non mancano, ovviamente...
Alcune osservazioni di Maria Lourdes Alonso Gomez sulla vita della donna nella regione spagnola dell'Andalusia
Nel Sud della Spagna, la donna che vuole avere una posizione forte deve essere aggressiva per farsi rispettare. Quando si è nati lì, lo si comprende fin troppo bene. Le donne che si cimentano in lavori tradizionalmente maschili devono fare così.
Le donne del Sud della Spagna sono molto influenzate dalle tradizioni. Certo, oggi la mentalità si è aggiornata rispetto a venti anni fa. Anche se la donna spagnola del Sud si laurea e ha un lavoro, la sua vita tuttavia gira attorno al desiderio di sposarsi, mettere su famiglia, metterre al mondo bambini.
Le nuove generazioni dell'Andalusia presentano dei comportamenti contraddittori, tra i giovani. Le ragazzine sono troppo disinibite, rumorose, come i ragazzi, ma anche dipendenti da loro. Queste adolescenti femmine sono troppo dipendenti dai loro coetanei maschi, perché i ragazzi si aspettano che le ragazze facciano tutto quello che vogliono loro. Se, per esempio, il fidanzato dice "non metterti la gonna!", la ragazza non la mette. Molto dipende dal maschio. Le donne andaluse, d'altra parte, soprattutto di una certa età, sono molto gelose. La dipendenza della ragazza dal ragazzo è così irregolare... non c'è nessuna reciprocità tra loro. La donna dipende dall'uomo, ma l'uomo non deve mostrare di dipendere da lei. Nel Sud della Spagna, il rapporto tra donna e uomo purtroppo è così.
In Andalusia, una donna che non vuole essere ridotta a rimanere una casalinga e madre di famiglia, e che ha anche un'altra visione della vita, se non va via dal suo ambiente sociale viene probabilmente "emarginata". E tra queste donne spose e madri che 'annegano' nella vita di famiglia si trovano laureate con lavoro stipendiato. D'altra parte, una donna che non si vede soltanto come una madre di famiglia, ma che desidera percorrere un'altra "strada mentale", cioè che desidera svilupparsi mentalmente a livello individuale, in senso intellettuale, il giudizio che riceve dalla società è stigmatizzante, perché viene percepita come un essere individualista e senza sentimenti.
Dal punto di vista antropologico, non c'è uno studio profondo sulle relazioni tra ragazzi e ragazze del Sud (della Spagna). Mi riferisco alla contraddizione tra disinibizione delle ragazze e alla loro dipendenza dai maschi. Quello che sto affermando, sono osservazioni del mio sguardo verso i giovani andalusi. Sono conclusioni a cui sono arrivata nel vivere qui e parlare con la gente che hanno osservato più di me. D'altra parte, le donne andaluse sono come quelle europee in generale, ma con queste caratteristiche particolari del nostro Sud.
Rispetto alla mentalità, le donne sono come gli uomini di qui, nel senso che non vogliono vivere da sole. Alla gente di qui non piace il silenzio, l'introspezione, la solitudine. Sono gregari, amanti della vita nelle vie. Oggi condividono l'esperienza di andare al bar con gli uomini, anche se nelle generazioni precedenti non era così comune. Solo i maschi andavano al bar, mentre le mogli rimanevano a casa. L'universo della donna andalusa è, in fondo, la sua famiglia e la sua casa.
C'è un'altra conclusione alla quale sono arrivata individualmente. Entrambi, uomini e donne di qui, sembrano ossessionati dall'essere e apparire estroversi, perché nell'inconscio hanno paura, hanno una tristezza di cui non sono sufficientemente consapevoli, ma che vivono nel loro inconscio. Forse anche questo succede qui tra le ragazzine, le giovanissime. Credo che nel loro inconscio gli andalusi cercano di sfuggire alla tragedia invisibile che abita questa terra. La paura della vita, la paura di sapere che non possono essere se stessi. Se loro scegliessero di essere se stessi, allora dovrebbero mostrare di essere diversi dagli altri, dal collettivo, dalla famiglia, dal loro ambiente di amicizie. Ciò potrebbe provocare l'esclusione, l'ostracismo. Questo punto di vista, tuttavia, lo considero solo una mia interpretazione.
Rimane il fatto che si deve vivere qui per comprendere quello che sto dicendo, altrimenti non è facile farsi delle idee verosimili sulla mentalità andalusa. In altre parole, se sei una persona non estroversa, che non vuol vedere la propria vita nello stesso modo che la vede il collettivo, quale scelta può avere una persona se non diventare solitaria?... E qui si deve vivere nella società per sopravvivere, anche perché, per certi aspetti, l'ambiente sociale ha i suoi cari stereotipi collettivi e preme sui singoli individui affinché li accettino, si conformino ad essi. La tolleranza nei confronti delle differenze individuali non è poi molta, e se si segue la propria strada bisogna farlo con circospezione, senza farsi notare troppo.
Il femminile tragico nella storia di una famiglia tradizionale del Sud d'Italia (anni '80 del XX secolo - 2007)
Qui di seguito racconterò di un fallimento generazionale che vede in primo piano la donna, ma in questo fallimento ovviamente è coinvolto anche il destino dell'uomo, dove la responsabilità di quest'ultimo è determinante.
Il contesto. Siamo in una qualsiasi provincia del Sud d'Italia, un paesino con tutti i suoi nefasti pregiudizi e dicerie, un luogo in cui Cristo in croce ha messo le radici e dove lo sviluppo industriale è la personificazione dello straniero, del perfetto sconosciuto. Miserinni è il paesino in cui vive Tizio, un ragazzo intelligente che però in gioventù non completò gli studi per prendersi il diploma di perito tecnico, un uomo che negli anni '80 aveva circa quarantanni, e che avvia una convivenza scandalosa, per quei tempi, con Caia, una donna vedova di circa trentacinque anni proveniente di un altro paesino che dista da Miserinni una quarantina di chilometri.
Non cercate, voi lettori, questo paesino sulla carta geografica perchè non lo troverete. Il nome è di mia invenzione, come i nomi dei personaggi di questa storia che racconto brevemente, senza scendere troppo nei particolari. La storia, invece, è realmente accaduta e rimanda a persone esistite, di cui alcune sono ancora vive e portano avanti la loro vita.
Prima che Caia inizi la convivenza con Tizio, lei era stata sposata e aveva avuto da quella precedente unione una bambina, Sempronia. Poco dopo il marito era morto, e lei si ritrovava vedova. Caia era una donna ancora giovane e piacente, così quando Tizio la conobbe tra loro nacque un'attrazione fatale e poi un amore. D'altra parte, Caia aveva bisogno di un compagno nella situazione in cui si trovava. Dopo la morte del marito, non le rimase che ritornare da sua madre, lei e la piccola. Così la conoscenza di Tizio, poco tempo dopo, per lei non fu che apparentemente una fortuna. Non è facile trovare un altro compagno quando si diventa vedova e madre allo stesso tempo. Gli uomini vogliono solo divertirsi, e se si fidanzano non è certo con una donna vedova e madre. Così, la conoscenza di Tizio e i buoni propositi di questi verso di lei e la bambina, soprattutto l'attrazione sessuale tra loro, fecero scegliere ad entrambi il progetto di mettersi insieme, di farsi una famiglia.
Caia, Tizio e la piccola Sempronia andarono così ad abitare a Miserinni, in un'appartamento che si trovava in una zona centrale del paese, pagando un affitto accessibile alle loro tasche. Per un pò la vita di questo nucleo familiare andò avanti per come doveva andare, ma poi accade un fatto catastrofico. A causa di un fallimento commerciale, Tizio venne processato e messo in galera per due anni. Venne scelto, per fortuna sua, il carcere di Miserinni per scontare la pena. Il carcere del paese era in cima al colle più alto e la vita dei carcerati non era poi così malvagia. Tutti conoscevano in paese chi fosse Tizio, che proveniva da una famiglia per bene, e che non era quindi un delinquente della peggiore risma. Così il carceriere ebbe per lui un trattamento di riguardo, e due anni passarano presto e senza traumi particolari, nell'ambiente di reclusione. Caia e la piccola Sempronia continuarono a vivere in quell'appartamento preso in affitto, aiutati materialmente da un parente benevolo e con cui Tizio aveva avuto da sempre un forte legame di solidarietà, oltre che un sodalizio di lavoro.
Intanto Caia, prima che Tizio andasse in prigione, era rimasta incinta di lui, così quando lui ebbe pagato il debito con la giustizia e uscì di carcere, si ritrovò, a distanza di un anno, Sempronio, il figlio maschio nato dall'unione di lui con Caia. Durante la permanenza in carcere di Tizio, il parente benevolo e suo figlio, e anche Caia incinta e la picola Sempronia, andavano a trovarlo e mantenevano vivi i legami nel corso del tempo.
Sempronia ebbe, in questo modo, un fratellino che l'avrebbe fatta sentire meno sola. Il rovescio della medaglia era che Sempronio avrebbe provocato in lei dei sentimenti di gelosia e rancore, per il diverso trattamento che il patrigno/padre avrebbe avuto nei confronti di loro due.
Uscito dalla piccola prigione, Tizio fu aiutato economicamente dalla madre di Caia ad aprirsi un negozio di materiale per auto. In un primo momento fu trovata una sede relativamente più piccola. Con Tizio c'erano un paio di collaboratori che lavoravano con lui. Gli affari andavano bene. Così Tizio e Caia volarono a nozze. Da allora lui cercò di rigare dritto. Niente più colpi di testa come quelli che lo avevano portato al fallimento commerciale. Adesso Tizio sembrava aver messo la testa a posto. Inoltre era diventato il "principale" di un'attività commerciale e aveva le sue responsabilità.
La famigliola di Tizio e Caia, d'altra parte, aveva bisogno di comprarsi un'appartamento, così con il mutuo acquistarono una grande e bella abitazione in una via principale di Miserinni. Per le feste collettive dell'anno, Tizio e Caia invitavano i parenti dell'una e dell'altra parte, e tutti insieme passavavo così il Natale e la Pasqua, e qualche altra festa nazionale o locale di una certa rilevanza. Si preparavano, per l'occasione, grandi banchetti. Il pranzo doveva essere una cosa speciale, fuori dall'ordinario, affinché si potesse dire che era un mangiare da festa. Niente di straordinario però in questo, perché tutti si comportano così quando ci sono le feste importanti dell'anno.
Venne anche il momento che Tizio cambiò sede del negozio. Le cose andavano piuttosto bene, le vendite di materiale per auto si incrementavano nel corso del tempo, e inoltre Tizio si era fatto una clientela nei paesini limitrofi e oltre. I suoi collaboratori, o lui stesso, nel corso della settimana andavano a visitare i clienti degli altri paesini con il furgone della ditta, e al ritorno in sede avevano sempre degli ordini di materiale da evadere, e in gran numero. Dunque, era venuto il momento di ingrandirsi, prendendo in affitto un negozio più grande che allo stesso tempo era un deposito della merce nel retro del locale.
Ben presto, però, problemi di vario genere emersero come macigni e che rendevano difficile la vita di relazione tra i membri di questa famiglia. Tizio era autoritario e aveva una psicologia grossolana nei confronti sia della moglie che dei figli. Tutti loro ben presto iniziarono ad averne piene le scatole di lui. La moglie non voleva più giacere con il marito nell'intimità della notte. Sempronia, che dentro di sé si sentiva stigmatizzata come figliatra, aveva la sensazione di essere trattata con minore amore e considerazione rispetto al fratello Sempronio, che invece era nato dall'unione di Tizio e Caia.
Man mano che cresceva, Sempronia rivelava di essere una ragazza con una tristezza cronica, che poi, nei momenti di crisi, si trasformava in vera e propria depressione. Sempronia così crebbe con una visione del mondo negativista, sempre pessimista e ansiosa, e delle cose vedeva il lato peggiore, in modo sistematico.
Sempronia, d'altra parte, era diventata una ragazza alta e carina, con un seno prosperoso, ma lei non era contenta del suo aspetto fisico, e ancora di meno del suo seno. Si era messa in testa che lo voleva ridurre, quel bel seno, più del cinquanta per cento. Sempronia, man mano che andava avanti, diventava dall'aspetto anoressico, simile a certe figure femminili dei dipinti di Edvard Munch, con gli occhi scavati e una perdita di voglia di vivere. Il suo aspetto era quello un pò zombie, di una ragazza sbiancata in viso.
Sempronio invece era diventato un bel ragazzo pieno di vita e che con gli amici cercava di spassarsela, almeno apparentemente. Aiutava, di tanto in tanto, il padre nel negozio, ma perché Tizio insisteva a volere il figlio nel luogo dove lui si guadagnava da vivere. Sempronio non voleva però andarci in quel posto, del resto come la madre e la sorella.
In realtà, nessuno dei familiari voleva avere a che fare con il negozio di Tizio. Questi trattava male anche i suoi dipendenti, alzava la voce, li sgridava e li offendeva come se fosse il più adeguato dei comportamenti, quando commettevano qualche errore. Tizio mostrava di essere un uomo intrattabile, la cui apparente e momentanea cordialità mascherava invece un carattere facilmente irascibile e nevrotico. Il suo autoritarismo probabilmente lo aveva appreso dal padre patriarcale e che comandava la nonna e le sue cinque sorelle a bacchetta. Così anche Tizio voleva fare con gli altri. Sembra che non si accorgesse di quanto fosse penoso e anacronistico il suo comportamento e che non facesse che allontanare gli altri da lui. Le cose però stavano così. Nel suo intimo, Tizio era però una persona infantile, che poteva mettersi facilmente a piangere se qualche persona per lui significativa, a cui si confessava, toccava le corde giuste della sua anima. Tuttavia, anche tali confessioni a qualche suo parente non lo facevano cambiare ipso facto, il suo carattere rimaneva quello che era.
Tizio, d'altra parte, non era più quel caro ragazzo che era stato all'età di vent'anni, ora era diventato un uomo meschino, attaccato al denaro, capaci di azioni riprovevoli pur di mettere le mani sui soldi dei parenti, anche di coloro che in passato lo avevano aiutato a togliersi dai guai, e anche di quelli grossi. Non sapeva cosa fosse la riconoscenza e la gratitudine. Era avido e quando si trovava nella situazione di sfruttare il prossimo, anche delle persone più vicine a lui e verso cui avrebbe dovuto baciare i piedi per il bene che gli avevano fatto, non c'era niente da fare: se poteva li avrebbe derubati senza un minimo di pentimento.
Anche se gli affari del negozio apparentemente continuavano ad andare ancora bene, Tizio doveva affrontare le richieste di denaro che gli venivano da più fronti: dai membri della sua famiglia, la rata del mutuo mensile, il salario da versare in busta paga ai suoi collaboratori ogni fine mese, le tasse, l'affitto del negozio, le spese per il furgone relative alla manutenzione e alla benzina, oltre ai consumi delle due auto che possedeva, una per lui e una per la moglie, il denaro per la spesa quotidiana, e altro ancora.
Il mondo di Tizio era formato tv. Si nutriva degli stereotipi della televisione. Prendeva per oro colato quello che dicevano nel piccolo schermo. Il suo era un mondo plasmato dal cliché di Mike Buongiorno. A parlare con lui, ci si accorgeva che vivesse nell'alienazione delle novità della tecnologia e dei pezzi di ricambio per auto che vendeva nel suo negozio. Non aveva nessun interesse squisitamente culturale, della vera cultura. La sua mente era fatta di spazzatura mediatica, e al di là dello squallore del suo egoismo materiale non riusciva ad andare.
Tizio era miope in senso psicologico e relazionale. La sua ottusità presto rivelò i suoi limiti, traducendosi in liti qutodiane in famiglia. Tutti i familiari lo odiavano e segretamente lo disprezzavano. Non era capace di mettersi nei loro panni. Il suo punto di vista era quello dell'uomo autoritario, chiuso e che voleva prevalere a ogni costo. Non era aperto alle ragioni degli altri, contavano soltanto le sue, di ragioni. Aveva, in sostanza, il pallino del piccolo dittatore in una famiglia che invece voleva vivere secondo le regole democratiche. Era questa l'aria che tirava in quella famiglia, dal punto di vista 'politico'.
Caia, d'altra parte, non era meglio di suo marito. Nel corso del tempo divenne una donna acida e la sua compagnia sempre meno amabile. Si sentiva una donna non amata e incompresa dal marito, tradita come persona, e forse anche come partner sessuale, dall'uomo a cui si era legata per la vita.
Sempronia aveva allacciato una relazione con un giovane del paese che studiava all'università. Tuttavia questo ragazzo era lento negli studi e si sarebbe laureato con diversi anni fuori corso. I due si sarebbero però poi sposati. Sempronia invece, dopo la scuola media superiore, si iscrisse al corso per assistente sociale, che anche lei portò a compimento con ritardo e fatica. Dal loro matrimonio nacque un bambino, Fonzi.
Sempronio, al contrario, non avrebbe superato l'età più bella della vita: morì in un incidente automobilistico a vent'anni. Il sospetto che venne nella mente di tanti era che la sua infelicità, mal celata, da quell'eterno mezzo sorriso che teneva appicciccato sulle labbra, lo aveva spinto a commettere una falsa disgrazia, un suicidio camuffato per salvare la faccia ai familiari, rattristiti dalla perdita del loro bel figlio a cui volevano 'bene'. I genitori continuavano a vivere la loro esistenza infelice e disgraziata, e non si capiva perché non avessero fatto la domanda di separazione. Probabilmente non avevano fatto quel passo per motivi materiali e per comodità piccolo-borghese.
Se lei si fosse separata dal marito, quale sarebbe stato il suo destino? Ormai era troppo tardi per ricominciare da capo. E dove sarebbe andata a vivere, in tal caso? No, non poteva permetterselo. D'altra parte per tutta la durata del loro matrimonio lei non aveva fatto altro che la 'signora', e non si era mai preoccupata di cercarsi un lavoro. D'altra parte, Caia non aveva conseguito nemmeno un diploma di scuola media superiore. L'unica cosa che sapeva fare era quella di badare alla casa, il mestiere della casalinga, e poi la madre. Per il resto c'erano le amiche con cui intrattenersi. Lavorare con il marito al negozio? Nemmeno per sogno. Era l'ultima cosa che lei, la 'signora', avrebbe mai fatto.
Molti anni dopo le cose precipitarono. A casa Tizio tornava molto tardi, pranzava e cenava al negozio. Forse aveva una relazione extraconiugale o spendeva un pò di soldi con qualche prostituta extracomunitaria a buon prezzo, abbordata per strada, quando ne aveva voglia. Dormiva nel divano del soggiorno. L'incomunicabilità tra i due coniugi si era approfondita. A casa regnava l'incubo. Sempronia risentiva molto di questo clima glaciale tra i suoi genitori, e del cattivo rapporto che il patrigno aveva anche con lei.
Passarono degli anni. Caia aveva contratto un tumore che la portò, nel giro di qualche anno, alla fine della sua vita. Intanto Tizio non fu più in grado di portare avanti l'attività del negozio. Era diventato anziano e l'Alzheimer lo aveva reso inabile al lavoro. Il mutuo dell'appartamento non potè più essere pagato. L'appartamento fu pignorato, il negozio svenduto. Tizio si riempi di debiti, e l'erede, Sempronia, purtroppo erede di debiti, dovette farsi carico di tutta la faccenda. L'odiato patrigno fu sistemato in ospizio, e della retta mensile dovette farsene carico la figliastra.
Sempronia, del resto, nei confronti del suo piccolo Fonzi di tre anni si comportava adesso come il patrigno si era comportato anche con lei. Richiamava il bambino, nell'appartamento preso in affitto con il marito in un'altra zona semi-centrale di Miserinni, con tono di rimprovero autoritario, ad alta voce, in modo sgraziato e nevrotico, richiamando il piccolo bambino all'ordine, in una casa che invece era tutta disordinata e che sembrava un deposito bagagli. Il piccolo Fonzi era lì, nel soggiorno che conteneva i mobili mal sistemati che Sempronia si era portata appresso dall'appartamento dei genitori. C'era, tra l'altro, in quella stanza il solito divano del grande appartamento pignorato, e tanti giocattoli, da quelli grandicelli, come una bicicletta per bambini, a quelli piccoli come qualche macchinina, a quelli formato più piccolo come i soldatini. Eppure Fonzi sembrava che non avesse il diritto di giocare, di fronte alle continue riprese da parte della mamma di 'stare buono', di 'non muoversi'. Quei giocattoli apparivano degli inutili soprammobili, che Fonzi non avrebbe dovuto nemmeno manipolare con le sue manine. Gli sguardi della madre erano sinistri come quelli di un Jack Nicholson, nella locandina del film Shining di Stanley Kubrick.
In fondo, Sempronia mostrava di essere diventata spregevole come il patrigno tanto odiato. I suoi studi per diventare assistente sociale non l'avevano portata da nessuna parte. Viveva a piene mani nella sua nevrosi depressiva, e a suo figlio trasmetteva, se non altro, il suo disagio generazionale. Si era messa a lavorare part-time presso il tribunale della città di cui Miserinni faceva capo come provincia.
Nel racconto sintetico del destino generazionale di questa famiglia, ci sono tutti gli elementi per considerare il tragico destino della donna, succube e vittima dell'educazione autoritaria dei maschi, e dell'impossibilità di un vero e proprio riscatto personale e sociale. Il fallimento del femminile, in questo caso, si tramanda tra le generazioni, così come il maschilismo patriarcale autoritario e i suoi guasti psicologici e relazionali. Questo tipo di maschilismo soffoca ogni progetto di vita degno di essere vissuto, il sogno di una realizzazione personale, l'amore, il rispetto, l'empatia, l'apertura culturale. Ne pagano le conseguenze i figli, e soprattutto le figlie, anche se apparentemente le cose sono cambiate. L'apparenza, in questo caso, è la falsa illusione di modernità in un contesto geografico sottosviluppato.
L'asservimento del femminile al maschilismo patriarcale e autoritario
L'asservimento del femminile nel Sud d'Italia, a un maschilismo patriarcale e autoritario, si paga con il prezzo di una visione della vita che ruota attorno alle miserie del materialismo, del denaro, del consumismo ignorante. Chi nel Sud 'fa soldi', in un modo o nell'altro, e non ha che appena appena un'istruzione di base sufficiente, poi identifica la sua falsa emancipazione con l'esibizione di beni materiali di lusso, come l'acquisto di una auto come la Mercedes-Benz, l'auto dei ricchi, o un Rolex, un braccialetto o una catenina d'oro. Sono questi i simboli di uno status 'superiore' agognato, là dove la miseria morale e psicologica, come la povertà materiale o l'acquisizione di uno status economico migliore, si confondono con il patriarcalismo e i suoi effetti perversi.
Il pregiudizio razzista di Emil Cioran verso la donna
A ventitre anni, Emil Cioran pubblica Al culmine della disperazione (Cioran, 1934, tr. it. 1998). Si tratta di un saggio metafisico sulla sofferenza e sul negativo, a partire dalle crisi d'insonnia che lo stesso autore ebbe a soffrire per sette anni nella sua giovane età. Forse fu la scrittura a salvarlo dal suicidio che incombeva nella sua esistenza, lacerata dall'incubo del non poter dormire. Da un recente studio, serio e notevole, (Laignel-Lavastine, 2002, tr. it. 2008) sulla giovinezza di Cioran, sappiamo, inoltre, che egli aderì alla setta fascista della Guardia di ferro. Cioran insieme a Mircela Eliade, il grande storico delle religioni, furono, negli anni Trenta, filofascisti e filonazisti nella Romania di quel periodo che era alla ricerca di un'identità nazionale. Cioran scrisse quel suo primo e importante saggio nel 1934, quando già aveva sposato la visione reazionaria nazionalista del suo Paese. In quel libro Cioran scrisse anche il suo pensiero sulla donna, considerandola non solo inferiore all'uomo, ma anche incapace di essere una persona creativa quanto l'uomo.
Scriveva, a tal riguardo, Cioran:

Le vere donne sono quelle che ci consentono di dimenticare i problemi, le idee, le angosce universali e i tormenti metafisici. Per gli afflitti dell'inquietudine metafisica, l'intimità con una donna riequilibra ed è di conforto. Grazie alle donne si può pervenire temporaneamente a un'inconscienza dolce e piacevole. Nate quasi solo per amare, esauriscono tutto il contenuto del loro essere nello slancio erotico. Amano più degli uomini e soffrono di più. mentre l'uomo dall'amore o da una grande sofferenza ricava un pensiero o un senso di universalità, per le donne queste esperienze restano strettamente personali. Non c'è donna che, soffrendo, scopra l'essenza della sofferenza, poiché queste creature sono impenetrabili all'universale. Creature eminentemente emotive, non trasformano né trasfigurano le loro esperienze, non le vivono con un'intensità catartica e sublimatrice, ma se ne lasciano sopraffare. I loro stati d'animo non sono creativi, poiché si mantengono in una sfera puramente individuale e contingente, e come tali mancano di significato e di valore simbolico, di un senso rivelatore. La donna è un'animale incapace di cultura e di ingegno, e quando si tenta di spiegare la sua sterilità tirando in ballo le condizioni storiche, si dà soltanto una dimostrazione della più crassa ignoranza. Le donne non hanno creato niente in alcun campo.
(Cioran, 1934, tr. it. 1998, p. 104)

Quello che dice questo intellettuale di origine rumena sulla donna è sicuramente ributtante e insostenibile, anche perché la seconda metà del Novecento ha dimostrato ampiamente quanto cambiando il contesto sociale, politico, economico e culturale a favore dell'emancipazione delle donne, è possibile che loro si distinguano in qualsiasi campo dell'impegno umano, anche quello del pensiero, e che le donne non sono "Creature eminentemente emotive" incapaci di pensare. Del resto, già Simone de Beauvoir, nella prima metà del Novecento, seppe dimostrare, con il suo esempio, cosa sa fare una donna, come filosofa e scrittrice. Il suo importante saggio Il secondo sesso (de Beauvoir, 1949, tr. it. 2008) è un'opera di settecento pagine che sta alla base del pensiero sull'emancipazione della donna, un invito a superare i pregiudizi della società patriarcale e maschilista. Cioran è morto nel 1995, e all'epoca del '68 viveva già a Parigi da un pezzo, quindi ha potuto constatare il cambiamento che era in atto nella società francese. Nel '68 Cioran aveva cinquantasette anni, e c'è da chiedersi se la pensasse come quando ne aveva ventidue rispetto alla donna, cioè all'età quando scrisse Al culmine della disperazione. Il '68 è stato l'anno in cui i movimenti sociali hanno fatto esplodere alcune delle più importanti contraddizioni della società maschilista, è stato l'anno in cui il Movimento della donna ha iniziato a farsi sentire con grande scalpore, mettendo in crisi il rapporto donna-uomo, almeno come fino allora era stato ipocritamente concepito dalla società degli uomini.
Cioran aveva dunque, nel 1934, una concezione della donna fortemente maschilista. Egli vedeva la donna in funzione della soddisfazione dei suoi bisogni sessuali, anche se in lei individuava altre due importanti funzioni da svolgere: l'allevamento dei figli; l'ascolto empatico e la comunicazione. Non c'è dubbio che la visione della donna di questo intellettuale era politicamente reazionaria, come oggi, in Italia, è reazionaria la posizione di un giornalista come Giuliano Ferrara, direttore del quotidiano Il foglio, che un tempo, quando Bettino Craxi era vivo, militava nelle file dei socialisti. Dopo è diventato filoberlusconiano, mentre nel 2008, in vista delle elezioni politiche del 13-14 aprile, si è rivelato un leccapiedi del Papa fondando il partito "Aborto, no grazie", e venendo contestato soprattutto dalle donne in tutte le piazze d'Italia dove ha cercato di svolgere un comizio contro l'aborto.
Donna, società degli uomini, economia neoliberista e potere
Dopo tanti contributi teorici da parte delle filosofe femministe, il Movimento per i diritti della donna sicuramente ha promosso la causa delle donne nella società degli uomini, ma se da una parte alcuni risultati, in termini di parità con l'uomo, si sono ottenuti, è anche vero che questi risultati sono condizionati e limitati dal tipo di società ed economia che caratterizzano le epoche storiche e i contesti geopolitici. E questo vale anche per l'Occidente post-'68 del Novecento.
L'ondata di neoliberismo, a partire dagli anni '70 fino a oggi, ha sicuramente condizionato le conquiste paritarie delle donne. Un esempio è dato dalla regressione provocata dal capitalismo attuale con la strategia del lavoro flessibile, rendendo la maggior parte dei lavoratori dei precari. Il precariato lavorativo diventa così discriminante: 1) per tutti i lavoratori; 2) due volte discriminante per la donna, sia come lavoratrice che come donna, in quanto non viene tutelata per la sua specificità femminile (per esempio, rimanere incinta e chiedere un permesso per il periodo di gravidanza; un permesso per allevare il bambino prima che possa andare all'asilo nido); 3) discriminante ancora di più per gli extracomunitari, donna o uomo che sia, che si vogliono inserire nel mercato del lavoro di un Paese europeo e farne parte come cittadini a tutti gli effetti.
Se le osservazioni di Simone de Beauvoir contenute nei suoi scritti, per esempio nelle conferenze del 1966 raccolte in italiano nel libro La donna e la creatività (De Beauvoir, 1966, tr. it. 2001), sono ancora attuali, occorre ricontestualizzarle alla luce di quello che nei decenni succesivi è successo nel mondo. Il bilancio che, come già abbiamo ricordato, ha formulato la Badinter nel suo libro del 2003 (Badinter, 2003, tr. it. 2004) su ciò che è rimasto delle lotte femministe, almeno fino a quando lei ha pubblicato quel saggio, è scoraggiante, al punto che lei stessa è stata portata, probabilmente suo malgrado, a prendere atto del fallimento di queste lotte, almeno in modo parziale, di fronte all'abbandono della maggioranza delle donne dal terreno della protesta sociale per fare valere i propri diritti di genere femminile, per migliorare lo status sociale, politico, economico.
La maggioranza delle donne, in Occidente, si è così 'adattata' alle condizioni di inserimento sociale dettate dagli uomini. Certo, qualcosa è cambiato rispetto a prima, e le donne godono, almeno sulla carta, di maggiori diritti. Nella pratica le cose non sono così. Ancora nel 2008 nei Paesi dell'Ovest (ma in Oriente è forse diversa la condizione della donna? In Cina com'è? In India? In Cambogia? Nel Vietnam? E in Medio Oriente? In Africa?...) le posizioni chiave del potere sono prevalentemente riservate agli uomini, tranne alcune eccezioni nei primi anni del XXI secolo come, per esempio, Angela Merkel che diventa cancelliere federale della Germania nel 2005, Michelle Bachelet presidente del Cile nel 2006, Cristina Elisabeth Fernandez de Kirchner che assume la guida come presidente della Nazione Argentina nel 2007. Tutte e tre queste donne diventano presidente dei loro rispettivi Paesi dopo i cinquant'anni. Sono però dei casi minoritari rispetto al resto dei Paesi del mondo.
Ci sono donne manager, donne psicologo, donne politiche, donne sindacaliste, donne in quasi tutti i lavori che di solito, in passato, sono stati riservati soltanto agli uomini, compreso, anche se raramente, la donna muratore. Nel 2008 ci sono più donne artiste di una volta, più donne docente universitario, come più donne nei lavori non dirigenziali (vigile, portiere, bidella, operatrice ecologica, infermiera, addetta a un call center...), e non solo come la classica segretaria. Ci sono più donne medico e avvocato. Oggi non ci sono solo ginecologhe o pediatre, come affermava la de Beauvoir (de Beauvoir, 1966, tr. it. 2001), ma anche psichiatre, e a volte psichiatre e/o psicoanaliste di grande successo, che scrivono saggi importanti e riconosciute dalla comunità del settore. Del resto, anche prima di affermarsi il femminismo, come lo conosciamo dalla seconda metà del Novecento a oggi, troviamo delle donne che, in modo eccezionale, si realizzano, nel campo della scienza (per esempio, Marie Curie), nella psicoanalisi (tra le altre, Anna Freud, Lou Andreas-Salomé, Melanie Klein, Joan Riviere, Karen Horney), nella pedagogia (Maria Montessori), come scrittrice (per esempio, Jane Austen, Emily Dickenson, Emily Bronte, Virginia Wolfe), e altro ancora.
Quelle in cui viviamo, in Occidente, ma anche in Oriente, sono società degli uomini. Sono loro che detengono il potere nelle istituzioni e nei posti chiave della società. D'altra parte, la donna che fa carriera solo in rari casi si mantiene fedele alla sua specificità femminile, e spesso assume stili di comportamento maschili nella sua attività professionale.
Nella rubrica di Ilaria Ciuti in la Repubblica Firenze, del 6 aprile 2008 p. VI, una donna le scrive una lettera per confessare una sua amarezza dolorosa. Diventa poliziotto e nell'ambiente di lavoro conosce un collega di cui si innamora e da cui è ricambiata. Si sposano e hanno anche due figli. Poi arriva il momento in cui lei fa carriera diventando commissario, mentre il marito rimane del grado che aveva. A quel punto, lui non sopporta l'idea che la moglie nel lavoro abbia una posizione gerarchicamente più alta. Il clima di coppia diventa sempre più litigioso e insopportabile, così arrivano alla conclusione che ci si deve separare, e i due si separano. La signora commissario allora formula, alla fine della sua letterina, la domanda: la felicità di coppia è incompatibile con la carriera? O si opta per il compagno, o per la carriera, non ci sono vie di mezzo, la signora sembra rispondersi ponendo soltanto la sua domanda. Se si interpreta questa lettera dal punto di vista della donna, allora si può supporre che ci sia una discriminazione nei suoi confronti: più la donna fa carriera, più rischia di mettere in pericolo la sua felicità di coppia. La disparità di ruoli lavorativi a favore della donna, sembra che la signora voglia dire, si paga con la compromissione della vita sentimentale privata. Se però interpretiamo questa stessa situazione dal punto di vista maschile, allora è l'uomo a sentirsi 'inferiorizzato' rispetto alla donna, e ciò lui non lo sopporta se è proprio la compagna del proprio posto di lavoro a fare carriera e lui no. C'è anche da osservare che nella società degli uomini in cui viviamo, non viene valorizzata la parità dei ruoli in tutti gli aspetti della vita, ma semmai ogni aspetto dell'esistenza umana è organizzatto in termini di potere e gerarchia. Su queste basi, anche il 'maschile' e il 'femminile' assumono delle connotazioni superiore/inferiore, come anche le istituzioni di qualsiasi tipo sono gerarchizzate in termini di potere, di alto/basso, e non sono organizzate in termini di parità di ruoli e differenziazione di funzioni. Solo in una società autenticamente socialista forse il progetto femminista si potrebbe realizzare, dove il socialismo non sia quello maschilista del "socialismo reale", cioè quella forma di socialismo che si è storicamente realizzato nei Paesi dell'Est, soprattutto in forma fallimentare.
Scrive, in maniera ammirevole e convinta, Simone de Beauvoir nella conclusione della seconda conferenza del 1966 dedicata a "La condizione odierna della donna":

Concluderei dicendovi dunque che a mio avviso il femminismo è lontano dall'essere superato e che al contrario occorre mantenerlo in vita; opporvisi, negarlo, non significa superare qualche cosa, ma regredire. Penso che il femminismo sia una causa comune sia all'uomo che alla donna e che l'umanità non potrà vivere in un mondo più giusto, meglio organizzato, in un mondo più valido finché le donne non avranno uno statuto più giusto e più corretto; in altre parole la conquista dell'eguaglianza coinvolge entrambi i sessi.
Inoltre le donne non devono fermarsi a delle rivendicazioni specifiche. occorre che esse ne amplino la portata, e che lottino anche a fianco agli uomini per un cambiamento generale della società, poiché non arriveranno a far trionfare la propria causa se non favorendo il progresso dell'umanità intera.
(De Beauvoir, 1966, tr. it. 2001, p. 57).

Credo che queste parole di Simone de Beauvoir possono far riflettere sul significato che debba avere il femminismo, e che cioè non è una ideologia di contrapposizione degli interessi della donna contro quelli dell'uomo, anche se nella società degli uomini organizzati secondo il criterio del potere e della gerarchia, e non della parità, purtroppo i due sessi spesso entrano in conflitto. Il femminismo in realtà, inteso nel senso della de Beauvoir, lotta per realizzare una migliore relazione tra la donna e l'uomo, ma questo traguardo comporta anche una riorganizzazione della società su basi paritarie e di uguaglianza effettiva, e non nominale.
Fin quando la società degli esseri umani rimane quella basata sul potere e la gerarchia, la disuguaglianza e i rapporti di forza intesi in senso sadomasochistico, allora non possiamo essere che lontani dalla possibilità di realizzare una società buona per entrambi i sessi. La società degli uomini, e non la società degli esseri umani che vivono in maniera paritaria, non può che essere basata sull'ingiustizia, la disuguaglianza, l'avidità di denaro, il dominio del più forte sul più debole. Una società degli uomini autoritaria non può che essere profondamente antifemminista. Una società del privilegio di una classe che domina sul resto delle altre classi, non può che essere profondamente ingiusta e antifemminista. Ecco perché la lotta del Movimento per i diritti delle donne non deve essere limitata solo alla conquista di alcuni diritti particolari. Certo, anche tali diritti sono importanti, ma tale lotta va anche al di là di tali richieste particolari come il diritto all'aborto terapeutico e il diritto al lavoro per le donne. Le donne devono perciò lottare al fianco degli uomini per una società degli esseri umani di tipo paritario, che superi le conflittualità di genere per una riconciliazione a un più alto livello di coscienza comune.
Si tratta di un'utopia, se consideriamo il tipo di società in cui viviamo oggi. Certamente, ma se non formuliamo delle utopie che ci sembrano impossibili, nemmeno il possibile può realizzarsi. D'altra parte, tutto ciò che l'uomo ha realizzato, in un primo momento è stato percepito con ostilità e giudicato puro vaneggiamento, appunto "utopia". D'altra parte, cos'è l'utopia, se non un progetto che non ha per il momento un suo 'luogo' e che lo cerca per dispiegarsi? L'utopia ha bisogno di tempo, e ciò che prima sembrava follia diventa, con la perseveranza, realtà condivisa da tutti.
Il progetto femminista trova una fondamentale e ineludibile difficoltà, dal punto di vista psicologico, rispetto alla possibilità di promuovere la possibilità di 'cambiare pagina'. Un cambiamento radicale che favorisca il passaggio dalla cultura del "dominio maschile" - come l'ha chiamata il sociologo Pierre Bourdieu (Bordieu, 1998, tr. it. 1998), a cui la donna partecipa passivamente e nei confronti del quale ha introiettato, a livello inconscio, le strutture fallocentriche - alla cultura paritaria dei sessi, è un progetto di portata rivoluzionaria e che va incontro a delle forti resistenze. Questo passaggio comporterebbe la possibilità di considerare la cultura della società degli uomini come esaurita e che solo passando a una elaborazione del lutto culturale nei confronti del maschilismo planetario, a una celebrazione della morte di tale cultura e delle sue strutture mentali introiettate che hanno stabilito per secoli che l'uomo è il dominatore e la donna un essere inferiore su cui esercitare tale dominio, si può costruire da quelle ceneri la nuova cultura della parità dei sessi.
Ciò che vale per l'individuo può anche valere per una cultura.Occorre provare un senso di colpa sano rispetto agli aspetti distruttivi della cultura fallocentrica nei confronti della relazione donna-uomo e della stessa organizzazione generale della società, per prendere coscienza delle schegge relative alla frantumazione dell'oggetto 'società' e del livello di psicopatologia che il "dominio maschile" ha realizzato e continua a realizzare, con danni incommensurabili nei confronti degli esseri umani in generale. Solo tale presa di coscienza ci pone di fronte alle nostre responsabilità individuali e culturali.
Solo una cultura basata sull'amore etico, la parita degli esseri umani, la giustizia, l'uguaglianza, l'eliminazione del potere perverso e la promozione del potere creativo, il diritto a una esistenza senza preoccupazioni materiali per tutti, può favorire la riduzione del livello di psicopatologia ambientale, e stigmatizzare le strutture mentali e la visione del mondo basate sulla competizione distruttiva, l'individualismo, la ricerca del massimo profitto con il minimo dei costi, la gerarchizzazione delle istituzioni, le relazioni basate su superiore/inferiore, alto/basso, ricco/povero.
Sociologi come Ulrich Beck, Robert Castel, Zygmunt Bauman sono dell'opinione, ognuno dal proprio punto di vista critico, che un salario minimo garantito per tutti i membri di una società sia un passo avanti importante verso l'umanizzazione della vita degli esseri umani. Una proposta utopica? E' utopica se non c'è la volonta degli uomini politici, dell'Ue, degli Stati Uniti d'America, e degli Stati del mondo, come dell'economia dominante, a muoversi in tale direzione. Se dei cambiamenti fondamentali di tipo politico ed economico fossero approntati a livello globale, un cambiamento epocale potrebbe essere raggiunto verso la realizzazione di un mondo migliore per tutti, e non solo a favore di alcune rapaci classi alte del pianeta.
Alcune note sulle differenze biologiche e cerebrali della donna e dell'uomo
Ci sono, in realtà, delle differenze tra donna e uomo che non sono, come dicono le femministe, soltanto di tipo sociale e culturale nel provocare la diversità dei ruoli tra i due sessi, ma che hanno radici proprio nell'essennza stessa delle matrici biologiche e psicologiche della donna e dell'uomo. Ci sono studi seri che affermano la differenza anche a livello cerebrale di genere. D'altra parte, il modo di funzionare differente del cervello maschile e del cervello femminile può stare alla base delle incomprensioni e delle liti tra i due sessi. Donna e uomo, allo stato di natura, si potrebbero comportare in termini di rapporti di forza e di potere, e l'avrebbe vinta il più forte sul più debole. Certo, questa potrebbe essere un'interpretazione darwiniana del rapporto tra i sessi.
Solo nelle società matriarcali la donna ha potuto detenere il potere allo stato assoluto, ma esclusivamente su una comunità di donne. Nel corso della storia, le società matriarcali appartengono a un lontanissimo passato, e in ogni caso sono state minoritarie e soccombenti. Oggi non ci sono più amazzoni. Tutte le società del pianeta sono società miste, nel senso che sono composte da entrambe i sessi, e di solito sono gli uomini a detenere il potere in tutti i gangli del tessuto sociale, politico, economico, scientifico, tecnologico, mentre alle donne sono concesse solo delle parti secondarie, anche se importanti, tranne alcune eccezioni.
Ritorniamo però alla questione delle differenze biologiche e cerebrali tra i due sessi. La prima differenza da ricordare è quella genetica. La femmina ha la coppia di cromosomi XX e il maschio la coppia XY, come sappiamo tutti. In un saggio del 1992, la Badinter osserva che in realtà l'uomo non è vero che possa considerarsi il sesso forte, ma, al contrario, è più debole di quanto si possa pensare per le sue fragilità sia del corpo che della psiche (Badinter, 1992, tr. it. 1993, p. 52). Dunque, la sociologa francese mette in questione gli stereotipi del sesso forte e del sesso debole, e li ribalta a favore della donna: è lei il sesso forte. Per cui non è la forza muscolare dell'uomo a determinarne la 'forza' di genere. La donna è più resistente dell'uomo a livello costituzionale.
Non c'è dubbio, d'altra parte, dal punto di vista morfologico, della differenza del corpo dei due sessi. Con la pubertà entrano in gioco gli ormoni differenti che caratterizzano in modo peculiare il genere femminile e il genere maschile. Estrogeni e progesterone modellano le fattezze del corpo femminile, nella sua messa in forma adulta. Il testosterone dà al corpo maschile la sua compiutezza morfologica virile definitiva. Se dal punto di vista della maturazione puberale, maschio e femmina raggiungono lo sviluppo conclusivo sessuale, tuttavia si trovano ancora all'inizio dell'età adolescenziale. Non sono soltanto i corpi, del resto, a differenziarsi nella loro complementarietà sessuale, ma a livello psicologico l'infanzia e le sue vicissitudini in seno alla famiglia, innanzitutto, preparano i figli ad acquisire lo statuto psicosociale di 'femmina' e 'maschio'. Con la pubertà, l'attivazione ormonale rende ancora più marcata la differenziazione maschile/femminile dei corpi. Se tutto ciò gli studi che si sono occupati dello sviluppo infantile e adolescenziale lo hanno reso palese, invece meno nota è la differenza tra l'uomo e la donna dal punto di vista del cervello.
Simon Baron-Cohen, professore di psicologia e psichiatria all'Università di Cambridge, ha pubblicato un interessante saggio sulla differenza cerebrale tra i sessi (Baron-Cohen, 2003, tr. it. 2004). Egli sostiene la tesi che si può parlare di un "cervello femminile" e di un "cervello maschile", e non di un cervello in generale dell'essere umano. L'uno e l'altro cervello sono caratterizzati da qualità mentali differenti, per cui lo sguardo percettivo del mondo può risultare diverso per ognuno di loro. Da qui i facili fraintendimenti. Così abbiamo, fondamentalmente, che il cervello femminile è "empatico", mentre il cervello maschile è "sistematico". Data l'importanza dell'argomento, per comprendere qui lo specifico del femminile, e d'altra parte, come una negativa, anche lo specifico del maschile, non mi rimane che tratteggiare sinteticamente quanto emerge da questo importante studio di Baron-Cohen sulla differenza cerebrale tra i due sessi.
Baron-Cohen giustamente ricorda che negli anni '60 e '70 del XX secolo si credeva, ideologicamente, che tra femmina e maschio non ci fosse alcuna differenza, e che le uniche diversità fossero quelle create artificialmente dalla cultura per discriminare le donne. Nel corso del tempo, le ricerche di laboratorio hanno però accumulato dati che mettono in evidenza che tra femmina e maschio ci sono delle differenze biologiche. D'altra parte, occorre evitare l'errore opposto delle femministe degli anni '60 e '70, affermando semplicmente che tra i due sessi esistono delle differenze soltanto costituzionali. In realtà, se tra il femminile e il maschile ci sono differenze, questo non toglie che tra loro non ci siano anche delle similarità che li avvicinano.
Così, Baron-Cohen è lontano dal voler riproporre dei pregiudizi sessisti a discapito della donna, come è stato fatto in passato per porla in una condizione di (falsa) inferiorità, provocando un'ingiustizia. La finalità della sua ricerca invece è opposta al sessismo che vuole sconfessare alla luce dei dati della conoscenza, da considerare in maniera responsabile. Il sessismo è un pregiudizio basato sul giudicare a priori gli esseri umani in maniera riduttiva, sulla base dell'appartenenza del sesso. Ciò naturalmente è sbagliato. D'altra parte, è errato considerare, per partito preso, che in ogni caso la madre sia il genitore più adatto per allevare i figli in caso di separazione e di decisione del giudice nell'affidare la prole in adozione. Invece può risultare che il padre sia più affidabile della madre, in certi casi, in quanto lei si mostra fredda e insensibile, mentre il padre empatico e premuroso verso di loro.
Ci sono donne, d'altro canto, che riescono a gestire nel migliore dei modi vari compiti e attività meglio degli uomini, specialmente nel caso dei rapporti umani e delle situazioni che richiedono solidarietà, mostrando empatia. Questa consapevolezza oggi è un dato acquisito dalle femministe e da loro è rivendicato con grande amor proprio. Anche in campi che storicamente sono stati considerati maschili come la matematica o la scienza, la donna ha dimostrato di saperci fare altrettanto bene.
Un altro esempio di Baron-Cohen sulla differenza dei due sessi è la scelta delle riviste dagli edicolanti. Il cervello femminile cerca periodici di moda, che si occupa della coppia, di psicologia, della famiglia, della bellezza o della cosmesi, ecc., mentre il cervello maschile cerca settimanali di scienze, sport, automobili, tecnologia, fotografia, ecc.
La specializzazione del cervello femminile nell'empatia e quello maschile nella sistematizzazione permette di ottenere dei vantaggi specifici. Nel caso del cervello femminile i vantaggi sono i seguenti: 1) favorire le amicizie; 2) permettere di prendersi cura della prole; 3) mettere in giro o ascoltare pettegolezzi; 4) assecondare la mobilità sociale; 5) comprendere il compagno con la propria empatia. Nel caso del cervello maschile, i vantaggi sono invece: 1) costruire e usare gli attrezzi; 2) essere in grado di darsi alla caccia e individuare le tracce; 3) commerciare; 4) occuparsi del potere; 5) ambire alla dominanza sociale (che comporta scarsa empatia e buona capacità di sistematizzazione); 6) diventare competenti (modo alternativo di salire nella gerarchia sociale); 7) apprendere la tolleranza alla solitudine (soprattutto per poter gestire determinate attività); 8) fare uso dell'aggresiività per assicurarsi delle pretese.
A questo punto però dobbiamo chiarire cosa Baron-Cohen intende per "empatia" e "sistematizzazione", dato che utilizza queste parole per sostenere che il maschio e la femmina hanno, tendenzialmente, cervelli differenti. Così egli definisce l'empatia nel seguente modo:

[L'empatia è] [...] la capacità di riconoscere i pensieri e le emozioni degli altri e di reagire con sentimenti consoni. [...] l'empatia è una reazione affettiva alle emozioni dell'altro che consente di capirlo, di prevedere il suo comportamento, di sintonizzarsi sulla sua lunghezza d'onda.
(Baron-Cohen, 2003, tr. it. 2004, p. 4)

Il cervello femminile, nella maggioranza delle donne, si basa su questa qualità, egli afferma. Certo, non si può dire che tutte le donne sono in eguale misura dotate di empatia. Ci sono quelle con una capacità empatica scarsa, quelle che lo sono molto, mentre la media delle donne è, per così dire, dotata di una certa empatia.

Consideriamo, adesso, la sistematizzazione, ossia la qualità principale che caratterizza la maggioranza dei cervelli maschili. Baron-Cohen la definisce nel seguente modo:

La sistematizzazione è la tendenza ad analizzare, vagliare ed elaborare sistemi. Chi sistematizza capisce in maniera intuitiva il funzionamento delle cose e deduce le regole fondamentali di un sistema per poi comprendere e predire il suo comportamento o per inventare un nuovo sistema.
(Ibidem, p. 5).

La sistematizzazione si basa sulla modalità di pensiero "se...allora". In altri termini, essa considera tre momenti essenziali: l'input, l'operazione, l'output. Per comprendere la dinamica della sistematizzazione, Baron-Cohen formula un esempio semplice considerando l'interruttore che accende una lampadina elettrica. La luce è l'input, il premere l'interruttore che accende la lampadina elettrica è l'operazione, l'obiettivo raggiunto dell'accensione della lampada l'output.
Così, l'empatia permette di "gestire le centinaia di emozioni umane", come la sistematizzazione permette di "gestire un numero enorme di sistemi". D'altra parte, la sistematizzazione è del tutto inutile se applicata alla comprensione delle emozioni umane, come l'empatia non serve a nulla se impiegata a gestirre i sistemi. Si tratta, dunque, di due qualità e di due processi complementari del cervello, e ognuna può essere presente in entrambi i cervelli, maschile e femminile. Tuttavia, nella donna si riscontra in misura maggiore e nella media l'empatia, mentre nell'uomo la sistematizzazione. D'altra parte, come la donna può far funzionare anche il suo cervello in senso sistematico, così anche l'uomo può mostrarsi empatico. Il fatto è che la sistematizzazione non caratterizza in maniera specifica il cervello della donna, come l'empatia non caratterizza in maniera peculiare quello dell'uomo. Le eccezioni ci sono, le regole pure.
Il modo più appropriato per comprendere il prossimo è dovuto all'empatia. Applicare la razionalità per comprendere una persona è di nessuna efficacia. Così l'empatia e il sistemare si rivelano due processi cerebrali completamente opposti. Se si vuole predire il funzionamento di qualcosa, allora è utile ricorrere alla sistematizzazione, se invece si vuole capire il comportamento umano la qualità appropriata è l'empatia.
Se il lavoro di Baron-Cohen rimane una ricerca importante per comprendere la differenza cerebrale dei due sessi, tuttavia commetteremmo l'errore riduttivo se considerassimo soltanto l'empatia e la sistematizzazione come le uniche qualità e gli unici processi che distinguono il modo di funzionare del cervello femminile e del cervello maschile. Credo che entrino in gioco tante altre caratteristiche che possono caratterizzare i due cervelli, tra le le altre quelle che riguardano il comportamento sessuale, e le caratteristiche di personalità che probabilmente sono meno specifiche rispetto al genere sessuale.
La coppia creativa







Jean-Paul Sartre e Simone de Beauvoir





Simone de Beauvoir ha individuato nella "donna indipendente" l'ideale di donna che lei stessa ha voluto incarnare, da autentica femminista che è stata. Con Jean-Paul Sartre portò avanti una relazione apparentemente 'paritaria', ma, a mio parere, lei si appoggiò molto sulla filosofia esistenzialista che venne elaborando il suo compagno. Certo, è difficile dire che il pensiero di Sartre sia solo frutto delle sue riflessioni sulla vita, e delle letture delle opere dei filosofi che per lui erano significativi. Possiamo anche ipotizzare che il dialogo intellettuale, oltre al sodalizio d'amore, con la de Beauvoir abbia creato il clima di incubazione del suo pensiero. In tal caso, è Sartre che deve molto alla de Beauvoir, anche se quello che le deve non è scritto da nessuna parte, ma faceva parte dell'arricchimento umano vivo della loro relazione. Kierkegaard scrisse la sua opera filosofica dedicandola a Regina Olsen, la fidanzata a cui rinunciò per un'oscura motivazione che lui indicava con un'espressione metaforica, la "spina nella carne". Anche se Kierkegaard non ebbe una relazione matrimoniale con la Olsen, tuttavia rimase la sua musa ispiratrice. Dante Alighieri dedico il Paradiso della Divina Commedia a Beatrice. Gli esempi si potrebbero moltiplicare, ma non è su questo che qui ci vogliamo dilungare. Quello che si vuole sottolineare è che la mente umana è duale, e che per attivare i processi dell'immaginazione creativa ha bisogno di 'ispirarsi' a un "oggetto d'amore", come direbbe la psicoanalisi.
Se la de Beauvoir è stato l'"oggetto d'amore" per Sartre, il suo Castoro, come la chiamava con un termine che rimanda alla loro 'cultura privata di coppia', possiamo anche ribaltare questa psicologia, e affermare che Sartre era l'"oggetto d'amore" della de Beauvoir. La loro reciproca 'fedeltà di fondo' era affettiva, intellettuale, anche se non sessuale, perché ognuno di loro ebbe modo di tradire l'altro sessualmente. Questa loro unione così non impedì, ad ognuno di loro, di avere delle relazioni con altri partner. Erano allo stesso tempo 'fedeli' l'uno con l'altra e viceversa, a livello profondo, ma allo stesso tempo liberi di realizzare accoppiamenti con altre persone, di avere altre storie d'amore.
Tutto ciò non toglie nulla alla grandezza della figura intellettuale della de Beauvoir. Anzi, ci dice qualcosa sul legame di fratellanza che lei ebbe con Sartre, oltre che ad esserne legata sentimentalmente. Uso il termine "fratellanza" non a caso, anche perché la de Beauvoir vede nella fratellanza un valore importante che cementa l'amicizia tra donna e uomo. Come sappiamo, i due intellettuali non si sposarono, ma furono compagni per tutta la vita, a partire dal momento in cui si conobbero nel periodo degli studi universitari.
Sartre e la de Beauvoir erano una coppia inossidabile, legati affettivamente e intellettualmente. Ognuno dava reciprocamente sostegno all'altro. La loro relazione era nutrita da continue conversazioni che arricchivano e animavano il loro immaginario. Tuttavia, Sartre seguiva la sua elaborazione di pensiero secondo la propria immaginazione concettuale. E anche la de Beauvoir aveva una sua relativa indipendenza, ma non possiamo passare sotto banco che lei doveva molto al pensiero del suo compagno. Se, per esempio, consideriamo il suo lavoro Per una morale dell'ambiguità (de Beauvoir, 1947, tr. it. 1964), fin dalle prime pagine il riferimento alla filosofia del monumentale L'essere e il nulla (Sartre, 1943, tr. it. quinta ed., 1975) è palese.
La de Beauvoir si muove nel perimentro sartriano della libertà, del farsi mancanza "affinché" l'uomo dal nulla possa tendere a una pienezza d'essere. L'"affinché" denota una intenzionalità, il farsi nulla in realtà è la condizione necessaria per tendere all'essere attraverso il progetto. (de Beauvoir, 1947, tr. it. 1964, p. 11). Il fallimento, osserva la de Beauvoir, è una presa di coscienza della sua stessa ambiguità, in quanto esso può celare le precondizioni per un'azione che porti al successo. Senza fallimento non ci sarebbe nemmeno bisogno di porre una questione morale. In Sartre il fallimento è ambiguo: solo nella misura in cui l'uomo si nullifica può aspirare ad essere, e questo nullificarsi è "mancanza d'essere" (de Beauvoir, 1947, tr. it. 1964, pp. 10-11). Il saggio sulla morale dell'ambiguità, deve molto all'esistenzialismo sartriano, ma prende le mosse anche dall'opera di Kierkegaard, approfondendola in quelli che, con Max Weber, potremmo chiamare "idealtipi", cioè dei modelli di uomo (l'avventuriero, il critico, l'uomo appassionato, il sotto-uomo, il nichilista, l'uomo serio) secondo l'atteggiamento estetico.
Dunque, Sartre e la de Beauvoir costituivano una coppia creativa, i cui 'figli simbolici' erano il loro pensiero e i loro libri, più che della prole in carne e ossa. La coppia, infatti, non ebbe figli biologici, anche perché non avrebbero avuto probabilmente nemmeno il tempo da dedicare a loro. La de Beauvoir è, fondo, un modello di femminista che si è legata al suo uomo Sartre, come donna libera. Ha amato Sartre fino all'ultimo momento in cui lui ha avuto l'ultimo respiro, ormai vecchio e malato, quasi cieco, morendo nel 1980. Dopo la morte di Sartre, la de Beauvoir pubblicò un libro in cui parlava del suo amato compagno in una maniera che ha spiazzato l'opinione pubblica, descrivendo in maniera cinica com'era lui negli ultimi tempi, e alla sua fine. Lei lo seguì alcuni anni più tardi, nel 1986, chiudendo un'epoca: l'epoca esistenzialista. Tutti e due sono state persone creative ad altissimo livello, e in ciò si sono realizzate. E', in fondo, ciò che si auguraalla maggior parte degli esseri umani, di realizzare il loro potenziale umano, anche se la realtà dice che accade tutto il contrario e che gli ostacoli alla propria realizzazione sono innumerevoli da parte dell'ambiente.
Sartre, tra le altre cose interessanti che ha detto, ha messo in evidenza che la vita è assurda, senza senso, e che spetta ad ognuno di noi inventare il suo senso personale esistenziale. Il fascino che ogni essere umano dovrebbe avere, in linea di principio, è da individuare nell'originalità della sua individualità, in ciò che lo rende unico dagli altri. L'uomo si sente realizzato quando viene riconosciuto dagli altri, per l'espressione del suo potenziale umano. La realtà invece è sgradevole per molti, perché impedisce loro di esprimere il meglio delle loro doti. Come scrisse Sartre in Porta chiusa (Sartre 1945, in tr. it. sesta ed. 1995, p.p. 165), "l'inferno, sono gli Altri". Le emozioni negative che albergano nell'animo umano, quando vengono agite, onvece di essere consapevolmente elaborate e trasformate, costituiscono l'inferno delle relazioni umane, perché reciprocamente si tende a farsi del male.
La creatività della coppia Sartre-de Beauvoir è la creatività di una coppia che 'funziona', dove ognuno è il motore e il contenitore delle emozioni dell'altro, ed entrambi riescono ad attivare creativamente la loro immaginazione per creare un mondo che trascende la coscienza, un mondo di significati e di parole che li veicolano, che creano una filosofia, una letteratura, un teatro.
La coppia Sartre-de Beauvoir è simile alla coppia paziente-terapeuta dell'esperienza psicoterapica o analitica, quando il paziente è dotato e il terapeuta è molto in gamba, e si intendono a meraviglia. La coppia terapeutica che funziona bene crea pensieri che arricchiscono la mente non solo del paziente, ma anche del terapeuta. Forse, in questo senso, non è un caso che L'essere e il nulla di Sartre si proponga come una summa di "psicanalisi esistenzialista". Credo che una cosa simile si possa dire per la coppia donna-uomo creativa, quando s'intendono in maniera sintonica.
Creatività e amore
La creatività ha bisogno dell'amore per attivarsi nella persona, e una persona creativa è sempre due pur essendo una. L'affermazione può sembrare paradossale, ma in realtà vuol dire che per essere crreativi abbiamo bisogno che la nostra mente si senta amata da un'altra persona, così come il bambino piccolo per svilupparsi mentalmente ha bisogno di essere amato teneramente dalla madre che se ne prende cura totalmente.
L'adulto attiva la sua creatività quando si sente una persona degna d'amore e che viene amata da un'altra persona. L'amore risveglia la parte migliore di noi. Questo vale per l'uomo come per la donna. E l'amore a generare nella mente i figli simbolici. Non è un caso che Amore e Psiche, il mito che ci viene raccontato da Apuleio in una parte de Le metamorfosi (Apuleio, II sec. d.C., tr. it. sesta ed. 1987), presiede l'esperienza psicoterapeutica o analitica (Hillman, 1972, tr. it. 1979). Quando Amore e Psiche si uniscono armoniosamente, come può avvenire nel sogno, allora la mente è simbolicamente 'guarita', e dalla loro unione possono nascere i 'figli simbolici'. Cos'è, in fondo, la creatività se non un 'parto simbolico' della mente dei suoi doni immaginifici? La psiche diventa fertile quando si sente amata, e l'amore 'ingravida' la psiche mettendo al mondo le sue invenzioni creative. Anche la relazione donna-uomo ha bisogno dell'amore per diventare una relazione creativa che continua a rinascere, giorno per giorno, in maniera sempre 'nuova' e soddisfacente per entrambi i partner della coppia. Peccato che le coppie creative siano una minoranza rispetto alla maggioranza delle coppie, e che molte coppie di questa maggioranza poi divorziano.
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