INDICE
1. Il malinteso di Albert Camus
2. Empatia e disempatia
3. La personalità che fraintende (capire una cosa per un'altra)
4. L'equivoco culturale nella comunicazione (la psichiatria transculturale insegna)
5. La malafede (Sartre)
6. Il doppio vincolo (Bateson)
7. La confusione delle lingue (Ferenczi)
8. Il pregiudizio e lo stereotipo (la psicologia sociale insegna)
9. La fabbrica politica della macchina del fango nel Paese del Tacco
10. L'inganno/pregiudizio dell'algoritmo (sequenze di istruzioni computerizzate)
Riferimenti bibliografici
Riferimenti cinematografici
1. Il malinteso di Albert Camus
Intendere male, sarebbe questo il malinteso, ma si 'intende male' e si cade in un 'pensiero' di causa-effetto distorto, fin dall'inizio, di una relazione dalle conseguenze fatali, probabilmente perché la personalità di chi 'intende male' è disturbata, come nel caso del personaggio di Marta dell'opera teatrale tragica Il malinteso (1944, tr. it. in 1993, pp. 5-50) di Albert Camus. Marta, una donna di 30 anni, e la madre di 60 anni, dopo che il figlio Jan se ne è andato via, vent'anni prima, gestiscono uno squallido albergo di uno sperduto paesino della Boemia, da cui specialmente Marta spera un giorno di andarsene via, agognando una futura esistenza in un posto di mare.
Nel frattempo che Jan se ne è andato via per trovare la sua strada, suo padre è morto mentre la madre e la sorella, Marta, sono diventate delle assassine che uccidono e derubano i loro clienti d'albergo. I clienti privi di vita, perché hanno bevuto una bevanda drogata, poi vengono trasportati vicino al fiume e lasciati trascinare dalla corrente dell'acqua, privi d coscienza, se non vengono già uccisi in albergo.
Jan si è sposato con Maria. Lui ha 38 anni mentre la moglie 30. Loro due sono molto innamorati reciprocamente. Jan si è realizzato economicamente nel luogo dove è andato a vivere, e adesso desidera ritornare dalla madre e dalla sorella per portare il benessere economico, per aiutarle a vivere meglio anche loro.
Tuttavia, Jan, dopo un'assenza totale di vent'anni dalla famiglia d'origine, vent'anni che non frequenta più i suoi familiari, ora è imbarazzato, non sa essere diretto e franco nel rivelare la sua identità a madre e sorella, così prende la decisione di rivelarsi gradualmente, iniziando a presentarsi sotto un'identità fittizia, nonostante il parere contrario di Maria che invece è per rivelarsi direttamente subito per la sua vera identità. Jan, invece, dichiara a Marta, quando arriva all'albergo, di essere un altro, un certo "Haseck Karl", per vedere come viene accolto dai suoi familiari d'origine.
Ma andiamo con oridine. Maria non vorrebbe lasciare Jan e nei suoi confronti è molto possessiva, esprimendo il suo amore verso di lui. Il suo consiglio è di rivelarsi immediatamente, ma Jan non accoglie il consiglio della moglie. Ai suoi familiari vuole presentarsi come un cliente qualsiasi che cerca una stanza singola.
Marta ha sviluppato una personalità disturbata, si mostra fredda, rigida, distaccata, anaffettiva, e che non vuole dare confidenza a un cliente sconosciuto, per cui si mostra molto difensiva e apparentemente indifferente, tipico di un'assassina sociopatica che continua ad esserlo. Quando Jan si presenta, da solo, per chiedere una stanza lei dice che è capitato nel momento sbagliato, cioè quando le due donne, madre e figlia, amministratrici dell'albergo, hanno intenzione di chiudere l'attività alberghiera e andarsene via da quel posto. Così Marta deve prendere la 'decisione' se accogliere lo 'straniero' nell'albergo oppure no. Decide per il sì, ma, precisa, solo per trattarlo come tutti gli altri clienti. In che modo 'trattarlo come tutti gli altri'? C' è qui un sottinteso che, ovviamente, Jan non conosce. Marta come ha trattato gli altri clienti? Lì ha uccisi, o addormentati con un potente sonnifero, prima di trascinarli con la madre nella corrente del fiume vicino all'albergo. Morte certa, a quanto pare. Naturalmente, prima ai clienti gli sono state vuotate le tasche dei loro averi. Dunque, il sottinteso che noi lettori del dramma ancora non conosciamo è che Marta intende, a livello latente, trattare questo nuovo cliente, "Haseck Karl", come tutti gli altri che sono stati addormentati o uccisi e poi derubati. A livello manifesto, le parole di Marta possono essere intese a livello di 'cortesia' formale circa il comportamento deontologico che un albergatore deve tenere con i suoi clienti.
2. Empatia e disempatia
Le 'cose buone' che il bambino ha ricevuto, soprattutto nel corso del rapporto con la madre, e poi con il padre, e in misura minore, anche se importante, con eventuali fratelli e sorelle, nonni e altri parenti, costituiscono i mattoni della sua personalità. Proprio perché ci costituiamo essenzialmente come 'presenze del mondo' gli altri sono, direttamente o indirettamente, altre 'presenze del mondo' simili a noi, con cui solo potenzialmente diventano nostri interlocutori. In ogni caso, se la comunicazione tra esseri umani fa sentire parte dello stesso mondo, non è detto che si desideri entrare in relazioni con tutti gli esseri umani, perché siamo simili, vero, ma siamo anche differenti per personalità e cultura, per lingua e aspetto fisico, e per altre differenze ancora, senza però giustificare il razzismo, che è sempre riprovevole, e che si esprime come fenomeno disempatico.
A partire dall'ascolto degli altri e del mondo, noi ascoltiamo pure noi stessi e diventiamo tendenzialmente empatici. L'empatia inizia con l'ascolto e ascoltare i nostri sentimenti rispetto alle risonanze interiori che gli altri hanno su di noi, ci permette di cercare di comprenderli, anche profondamente nei sentimenti e nelle emozioni, che apprendiamo nella risonanza dentro di noi e dandogli il nome corretto.
Potrei parlare dell'empatia con Edith Stein, Heinz Kohut, Frans de Waal, solo per citare alcuni nomi, ma preferisco, in questa sede, dare per scontato la loro lettura, e formulare delle libere riflessioni.
Su base economica ci può essere una differenza di classe sociale (ricco capitalista, classe media, classe operaia o classe manuale, sottoproletario o nullatenente in termini di beni materiali o economici) o di ceto (che consumi ci si può permettere?, a quale classe si appartiene rispetto al reddito?, ma il ceto riguarda come il denaro si spende, quali gusti si coltivano, quali case si preferiscono possedere se si hanno i capitali per comprarle? Il ceto differenzia come ci si veste, quali persone si frequentano, che cibo o quali bevande ci si può permettere, quali hobby si praticano, se di élite o di massa, e così via). Le differenze tra le persone non impedisce loro di entrare in rapporto reciproco, di sentirsi appartenere a un mondo comune. La lingue è forse lo scoglio più difficile per comprendersi, per empatizzare. La differenza delle lingua può provocare malintesi linguistici nella comprensione reciproca, ma non sono difficoltà insuperabili.
La Rivoluzione francese, nonostante il sangue che è costata, ha partorito tre famosi valori che tutte le nazioni democratiche dovrebbero porre tra i loro principi di base e metterli in pratica, e non solo la Francia: libertà, uguaglianza, fraternità. Fra questi tre, il valore più difficile da realizzare è proprio la fratellanza, basti guardare alle guerre e alle perdite di esseri umani nel corso del XX secolo in termini di milioni, causate dalle atrocità dei due conflitti mondiali, delle persone ferite, e delle ulteriori guerre sparse in diversi territori del pianeta, per capire che la "fratellanza" è un valore così difficile da mettere in pratica.
Oggi, nel secondo decennio del XXI secolo, si è accresciuto l'individualismo neoliberista in maniera abnorme nelle società occidentali, e questo tipo di individualismo narcisista e cinico, incapace di empatia, anche tra psicologi, psichiatri, psicoanalisti, impedisce alla radice il valore della fratellanza. Le persone che vivono nelle metropoli sono come degli zombie indifferenti, ognuno per conto suo, incapaci di creare legami interpersonali. I rapporti interpersonali sono solo finalizzati a scambi commerciali, e chi è gentile o saluta il prossimo viene deriso.
La fratellanza un poco c'era quando le società occidentali erano più marxiste, forse un poco comuniste. Oggi che ha vinto il neoliberismo, a partire dalla Thatcher in poi, dunque dagli anni '70 del Novecento, si è insinuato nelle reti sociali, come un serpente velenoso, questa ideologia del nuovo capitalismo (Hayeck, Freedman, Nozick, ecc.), del capitalismo finanziario patologico, che ha portato alla prima depressione economica mondiale del 2007-2008 e che continua a proiettarsi ancora nell'anno in cui scrivo, il 2016. La Thatcher è, a mio avviso, alla radice dell'individualismo malato ed estremo di oggi, anche perché lei diceva, in forma ideologica, ovviamente, che non esiste la società, ma solo gli individui e le famiglie! In questo modo la Thatcher inaugurava la morte del Welfare State, dello Stato sociale, delle istituzioni al servizio dei cittadini. Con la Thatcher iniziava l'era dell' "individualizzazione", come dicono i sociologi della globalizzazione, ossia che ogni cittadino, non potendo più contare sulo Stato, doveva cavarsela solo con le proprie risorse, dunque ricorrendo al solo "fai-da-te".
Essere fratelli, dunque solidali, oggi è molto difficile. Spesso la retorica politica è piena di parole come 'fraternità', a destra come a sinistra. Sono stati proprio i 'fratelli' Caino e Abele a entrare in conflitto tra loro, come racconta il Vecchio Testamento, e dove Caino ha ucciso Abele. Non conta niente avere sensi di colpa dopo che si è ucciso. Bisogna "trattenersi" (v. Onfry, 2012, tr. it. 2013) prima di uccidere, per evitare quella che potrei chiamare la disempatia automatica, impulsiva, sociopatica. Non ha senso piangere lacrime ipocrite "da coccodrillo", dopo che si è provocato un danno irreparabile!
E' troppo facile uccidere e rubare, truffare e danneggiare gli altri, fare il proprio tornaconto egoistico e poi recitare di essersi pentiti davanti la macchina della giustizia solo per non subire pesanti condanne penali. Nel film di Stanley Kubrick, Arancia meccanica (titolo originale A Clockwork Orange, Regno Unito, Stati Uniti, 1971), tratto dal romanzo omonimo di Anthony Burgess, la banda di Alexander DeLarge e dei suoi Drughi (Pete, Dim, George), ossia dei veri e propri bulli tardo-adolescenti e sociopatici, ruba, stupra donne, danneggia la proprietà altrui, dà botte ai malcapitati e uccide. Poi uno di loro viene preso dalla polizia e subisce il carcere, e per scontare una pena inferiore si sottopone a un programma di condizionamento cognitivo-comportamentale che lo rende indifeso, neutralizzando la sua naturale aggressività. Altri due della banda diventano poliziotti (i delinquenti che per identificazione con l'aggressore diventano apparentemente l'opposto, difensori delle istituzioni della società) che quando possono utilizzano la maschera del loro ruolo per commettere reati infami. E' quello che succede quando questi poliziotti, ex membri della banda delinquenziale dei Drughi, incontrano l'altro ex membro diventato, nel frattempo, un povero indifeso e lo maltrattano, invece di mostrarsi solidali con lui.
Fratellanza?, dove e quando? Ecco, come è difficile che l'essere umano pratichi questo valore in maniera genuina. Certo, se poi la 'fratellanza' si dovrebbe praticare tra delinquenti, è impossibile, perché tra di loro prevale la legge del più forte e del più perverso, se non del più disturbato mentalmente, per cui anche se in passato ci sono stati legami di appartenenza alla stessa banda, in condizioni differenti questi legami sono nulli e ritorna la psicodinamica biblica di Caino che uccide Abele. Caino e Abele erano legati da legami di sangue, erano fratelli, eppure succede che 'tra fratelli' ci si può scannare!
In questo senso, l'amicizia e la pace sono più significativi dell'essere fratelli, perché è proprio quando si è fratelli che scatta l'ambivalenza e i sentimenti distruttivi. Preferisco l'amicizia, che è un tipo di legame meno forte e più sano, quando c'è, alla fratellanza che uccide!
Albert Camus, che poi ha ricevuto, nel 1957, il Premio Nobel per la Letteratura, ha cercato di praticare l'amicizia quando si trovava in Algeria, suo Paese natale, figlio di una madre che parlava poco e che lavorava come donna delle pulizie, e di un padre che si occupava di agricoltura e morto in guerra quando Albert era ancora bambino. Camus a Tipasa (Algeria) praticava la filosofia solare, l'amicizia, il "pensiero meridiano".
Quando Camus si trasferì a Parigi si accorse che praticare l'amicizia era quasi impossibile in quel mondo borghese e individualista, dove ognuno era, in realtà, contro l'altro. Camus trovò negli anni '30 e '40 del Novecento un' Europa sanguinaria, dove il nazismo aveva portato ai campi di concentramento, alla tortura con l'acqua fredda, ai forni crematori, alle docce col gas, alle scalinate della morte, all'Olocausto, mentre senza essere di meno lo stalinismo aveva portato ai processi truccati dei dissidenti, ai gulag sovietici e allo sterminio di milioni di persone in URSS. Così il Partito comunista sovietico non era meglio del Partito nazista!
Sartre si schierò con i sanguinari di sinistra, Camus contro, pur ritenendosi 'comunista', un comunista che invece patteggiava per la vita. Sartre non ha preso una posizione critica e di distacco nei confronti della disempatia politica che si traduce nella violenza sanguinaria, Camus, invece, era per l'empatia politica del pensiero meridiano e pacifista (cfr. Onfry, 2012, tr. it. 2013). Il comunismo di Camus non era quello del 'dividere', ma quello dell'unire. Ad Algeri Camus era per la convivenza dei francesi con gli arabi, non per la violenza dei francesi contro gli arabi, o viceversa (v. il film di Gianni Amelio, tratto dal romanzo omonimo non terminato di Albert Camus, Il primo uomo, titolo originale Le premier homme, Italia, Francia, Algeria, 2011). Camus in realtà si riteneva un anarchico che amava la vita, un filosofo mediterraneo, un nietzschiano che amava la terra ed era interessato all'anarco-sindacalismo. Il malinteso di Marta, nell'opera omonima, è anche il malinteso di Sartre verso Camus.
Fratellanza in senso generale, allora, può significare:
1)legami di sangue tra fratelli che possono essere sani o malati in senso psicologico: quando sono sani c'è aiuto reciproco, volersi bene, lealtà; quando sono malati, generano odio fino all'assassinio intra-parentale;
2) solidarietà (condizionata);
3) rispetto dell'altro (condizionato);
3) pratica di valori trasparenti (lealtà), se si tratta di una fratellanza esistenziale, mentre se si tratta di una fratellanza politica può, purtroppo, trasformarsi nel suo opposto;
4) che a una promessa seguono coerentemente poi i fatti: 'avevi detto che avresti fatto questo e quello, perché poi non lo hai fatto, visto che siamo fratelli?, invece non sei stato di parola, mi hai tradito!';
5) condividere amichevolmente delle esperienze, in maniera disinteressata, nella 'fratellanza esistenziale'.
Fratellanza invece non è:
1) la furbizia malvagia;
2) l'ambivalenza;
3) l'eccesso di opacità;
4) dire 'sì' con un sorriso di gomma a cui segue, invece, un 'no' nel 'non detto' interiore;
5) la 'retorica sofisticata per le masse' che nasconde la 'pratica politica egoistica dell'azione' (le due facce di Giano);
6) strumentalizzazione dell'empatia, svuotata di senso, quando viene praticata per fini disempatici.
In quest'ultimo caso, il 6), il sincero punto di vista del subalterno S viene ricevuto con un 'sorriso' di facciata da chi interpreta il ruolo di potere P, in un campo di relazioni condizionate da rapporti di forza, dove quest'ultimo parla a S poi con falso 'garbo', per 'pugnalarlo alle spalle', approfittando dell'asimmetria dei rapporti di potere, praticando una maschera di 'empatia' come "falso Sé" e falsa relazione, condizionata politicamente, mentre P pratica la disempatia furbesca e malevola alle spalle di S!
Purtroppo, in certi ambienti di lavoro, molto politicizzati, accade questo, altro che fratellanza! In questi ambienti di lavoro si pratica l'ideologia retorica della fratellanza, ma non esiste la vera fratellanza. In questo caso, le relazioni di lavoro sono sempre sotto la minaccia del principio di castrazione se si dice la verità o se si è se stessi! In questi ambienti di lavoro non si può che indossare una maschera (difesa contro l'altro), come, del resto, fanno tutti.
La fratellanza autentica, intesa come esseri umani che si riconoscono in legami di amicizia e di aiuto reciproco, al di là dei legami di sangue, non tollera la maschera. Ne segue, inevitabilmente, che negli ambienti di lavoro politicamente condizionati e gerarchizzati non si può praticare la vera fratellanza, se non come retorica ideologica. In caso contrario, cioè nella 'fratellanza autentica', al dire seguirebbe una prassi di coerenza basata sulla solidarietà.
Per quanto riguarda il valore dell'uguaglianza, sappiamo tutti che è un valore della democrazia, e che non ci può essere vera libertà se non c'è uguaglianza, o almeno una società che tende a ridurre le disparità di classe sociale e le ingiustizie economiche, anche se la disuguaglianza non viene del tutto smantellata. I valori hanno senso quando sono veramente condivisi tra le persone, e non sono retorica del potere. Così, parlare di libertà ha senso in una società libera, non in una società neoliberista, parlare di uguaglianza ha senso in una società che tende all'uguaglianza, mentre 'dire una cosa' e 'praticarne un'altra' rende il dire falso e retorico, il fare una pratica egoistica e di potere.
Ormai è risaputo che nel mondo della globalizzazione da una parte c'è 'una minoranza di ricchi e ricchissimi', e dall'altra 'i poveri sempre più poveri', mentre la classe media a suon di tasse viene resa sempre più povera, in quanto i ricchi pur essendo tali godono privilegi che li rendono quasi esenti dal pagare tasse, anche se attualmente pare che anche loro sono tenuti a dare il loro contributo di fronte alla legge che impone la trasparenza dei redditi e che persegue più severamente i reati di corruzione, frode, evasione fiscale. La classe media, inoltre, viene resa povera dallo sganciamento dei contratti di lavoro dal costo della vita, per cui la vita costa sempre di più, ma i contratti di lavoro non vengono rinnovati e gli stipendi giacciono nella stagnazione del tempo, per cui se nel tempo A si poteva acquistare 10, nel tempo successivo B, a parità di stipendio non aumentato, si possono comprare con la stessa somma solo 7, poi 6, e più tardi 5, perché il resto se lo prende il governo, il comune, e altri enti, sotto forma di tasse. Così ci si impoverisce.
Il fumetto Dylan Dog, ideato da Tiziano Sclavi, nei numeri mensili 198 e 199 (marzo e aprile 2003), con soggetto e sceneggiatura di Michele Medda e disegni di Giovanni Freghieri, copertina di Angelo Stano, parlano della "disempatia", ossia della pratica della disumanità. Un tizio, un certo professor Emerick, la cui identità completa è Thomas Emerick Boyle, a Londra ha messo su dei corsi di disempatia per fare imparare ai corsisti come essere per niente 'buoni', essere del tutto cattivi, immoralmente competitivi, aggressivamente distruttivi, odiare il prossimo, infischiarsene degli altri, arrivare perfino all'omicidio, in poche parole essere disempatici [in altri termini, la filosofia praticata dai neoliberisti da almeno gli ultimi trent'anni del XX e dell'alba del XXI secolo]. Questo processo è mediato dal simbolo del dio Mazua di una tribù amazzonica. Emerick e il suo compagno di avventura Firth vengono fatti prigionieri da questa tribù e obbligati ad affrontarsi l'uno contro l'altro armati di una mazza, in presenza dei membri della tribù e del totem di legno che raffigura Mazua. I due amici, amici da vent'anni, ad un tratto sono costretti a mettere da parte la loro amicizia se uno di loro due vuole sopravvivere, come un mettere in atto il mito biblico di Caino contro Abele, con la tragica conclusione che uno dei due muore e l'altro sopravvive. In questo caso sopravvive Emerick, obbedendo a questa 'legge della giungla'. Nel fumetto però si tratta di una esemplificazione del detto di Plauto "homo homini lupus", l'uomo è lupo per i suoi simili, ripreso più tardi dal filosofo Hobbes.
Alla fine, questa pratica di estrema disumanità, con l'azione di Dylan Dog, naturalmente, si ritorce contro i loro praticanti e il loro 'maestro'. Dylan sfida Emerick, davanti agli altri corsisti nell'aula, a battersi l'uno contro l'altro. Il gioco di Dylan non è però quello disempatico, a differenza di Emerick. Così, nella lotta corpo a corpo, Dylan non reagisce, lasciandosi letteralmente massacrare dai colpi di Emerick. All'inizio i corsisti bramano 'sangue', come se si trovassero in un'arena dell'antica Roma, sotto l'influenza della disempatia, ma nell'andare avanti della lotta si identificano con Dylan, attivandosi in loro l'empatia e la compassione, e ritenendo scorretto il comportamento di Emerick, che a sua volta viene massacrato a botte dagli stessi corsisti.
Inoltre, successivamente a questo episodio, Emerick finisce in galera, non solo per come ha trattato Dylan, ma anche per aver cercato di truffare il fisco. La morale di questa storia è che la disempatia, insegnata in un corso di disinibizione dell'aggressività da un falso insegnante di psicologia, quale Emerick, è una pratica da abbandonare del tutto se si vuole vivere bene con se stessi e con gli altri, oltre che andare contro gli stessi principi che stanno alla base della civiltà, almeno quella occidentale.
Questo episodio sulla "disempatia" del fumetto Dylan Dog, in due puntate, è del 2003, ambientato, dunque, nella Londra di oggi che lo sceneggiatore Michele Medda rappresenta come cinica, super-competitiva, cattiva contro i colleghi di lavoro in difficoltà, invece di trovare da parte loro della solidarietà, e con capi spietati e crudeli che creano capri espiatori, invece di mostrarsi comprensivi, umani, tolleranti. Si tratta di una storia che ci fa capire verso dove non dobbiamo andare, cioè verso la disumanità, questa disumanità mostruosa che invece è perseguita dal capitalismo finanziario contemporaneo, lo stesso che ha provocato la prima crisi mondiale dell'economia occidentale del XXI secolo, a partire dai delinquenti sociopatici e truffatori di titoli spazzatura di Wall Street, e che poi, questa crisi economica statunitense, si è diffusa anche nei Paesi europei [v. i film Oliver Stone Wall Street, produzione USA, (1987) e Wall Street. Il denaro non dorme mai, produzione USA, (2010)].
Nell'anno 2013 abbiamo vissuto sotto le conseguenze dell'ombra di quelle manovre finanziarie criminali americane, che nella sola Italia ha portato a fenomeni quali una disoccupazione alta, suicidi soprattutto dei manager in difficoltà economiche, a partire soprattutto dalle disposizioni del Governo Monti, precarietà generalizzata dei giovani, aumento della corruzione in tutti i settori della società, compresa l'università, emigrazione di non pochi giovani verso i Paesi europei economicamente più sviluppati o negli Stati Uniti, in cerca di un loro posto dignitoso nel mondo, riduzione dei finanziamenti per scuola, università, sanità.
Tra gli esperimenti di laboratorio degli psicologi comportamentisti, c'è quello di due topolini che si contendono lo spazio di una stessa gabbia in cui sono rinchiusi e del poco formaggio che a loro viene messo a disposizione. Alla fine, per motivi di sopravvivenza, si aggrediscono tra di loro. Gli esseri umani, ovviamente, non possono essere paragonati a dei topi. Anche se apparteniamo al regno animale, siamo una specie particolare, speciale, perché assumiamo la posizione eretta del corpo, il nostro cervello ha la più sviluppata quantità di corteccia cerebrale rispetto alle altre specie di animali superiori consentendo, così, socialità ed empatia e la nascita della cultura e della civiltà, per cui solo in una condizione di regressione estrema e in cui siamo attaccati possiamo diventare, a sua volta, aggressivi, ma di solito, in condizioni di vita sociale civile, tendiamo a comportarci in maniera pacifica. Secondo l'orientamento della nostra cultura occidentale, viene premiato lo sviluppo dell'intelligenza, delle facoltà superiori della mente, dell' inter-soggettività relazionale empatica e orientata verso il riconoscimento reciproco.
I fenomeni di relazione perversa e di competizione patologica esistono, purtroppo, anche nelle società occidentali, nelle istituzioni pubbliche e private, come esemplifica il fumetto Dylan Dog sulla disempatia, di cui ho trattato sopra. La logica del capitalismo finanziario e della 'legge del più forte' (sic!) purtroppo inquina trasversalmente la società in cui viviamo. Gli antropologi è vero che hanno scoperto tribù, in qualche parte della Terra, che sono cannibali e aggressive verso altri esseri umani, forse verso gli stranieri o i membri di altre tribù, ma si tratta di casi rari dovuti alla loro particolare cultura bellica. Ne parlava già Michel de Montaigne nei suoi Saggi, riportando quanto gli era stato comunicato da qualche viaggiatore che aveva conosciuto dei cannibali.
5. La malafede (Sartre)
La bugia, allora, è un "comportamento di trascendenza". La coscienza si dà come "nascosta ad altri" per mezzo della menzogna. In questo caso entra in gioco "la dualità ontologica dell'io e dell'io degli altri". Al contrario, nel caso della malafede c'è solo "menzogna a sé". La maschera della malafede consiste, allora, nel presentare in una forma di mascheramento "una verità spiacevole" oppure nello spacciare come verità "un errore piacevole". In apparenza, così, la malafede si dà come menzogna nella sua struttura, ma il fatto che il mascheramento è rivolto a se stessi e non agli altri è un dettaglio che mostra come si tratta di un fenomeno di malafede che non è assimilabile alla menzogna tout court. E' verso me stesso che la verità viene nascosta quando sono in malafede. La malafede comporta "l'unità di una coscienza" ed è rivolta a se medesimo, mentre la menzogna è caratterizzata dalla duplicità dell'ingannatore e dell'ingannato, dal bugiardo e dell'ingenuo che crede a quella bugia.
Sartre dice che l'essere in malafede comporta lo stare nell'essere, pur tuttavia fuggire da esso. In altre parole, nel caso della malafede, mentitore e soggetto che riceve la bugia corrispondono alla stessa persona.
Mi viene da associare la malafede al personaggio dell'usuraio nel fumetto di Nick Raider. Squadra omicidi, "Gli avvoltoi", numero 109, uscito il primo giugno 1997, dove gli usurai sono padre e figli, ossia la famiglia di Norman Kovacs. E' soprattutto Norman Kovacs che si trova in malafede: se presta 100, poi pretende 1000, e si auto-percepisce come 'generoso' e 'buono', e allo stesso tempo è avaro. Quando era giovane e prestante Norman Kovacs andava dai debitori con una mazza da baseball a pretendere la restituzione del debito gonfiato al 100% di interessi. Se l'indebitato non pagava o non pagava almeno quanto Kovacs padre pretendeva, il malcapitato veniva preso a mazzate. Questo ruolo, dopo che non poteva più interpretarlo lui, Norman, per una gamba messa male e per cui si doveva muovere con un sostegno, mandava suo figlio Eddie, detto "Brufoli" a causa di una massiccia acne sul viso, con il fratello Ted, più fortunato con le donne e più 'mite' (sic!), a massacrare testa e gambe del debitore 'inadempiente', a volte anche fino alla morte.
Prendiamo il caso della tristezza. Secondo Sartre, quando si è tristi in realtà ci si fa tristi. 'Farsi triste' è possibile perché "non sono triste". Così la tristezza, in quanto essere triste nel momento in cui dico che 'mi sento triste', mi sfugge. La coscienza di Sergio, per esempio, è triste perché c'è una spinta dell' "essere-in-sé della tristezza" a diventare tale.
Non si può essere in malafede come il tavolo è il tavolo, o il calamaio è il calamaio.La malafede vive invece nella contraddizione. La struttura della malafede, come realtà umana, è costituita da una contraddizione ontologica, in cui l'essere si dà allo stesso tempo nelle modalità del "ciò che non è" e del "ciò che è". La malafede appare un concetto di "disgregazione" in un "processo di evanescenza".
Questa 'evanescenza' della malafede significa che basta poco a farla scomparire. Si tratta di un fenomeno diffuso tra le persone. La malafede va e viene come il movimento di un pendolo, "tra la buona fede e il cinismo". La precarietà della malafede costituisce, così, una struttura della psiche che Sartre definisce "metastabile", ossia che si trova, almeno al momento, in condizioni di instabilità e che tende alla stabilità di un equilibrio. Essa provoca un sentimento di "imbarazzo" di una certa gravità. Del resto, la malafede non è facile comprendere o rifiutare.
Nella malafede emerge una "evidenza non persuasiva". Ora la malafede "coglie delle evidenze", ma esse non sono sufficienti a convincerla o a cambiarla "in buona fede". La malafede si dà nella sua spontaneità, sul piano dell'essere, estranea a "una decisione riflessiva e volontaria". La malafede è come quando ci si dispone a dormire o si sogna. E' un modo di essere. La malafede continua ad essere nel tempo nonostante sia un fenomeno "metastabile".
Anche la sincerità per Sartre non è tale. Essa non può che essere un fenomeno di malafede perché va incontro a quello che caratterizza il "fondo della coscienza", con la sua contraddizione ontologica fondamentale di cui ho già sopra accennato, per cui il suo essere è allo stesso tempo "ciò che è" e "ciò che non è". In apparenza la sincerità si caratterizza nel suo "essere ciò che si è", certo, ma deve fare i conti con l'altro modo di essere della coscienza che è il "non essere ciò che si è", e questo la mette in discussione in quanto tale. Se allora non si può essere sinceri per se stessi, non si può nemmeno criticare gli altri se non sono sinceri.
Sartre prende in giro le 'anime belle', la sincerità dei "cuori puri", con riferimento ad alcuni scrittori. Gli esseri umani, al contrario, non sono soltanto 'ciò che sono', ossia A=A (principio di identità). Gli esseri umani sono anche, potremmo dire, principio di contraddizione, per cui non sono solo "ciò che è", ma anche "ciò che non è", per cui questa contraddizione costituisce il "fondo della coscienza".
Il doppio vincolo dell'antropologo Gregory Bateson (v. Bateson, 1972, tr. it. 1976), uno dei pionieri della terapia sistemica della famiglia, è una forma di doppio inganno cognitivo, cioè sulla difficoltà di come va interpretato il comportamento della madre schizofrenogenica da parte del figlio che diventa schizofrenico. Si tratta, in sostanza, di una trappola senza scampo, dove il figlio viene punito con la frustrazione affettiva da parte della madre, sia se mostra affetto, sia se non lo mostra. In entrambi i casi la madre diventa ansiosa: se il figlio mostra affetto, la madre non lo tollera e lo allontana da sé, se invece il figlio rimane indifferente la madre si preoccupa. Il figlio così viene punito dalla madre e disorientato, perché non sa più come comportarsi nei suoi confronti. Il figlio diventato psicotico vive allora un'incertezza su come vanno interpretate le frasi dell'altro, rimanendo indeciso tra più possibilità di senso.
7. La confusione delle lingue (Ferenczi)
8. Il pregiudizio e lo stereotipo (la psicologia sociale insegna)
9. La fabbrica politica della macchina del fango nel Paese del Tacco
Troppo comodo parlare male di qualcuno. L'aforisma di Oscar Wilde dice: "[...] vi è una sola cosa al mondo peggiore del far parlare di sé, ed è il non far parlare di sé." (Wilde, 1890, tr. it. 1991, p. 16). Allora preferisco non fare pubblicità di nessuno, e utilizzare una breve favola per riferirmi più a un fenomeno della cattiveria cinica e del peggio. Il protagonista di questa favola lo chiamo: Mister F.
Non affronterò questo argomento secondo una ricerca giornalistica rigorosa, con tante di date e avvenimenti. Mi lascerò guidare dalla memoria e dalla riflessione su quanto segue. Quando Mister F era primo ministro del governo del Tacco, per punire i presunti 'nemici' utilizzava i suoi giornali e/o le sue televisioni per metterli alla gogna mediatica, anche con pretesti insignificanti. Questo metodo per rovinare la reputazione di un personaggio pubblico, la stampa lo ha indicato con l'espressione "macchina del fango", che fabbrica capri espiatori sociali e mediatici.
Un metodo intenzionale della cattiveria come questo è da irresponsabili, perché non tiene conto delle conseguenze e degli effetti che provoca sulle persone colpite, perché essere svergognati gratuitamente per vendetta davanti ai media globalizzati è un atto delinquenziale che andrebbe punito dalla legge.
Nel caso della "macchina del fango", il meccanismo di difesa della negazione presuppone anche quello della scissione, per cui le qualità opposte dell'oggetto intero, per esempio buono e cattivo, bene e male, bello e brutto, come dell'io, vengono separate e le qualità negative delle varie coppie vengono rimosse (terzo meccanismo di difesa che interviene). Così si costruisce un falso Sé costituito solo da buono, bene, bello, e che alimenta quell'ottimismo di facciata che serve a sedurre gli altri e alimentare il proprio potere. Le qualità negative del cattivo, del male, del brutto non è che scompaiono dalla personalità, vengono invece rimosse e alimentano quella che Carl Gustav Jung chiamava Ombra, o gli psicoanalisti, tra cui André Green, il negativo. Se l'Ombra o il negativo non vengono resi coscienti ed elaborati dalla mente, il rischio è che vengono agiti (acting out) anche in forma distruttiva, contro il proprio Sé e contro gli altri.
10. L'inganno/pregiudizio dell'algoritmo (sequenze di istruzioni computerizzate)
Ne L'Espresso n.40 del 02 ottobre 2016, Fabio Chiusi scrive l'articolo "Com'è ingiusto l'algoritmo". Nell'articolo viene smentita una presunta "oggettività" scientifica dei modelli matematici. Con gli algoritmi non è più l'uomo a stabilire una decisione, ma l'informatica. Succede che siano gli algoritmi a stabilire differenti decisioni. Per esempio: 1) l'algoritmo decide se un individuo è affidabile nella sua richiesta di un prestito; 2) è l'algoritmo che decide la competenza di un professore; 3) è l'algoritmo che valuta la gravità criminogena di un delinquente; 4) è l'algoritmo che decide la sede da assegnare a un insegnante; 5) è l'algoritmo a decidere il "rating di legalità degli appalti, secondo le nuove norme dell'Anac", e così via.
Chiusi osserva che questi algoritmi non sono per nulla ""oggettivi" e "neutri", invece producono discriminazione, ancora di più di un essere umano. In sostanza, gli algoritmi riproducono le "disuguaglianze sociali esistenti", aggiungendone altre.Ancora qualche esempio: è una decisione dell'algoritmo se la polizia agisce di più nei quartieri più svantaggiati, invece dei quartieri dei ricchi; gli afroamericani sono più colpiti da sentenze più gravi, e così via.
In sostanza, i modelli matematici computerizzati alimentano le ingiustizie sociali. Quello che allora avviene con gli algoritmi è che se un pregiudizio viene coperto da "un'apparenza statistica", ciò non toglie che continua ad essere un pregiudizio. Quello che in realtà succede, osserva Chiusi, è che viene così reso più forte un pregiudizio una volta che viene 'vestito' da "una (falsa) valenza scientifica". (Chiusi, 2016, "Com'è ingiusto l'algoritmo, in L'Espresso n. 40, 2 ottobre, pp. 72-80).
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Riferimenti cinematografici
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- Il primo uomo, (titolo originale: Le premier homme, Italia, Francia, Algeria, 2011). Regia di Gianni Amelio. Interpreti principali: Jacques Gamblin, Maya Sansa, Denis Podalydes, Catherine Sola.
- Oltre il giardino (titolo originale: Being There, Stati Uniti, Giappone, Gran Bretagna, 1979). Regia di Hal Ashby. Interpreti principali: Peter Sellers, Shirley MacLaine, Melvyn Douglas, Jack Warden.
- Wall Street (titolo originale: Wall Street, USA, 1987). Regia di Oliver Stone. Interpreti principali: Michael Douglas, Charlie Sheen, Daryl Hannah.
- Wall Street. Il denaro non dorme mai (titolo originale: Wall Street: Money Never Sleeps, USA, 2010). Regia di Oliver Stone. Interpreti principali: Michael Douglas, Shia LaBeouf.