sabato 26 aprile 2008

Sulla psicologia dell'essere in uno e dell'essere in due


INDICE DEI PARAGRAFI

  • Alcune note di metodo di Edgar Morin
  • I single: l'epoca dell' 'essere in uno' e alcune delle sue problematiche psicologiche
  • Il vivere come 'essere in uno' e il narcisismo
  • Vivere insieme come 'essere in uno' e 'essere in due'
  • Single e relazioni liquide
  • Forme di narcisismo
  • Psicologie individuali
  • L'essere in due
  • Riferimenti bibliografici
Alcune note di metodo di Edgar Morin







La transdisciplinarietà permette di "costruire un
pensiero globale in grado di articolare diversi saperi".
Edgar Morin



Sulla recente intervista a Edgar Morin, a cura del giornalista Fabio Gambaro, comparsa su la Repubblica del 25 aprile 2008, viene rinnovato l'interesse per l'opera pionieristica sull'epistemologia della complessità del grande studioso. Dalle risposte di Morin alle domande del giornalista, alcuni principi fondamentali che si trovano nel poderoso lavoro de La Méthode, che stanno alla base dello studio della complessità, vengono ribaditi con fermezza. In queste note, desidero riassumere quanto dice Morin, anche se cercherò di amplificare il suo punto di vista, mantenendo la sostanza dei suoi ragionamenti.
Due cose essenziali, ma deleterie, sono contrarie allo studio della complessità della conoscenza. La prima cosa è la semplificazione del pensiero, specialmente quando viene considerato nella forma binaria (bene/male, giusto/sbagliato, salute/malattia, verità/menzogna, normale/anormale, e così via). In questo caso, ciò che si perde sono le sfumature dei fenomeni e la coesistenza di aspetti che possono apparire contraddittori, da una parte conflittuali e dall'altra solidaristici tra loro. I fenomeni vanno indagati, al contrario, evitando la rigidità binaria. Non c'è da una parte l'amico e dall'altra il nemico. Nel caso degli esseri umani, ognuno di noi, in base alle situazioni e con varie gradazioni, può trovarsi in relazioni con gli altri che non sono quelle della dicotomia 'amico-nemico', ma che rivelano forme di vicinanza su un aspetto, di lontananza su un altro, ora di condivisione, ora di conflittualità, di comunicazione o di silenzio, mantenendo, in ogni caso, una relazione complessa in cui tutti questi aspetti possono coesistere. I fenomeni vanno considerati nella loro complessità, cogliendo le sfumature e le contraddizioni che ne fanno parte simultaneamente. Questo vale sia nello studio della natura come nelle relazioni umane, sia nel cercare di comprendere la personalità individuale.
L'altra cosa che è contraria allo studio della complessità, nella nostra epoca, è la frammentazione dei saperi. I saperi invece di essere studiati ricorrendo alla interdisciplinarietà vengono mantenuti separati, anche per gli interessi in gioco dei professori universitari che tendono all'iperspecializzazione, a farsi tecnici e burocrati del sapere, sentendosi 'a casa propria', come padroni gelosi, solo nel loro particolare orticello disciplinare. I saperi così rimangono scissi e non si tenta di farli comunicare in modo dinamico tra loro, per realizzare nuove sintesi che siano all'altezza della comprensione della conoscenza e degli errori che commettiamo. Infatti, gli errori possono essere compresi solo studiando la conoscenza dei nostri comportamenti. In questo caso, allora si tratta di una "conoscenza della conoscenza" che bisogna indagare: conoscere il nostro modo di conoscere. Affinché i saperi non siano soltanto giusttaposti l'uno accanto all'altro, in modo sterile, senza trovare delle connessioni tra loro, occorre adottare il punto di vista della transdisciplinarietà in cui le conoscenze perdono i loro steccati disciplinari e interagiscono realizzando sintesi globali. Morin cita il caso dell'ecologia come 'superscienza' che costruisce sintesi nuove che inglobano i contributi di discipline diverse tra loro.
Inoltre, il dubbio va sempre coltivato come un principio fondamentale del metodo della complessità, così come l'incertezza. La solidarietà non è detto che quando è presente faccia scomparire i conflitti, ma entrambi possono coesistere nella stessa situazione e negli stessi soggetti che entrano in rapporto tra loro. Ciò che accade non va considerato in forma statica, ma sempre in divenire, così come il nostro pensiero va considerato come suscettibile di continue trasformazioni.
I single: l'epoca dell'essere in uno e alcune delle sue problematiche psicologiche
Viviamo nell'epoca in cui molti credono che, tutto sommato, stare da soli, abitare da soli, sia la cosa migliore, senza che ciò sia un ostacolo a coltivare relazioni con gli altri. Naturalmente qui si considerano le 'relazioni' che si realizzano nella vita privata. La tendenza in atto, specialmente in Italia, potrebbe trovare un buon punto di riferimento nel 1970, quando divenne legge la pratica della separazione coniugale e del divorzio successivo. Dal momento in cui quella legge entrò in vigore, sono sempre più aumentate le richieste di separazione legale, così fino a oggi nel 2008. Se la vita coniugale, nella famiglia ante-divorzio, era quella di tipo patriarcale e i rapporti tra i coniugi si basavano su un copione autoritario-fallocentrico, dopo quella legge le cose cambiano, insieme alle altre novità sulla scena del sociale provocate dall'emergere dei movimenti collettivi a partire dal '68, e in particolare modo del Movimento per i diritti della donna. Il Movimento femminista diventa uno dei nuovi soggetti storici che vuole farsi protagonista di diritti paritari nella società maschilista, e di un nuovo modo di concepire la relazione donna-uomo.
La tendenza in atto che ha portato gli individui, sia donne che uomini, a concepire l'esistenza come essere in uno ha le sue radici nei cambiamenti che presero le mosse da quella stagione di trasformazioni nella mentalità collettiva. Inoltre, i cambiamenti tecnologici, che ci sono stati nella direzione di un nuovo modo di comunicare inaugurato da Internet, si sono raccordati in maniera sintonica con la tendenza del vivere come 'essere in uno'. Anche le relazioni umane hanno subito una svolta nella direzione di una modernità diventata sempre più caratterizzata dalla velocità e dalla labilità dei contatti.
La tendenza inaugurata dalla psicologia del profondo verso l'importanza da dare all'interiorità, con la scoperta dell'inconscio, ha subito un tracollo rispetto a come si è orientato lo sviluppo del mondo liquido verso relazioni sempre più superficiali, estroverse, contestuali, situazionali, momentanee, incerte, instabili, veloci. La stessa concezione del matrimonio ha subito un collasso, rispetto al passato: ci si sposa non 'per sempre', ma finché la relazione matrimoniale è vantaggiosa, piacevole, utile. I matrimoni sono diventati brevi o di media durata, mentre quelli più lunghi una rarità. Il legame affettivo diventa liquido, cioè a rischio di un improvviso sgretolamento con il sopravvenire di nuove relazioni, nuovi cambiamenti, spostamenti geografici. I legami da 'pesanti', cioè duraturi, diventano 'leggeri', delle relazioni light. Il sociologo Zygmunt Bauman sottolinea questi cambiamenti in atto nella "modernità liquida" (Bauman, 2002, tr. it. 2003; Bauman, 2003, tr. it. 2004).
D'altra parte, in un mondo sempre più globalizzato, il fenomeno single come tendenza individuale collettiva non è soltanto specificatamente italiano, ma mondiale. Il caso di Berlino, come sappiamo, è veramente paradigmatico. Nel 2007 è stato rilevato che nella capitale tedesca ci vivono un milione e settecentomila persone come single, su una popolazione complessiva di tre milioni e duecentomila abitanti circa.
Se questa tendenza della singletudine, volendo italianizzare il termine e renderlo sostantivo, diventa il destino di buona parte della nostra popolazione, dobbiamo chiederci quale esito ha sulle persone. Certamente si tratta di un fenomeno complesso, con le sue contraddizioni e sfumature, con momenti di ripensamento e momenti di riconferma della propria scelta di vivere come 'essere in uno', con compromessi verso aggiustamenti relazionali transitori, ma mantenendo un'anima libertaria.
Vivere come 'essere in uno' va visto come una condizione globale, che non si può ridurre a un'ottica soltanto, come di solito tendono a fare le istituzioni che considerano i cittadini esclusivamente come utenti dei loro servizi, lasciando fuori l'umanità complessiva dell'individuo. Ogni essere umano ha una sua unità olistica, ricca, complessa, sfaccettata e merita di essere trattato con empatia dal proprio prossimo, mentre ci accorgiamo che la modernità liquida è scarsa di empatia e tende a trattare gli esseri umani esclusivamente in termini utilitaristici e cinici.
Vivere come 'essere in uno' può avere dei vantaggi anche in termini di benesserre psicologico, di riduzione dello stress psicoemozionale. Il detto " meglio vivere da soli che male accompagnati" ha un suo fondamento di verità. Le coppie che litigano continuamente si fanno del male reciprocamente, e nessuno dei due ha un giovamento psicologico. Del resto, il vivere come 'essere in uno' non va inteso come una condizione di assolutizzazione dello stare da soli, anche perché ogni essere umano è in ogni caso un essere relazionale, e la sua psiche si nutre di relazioni. Queste relazioni non sono soltanto con i propri simili, ma anche con gli animali. In città, non sono poche le persone che amano vivere con gatti, cani, e altri animali in casa. In campagna è possibile avere dei rapporti con gli animali in maniera più estesa. Cavalli, galline, uccelli, per esempio, è più facile trovarli in aeree non urbane. Anche il rapporto con la natura, in generale, è una forma di relazione con il mondo esterno. Se gli esseri umani non possono fare a meno di vivere con altri esseri umani, è anche vero che la qualità delle loro relazioni è importante per mantenere un benessere psicologico. Verso la fine del testo teatrale Porta chiusa (Sartre, 1945, tr. it. in sesta ed., 1995), l'autore fa dire al personaggio di Garcin: "l'inferno sono gli Altri". Questa afffermazione è paradigmatica di un certo modo di vivere le relazioni interpersonali, e di come esse non vanno mai date per scontate, di quanto sia importante sottoporle continuamente a una manutenzione psicologica.
In Italia la popolazione invecchia sempre di più. Ormai ci siamo abituati ai resoconti statistici annuali della popolazione italiana, e sappiamo che da noi la crescita demografica rasenta lo zero. Gli immigrati, i cosiddetti extracomunitari, hanno contribuito a migliorare queste statistiche, e una volta ottenuta la cittadinanza italiana possono dirsi dei 'nostri'. Loro non hanno la stessa percezione che noi italiani abbiamo nei confronti del 'fare figli'. Loro i figli li fanno e senza tanti scrupoli. E' più difficile che gli extracomunitari vivano come 'essere in uno', perché loro hanno un'altra cultura d'origine, più comunitaria, per cui tendono a darsi una mano reciprocamente, soprattutto quando hanno una matrice religiosa musulmana. Gli extracomunitari africani, per esempio, sono meno individualisti degli occidentali. Noi italiani desideriamo vivere per conto nostro, singolarmente, loro invece no: tendono molto più di noi alla promiscuità. Gli italiani invecchiano sempre di più, e si ritrovano bisognosi di aiuto nel vivere come persone sole e non di rado sempre meno autosufficienti. Così c'è richiesta sul mercato di badanti, e nella nostra fase storica sono di solito le donne extracomunitarie a supplire a questo tipo di lavoro, più o meno messe in regola con l'ingaggio lavorativo e il permesso di soggiorno.
D'altra parte, la tendenza a voler 'essere in uno' può anche non far bene alla psiche, perchè siamo fatti per essere in due, come giustamente ha insistito la filosofa francese Luce irigaray (Irigaray, 2004, tr. it. 2006).

Luce Irigaray

Se consideriamo il mito platonico dell'androgino, e del suo destino, ci accorgiamo che si tratta di una 'favola' per giustificare la natura umana duale, sessuata e complementare. Non sono d'accordo, almeno non del tutto, con l'affermazione di Simone de Beauvoir che la differenza tra la donna e l'uomo non sia di natura o biologica, ma relativa alla costruzione fallocentrica socioculturale (Madsen, 1977, tr. it. 1977). Quello che lei dice ha una sua verità, ma solo in parte, a mio avviso. E' anche vero che esistono differenze di vario ordine tra la donna e l'uomo, non solo di tipo biologico e cerebrale (Baron-Cohen, 2003, tr. it. 2004), ma anche differenze di tipo linguistico, come ha notato Irigaray. Il linguaggio utilizzato è quello della società maschilista, ci si esprime solo o prevalentemente con 'egli', più difficilmente cone 'ella'. O, in inglese, con he e raramente con she.
Il vivere come 'essere in uno' e il narcisismo
Il vivere come 'essere in uno' ha i suoi vantaggi narcisistici. Scrive Heinz Kohut:





" L'antitesi del narcisismo non è il rapporto oggettuale, ma l'amore oggettuale. Una molteplicità di rapporti oggettuali, nel senso dell'osservatore del campo sociale, può nascondere l'esperienza narcisistica che l'individuo ha del mondo oggettuale; e l'apparente isolamento e solitudine di una persona può essere la condizione per una grande abbondanza di investimenti oggettuali reali."
(Kohut, 1985, tr. it. 1986, p. 117)



Heinz Kohut

Nell'epoca in cui viviamo, quella della "modernità liquida" (Bauman), l'osservazione di Kohut circa la molteplicità dei rapporti oggettuali di tipo narcisistico credo che calzi a pennello. L'amore dell'altro non è in antitesi con la possibilità di avere relazioni, ma con il narcisismo. Questo significa che si possono avere relazioni di tipo narcisistico, anche se non sono di amore verso l'altro. Dalla prospettiva narcisistica, le relazioni si moltiplicano, abbondano, ma queste relazioni non possono avere la profondità di una relazione che comporta amore oggettuale. In questo senso, nella modernità liquida, come ha notato già Bauman, le relazioni sono molto provvisorie e incerte (Bauman, 2002, tr. it. 2003, p. 165), ma anche narcisitiche. E' il caso del comportamento del consumatore tutto centrato sul proprio desiderio e sull'accumulo di "sensazioni", che però è destinato a rimanere insoddisfatto (ibidem, pp. 163 e 200). D'altra parte, anche le relazioni interpersonali di tipo narcisistico sono volatili, provvisorie, incerte. La riflessione in quanto pratica della mente pensante viene posta in soffitta. Il presente viene vissuto come insicuro e il futuro come precario, e si crede di trovare il rimedio nel cambiamento veloce degli eventi (ibidem, p. 189).
Del resto, un altro aspetto della "cultura del narcisismo" (Lasch) che caratterizza i nostri tempi è l'esibizionismo televisivo, lo sbandierare il privato nel pubblico. Bauman osserva che sono stati forzati i confini tra pubblico e privato, per cui in tv si pretende di dover parlare dei propri sentimenti, della propria vita intima come se si trattasse di un confessionale pubblico, per cui tutto può essere detto (ibidem, pp. 178-179).
Vivere insieme come 'essere in uno' e 'essere in due'
Ritorniamo ai single. Il vivere come 'essere in uno' non esclude, come dicevamo, le relazioni, anzi esse vengono moltiplicate. Si tratta di un una vita in cui ci sono relazioni affettive e sessuali, ma ogni partner vive poi a casa propria. Negli Stati Uniti, per esempio, il regista e attore Woody Allen a un certo punto decide di abitare in un suo appartamento come single, pur continuando la relazione con la compagna di allora, Mia Farrow, che abitava in un'altro appartamento sempre nella stessa via. Quando Simone de Beauvoir, in età matura, potè permettersi di abitare in un suo appartamento, andò a vivere per conto suo, anche se la sua era una singletudine molto relativa, perché il suo compagno di vita, Jean-Paul Sartre, era spesso con lei, soprattutto dopo che divenne cieco e aveva bisogno di essere accudito (Madsen, 1977, tr. it. 1977).











Simone de Beauvoir e Jean-Paul Sartre

Anche se non sposati, la de Beauvoir e Sartre erano una coppia molto unita. Ognuno di loro è stato fondamentale per la crescita dell'altro, e viceversa. Loro due, infatti, rappresentano una vera e propria coppia creativa, non solo reale, come lo sono stati, ma anche un modello ideale per noi tutti.
Single e relazioni liquide
Dalla seconda metà del Novecento fino a oggi, si è inaugurata una tendenza sociale che spinge un numero sempre crescente di individui a vivere come single. Dietro questa tendenza ci sono diversi fattori che hanno concorso a determinarla e di cui si è già accennato sopra, almeno in parte, e che qui riassumo. Tra questi fattori, come dicevo, c'è l'affermarsi di una "cultura del narcisismo", d'importazione statunitense, la legge italiana sul divorzio (1970), l'affermarsi del Movimento per i diritti della donna, la rottura di certe certezze della società fallocentrica, i cambiamenti relativi al mercato del lavoro e l'ingresso sempre più massiccio della donna in quasi tutti i campi di attività remunerata, l'affermarsi del femminismo e delle sue crisi nel corso del tempo, la maturazione di nuovi atteggiamenti della donna nei confronti degli uomini sul piano della richiesta di parità nella relazione donna-uomo.
Non pochi maschi, d'altra parte, preferiscono vivere ognuno per conto proprio, come 'essere per uno', per evitare gli inconvenienti di una relazione difficile da gestire con la femmina. E anche le femmine iniziano a vivere come single. Inizia così un modo differente di 'rapportarsi' la donna e l'uomo, che non è più quello di costruire 'in ogni caso' una 'relazione affettiva' nel tempo, ma semplicemente un entrare in rapporto escludendo il legame convenzionale.
Così si arriva a quelle relazioni liquide di cui parla Zygmunt Bauman (Bauman, 2002, tr. it. 2003; Bauman, 2003, tr. it. 2004) e che caratterizzano i rapporti volatili tra i due sessi nel mondo della modernità liquida. La singletudine si dispiega, in questo modo, come una filosofia narcisistica collettiva che concede ben poco alla libido d'oggetto, all'attaccamento verso l'altro.





Zygmunt Bauman







E' allora possibile ipotizzare che i single liquidi che attribuiscono una scarsa importanza alla relazione affettiva a due non siano consapevoli che si cresce e ci si arricchiscisce umanamente solo se c'è un rapporto dialettico con un Tu significativo nella propria esistenza. E', tuttavia, da considerare che tante persone vivono da sole perché non hanno trovato la compagna/il compagno che fa per sé e non vogliono condividere la loro vita con un partner, o altri familiari, che possono distruggere il loro modo di essere, la loro libertà e intraprendenza.
Purtroppo si viene facilmente giudicati in modo negativo dagli altri quando non ci si conforma ai canoni socioculturali. Per esempio, in certe zone geografiche europee una donna può essere bollata con il giudizio di "egoista" se non si sposa e non diventa madre. Si assumono atteggiamenti anti-psicologici, si manca di quella sensibilità umana per comprendere il senso delle scelte delle persone se hanno deciso di vivere in un certo modo, e non in un altro. Non ci si pone empaticamente nei panni dell'altro, ma ci si conforma ai pregiudizi collettivi e poi si emana la 'sentenza sociale' con cui affermare che l'altro è un 'diverso' che va stigmatizzato. Non c'è dubbio che tutto ciò va contro proprio quanto affermato dall'Organizzazione Mondiale della Sanità circa la lotta contro lo stigma e l'emarginazione alla Conferenza di Helsinki del 2005.
Vivere da single non è una moda o un capriccio egoista, nella società liquida in cui viviamo, ma anche una necessità. Certo, ci sono i casi degli snob single, ma rispetto alla maggioranza di coloro che fanno la scelta della singletudine ci sono delle motivazioni esistenziali che vanno comprese e non stigmatizzate. Oggi, nell'epoca della globalizzazione, la tendenza che è stata rilevata dai sociologi è quella dell' "individualizzazione" (Beck, 1986, tr. it. 2000; Beck, 1994, 1996, 1997, tr. it. 2000), dell'esaltazione della libertà individuale, anche se poi le condizioni socioeconomiche per poter realizzare questa libertà di essere sono incerte e precarie. Nella società in cui viviamo, il rischio è diventato un modo centrale di vivere: sul lavoro (difficoltà di trovare lavoro, contratti deboli che concernono la modalità del cosiddetto lavoro flessibile con scarse tutele sul futuro dei lavoratori), sulla possibilità di prendere in affitto o comprare una casa (i prezzi sono alti, i mutui a interessi vertiginosi, con il tasso variabile, hanno subito il collasso delle banche speculatrici), sulla salute (sempre più precaria a causa degli inquinamenti dell'aria, del cibo, del rumore in città), sul divertimento (i giovani che vanno in discoteca ci vanno a rischio, soprattutto le ragazze che possono essere stuprate, le droghe che circolano e il rischio di un'overdose, un uso eccessivo di alcol, le possibilità di liti, botte e accoltellamenti). Il sistema sociale ha le sue contraddizioni, ma il singolo cerca di dargli delle risposte personali (Beck, 1986, tr. it. 2000) che non possono che risultare insufficienti, deboli, precarie, vanificando quello che è l'anelito alla propria "individualizzazione" che prima, nel corso dei secoli, era appannaggio solo di qualche classe privilegiata e ora si pretende che sia di tutti senza permettere a tutti le condizioni socioeconomiche e culturali di base per potersi individualizzare secondo la propria libertà. In questo senso, l'individualizzazione e la libertà diventano solo dei miraggi, delle allucinazioni nel deserto quando si cerca l'oasi per rinfrescarsi e l'acqua per dissetarsi, senza poterle trovare, rischiando la disidratazione del corpo e la morte.
D'altra parte, vivere da single ha i suoi vantaggi narcisistici, come già abbiamo ribadito, tra cui la possibilità teorica di organizzare il tempo a 'uno' e non secondo i ritmi di quando si è in 'due'. In questo modo, si crede allora che vivendo in 'uno' la dimensione temporale degli impegni e degli interessi personali possa essere organizzata con un basso livello di stress psicoemozionale, senza dover rendere conto a nessuno.
Forme di narcisismo
Kohut osserva che ci sono forme di narcisismo che sono sane, mature, evolute (Kohut, 1987, tr. it. 1989, p. 37), e non solo forme di tipo patologico. Egli mette in guardia dal considerare il narcisismo come un "disvalore". Questo è bene che i clinici e gli psicoterapeuti lo tengano sempre presente, per non patologizzare il narcisismo in generale. Il narcisismo, del resto, fa parte del nostro stile di vivere, di gestire la propria libido. Semmai la questione del regolare la libido in forma narcisistica comporta la possibilità che la relazione con l'altro, che può essere anche intensa, come osserva Kohut, può svolgersi non su un piano paritario, in quanto l'altro può non essere considerato non tanto per se stesso, ma come specchio del proprio Sé o, nel linguaggio kohutiano, può diventare un "oggetto-Sé". Non credo che però ci sia niente di male nel vedere nell'altro un sostegno per se stessi e che fa stare bene. Credo che però, anche in questo caso, il problema stia negli eccessi con cui la relazione possa essere narcisizzata, ma in quanto tale il narcisismo è un valore per la persona, come in tutti i suoi scritti Kohut ha cercato di mettere in evidenza, stando alla base del sentimento dell'autostima.
Psicologie individuali
Nel corso della vita capita di vivere in ambienti differenti, anche lontani geograficamente, l'uno dall'altro. Le esperienze si fanno attraversando il tempo e gli stadi del ciclo di vita individuale che si incrociano con quello di altri esseri umani e nel vivere epoche storiche più o meno importanti, più o meno decisive anche nella propria esistenza. Vivere nel posto giusto al momento giusto, permette di avere dalla vita quelle occasioni che possono favorire la realizzazione personale, mentre trovarsi nei posti sbagliati nei momenti sfavorevoli non ci permette di dare una svolta decisiva alla nostra esistenza. Tuttavia, possiamo aspettare la maturazione delle condizioni e dei tempi, fare in modo di metterci in azione per conseguire i successi desiderati, nonostante delle origini svantaggiate. L'impegno e il talento alla fine è possibile che trovino la loro giusta strada.
Il passato non si cancella con un colpo di spugna, ma si conserva nella memoria individuale. Ci sono individui che sono stati fortunati fin dall'infanzia, che non hanno riportato dei traumi gravi e che non hanno subito danni decisivi alla loro psiche, per cui crescono, nel corso degli anni, in buone condizioni di salute complessiva, compresa quella mentale. Questi individui fortunati che possono essere, per esempio, anche brutti in viso, con gli occhi strabici e portare gli occhiali, avere delle orecchie a sventola, man mano che crescono si accorgono di piacere alle belle ragazze e in amore tutto gli va bene. Naturalmente, mi riferisco ai maschi 'fortunati'. Inoltre, se hanno una buona intelligenza, se sono stati educati in un ambiente favorevole dove sono stati amati in maniera approprietà a loro stessi da accorti familiari, è molto probabile che riusciranno nella vita nel migliore dei modi.
Va comunque detto che fin dall'infanzia la nostra vita è segnata da come viviamo la relazione a due: il bambino che vive un intimo rapporto di accudimento con la madre. Si tratta della relazione più importante in assoluto, sia per la bambina che per il bambino, per gli adulti che diventeranno passando dalle avventure post-puberali dell'adolescenza. Si può obiettare che anche il rapporto del bambino con il padre, nel corso dell'infanzia, sia importante e che bisogna tenerne conto, e su questo non ci sono dubbi. Tuttavia, la relazione primaria rimane quella dell'infante con la madre: è qui che ha origine il mondo arcaico degli affetti dell'essere umano, e che è di importanza essenziale per gli stadi del suo sviluppo successivo.
Un bambino, nel corso del tempo, può rivelarsi brutto in viso, basso di statura, con qualche difetto nell'aspetto, ma se è stato amato nel modo favorevole a lui da una madre che l'ha saputo accudire, egli cresce con una psiche tendenzialmente sana, scarsamente traumatizzata. Da adolescente e da adulto risulta essere una persona brillante, piacevole, che conquista la simpatia e l'amicizia degli altri. Un esemplare di questo tipo di individuo è stato senz'altro Jean-Paul Sartre: nonostante la sua bruttezza, e il fatto di esserne ben consapevole, non gli impedì di avere un grande successo nella vita e di essere molto amato.
Un caso diverso è invece l'infante che entra in relazione con una madre che ha qualche disturbo mentale, per esempio, che soffre di depressione e di deprsonalizzazione. In questo caso, la madre, nella relazione primaria, trasmette al bambino piccolo le sue difficoltà emozionali segnando per sempre la sua psiche a livello degli affetti arcaici. Certo, negli anni successivi ci possono essere varie situazioni ed esperienze anche buone in senso psicologico, forse la relazione con il padre potrebbe essere favorevole oppure no, ma se nel primo anno di vita 'qualcosa è andato storto' nella relazione materna, la psiche del piccolo è segnata per sempre. Si tratta di microtraumi arcaici che mettono in forma le reazioni istintive della psiche di fronte alle situazioni ambientali e rispetto ai rapporti intersoggettivi degli anni successivi e, dunque, degli stadi del ciclo di vita a venire.
Dalle biografie (qui cito quelle di Sounes: Sounes 1998, tr. it. 2000; Sounes, 2000, tr. it. 2001) e dai racconti autobiografici (Bukowski, 1971, tr. it. 1999; Bukowski, 1975, tr. it. 1996; Bukowski, 1978, tr. it. 1995; Bukowski, 1982, tr. it. 2000), sappiamo che lo scrittore Charlie Bukowski visse un'infanzia e un'adolescenza traumatiche, con una madre anaffettiva e un padre cinico e violento. La su vita fu segnata da una forma mostruosa di malattia della pelle contratta a causa dello stress psicoemozionale con i genitori, nella tarda infanzia. In adolescenza, in seguito dei postumi cicatriziali della sua abnorme malattia della pelle, ebbe delle serie difficoltà ad avvicinarsi alle ragazze. Le sue carenze affettive e l'atteggiamento freddo, anti-empatico, crudele del padre, l'indifferenza della madre, lo costrinsero a lasciare presto la casa paterna, dandosi al vagabondaggio nei vari Stati americani, cercando di sopravvivere con lavori alla meglio.



Charles Bukowski
(foto di Brad Darby e Joe Wolberg, tratte da Sounes, 2000, tr. it. 2001)

Ciò che lo salvò dal crollo psichico radicale fu la scrittura, l'alcol, le sigarette, l'incontro di donne marginali. Fece un uso sporadico di altre droghe. Bukowski era anche un accanito giocatore di scommesse delle corse ai cavalli, in vari ippodromi tra Los Angeles e dintorni. Al pari di un Emil Cioran, egli scriveva come forma di auto-terapia.
E' interessante quanto ha osservato Heinz Kohut a proposito della malattia come esperienza positiva e della scrittura, da lui stesso praticata, come un'esperienza narcisistica capace di rimetterlo in sesto, dopo aver subito dei contraccolpi alla sua autostima. Kohut dice che non devono essere per forza gli altri a favorire l'autostima personale, e che del buon lavoro alla scrivania può risollevare se stessi (Kohut, 1987, tr. it. 1989, p.87).
Bukowski visse la sua intera vita da marginale, bevendo, fumando, dandosi al sesso con tante donne, prima di legarsi a una di queste in maniera duratura fino alla fine della sua vita, sposandola. Scriveva specialmente la notte in stato di semi-ubriachezza. Prima di darsi totalmente alla scrittura, lavorò per molti anni a un ufficio postale di Los Angeles, la sua città. Successivamente, grazie a un patto suggellato con il suo futuro editore ed amico, riuscì ad ottenere una sorta di assegno mensile minimo per sopravvivere, licenziarsi come impiegato postale. Da allora iniziò a scrivere sempre di più, il suo successo fu crescente, come la vendita dei suoi libri di poesia, racconti, romanzi. Ciò non tolse una virgola al suo modo di vivere. Soltanto in tardi età dovette modificare il suo stile di vta su consiglio dei dottori, ma soprattutto fu la sua compagna che gli permise di pervenire a una certa stabilità emotiva, e a contenere i suoi acting out scompensativi. Quello che voglio sottolineare, accennando alla 'vita sbronza' di Bukowski, è che quando viveva da single con relazioni altamente instabili, intense e narcisistiche, il suo alcolismo era alle stelle. Viveva in maniera borderline. Non amava la donna di turno, si limitava ad andarci a letto, e non erano rare le liti con la partner soprattutto se la relazione durava per un pò.
Solo in tarda età cominciò a maturare una sorta di dolcezza caratteriale e iniziò ad amare veramente la donna che poi sposò, avendo da lei una figlia. Il Bukowski della maturità mantiene le caratteristiche di personalità di sempre, ma la stabilità economica acquisita con la vendita dei suoi libri, gli introiti delle sue serate di poesia, anche se relativamente modesti, la possibiità di comprarsi una casa, un'auto nuova, di vivere una relazione amorosa duratura, e successivamente la nascita della figlia, cambiarono la vita di questo scrittore in meglio, anche se era partito da un background molto svantaggiato. Fu, in sostanza, il tardivo successo del suo essere in due, oltre che alle sue soddisfazioni narcisistiche di scrittore e al suo successo letterario ed economico, che lo salvò dalla catastrofe borderline.
Se questi microtraumi e traumi subiti nell'infanzia non sono stati elaborati e superati, essi diventano dei copioni-impronta psico-esistenziali che possono ripetersi nel corso del tempo, anche cambiando ambienti geografici, urbani e umani. Questi copioni-impronta psico-esistenziali diventano cliché inconsci che si riattivano quando gli altri si comportano in maniera tale da risvegliare quei traumi, provocando delle "identificazioni proiettive" (M. Klein) sulla situazione vissuta attuale, per cui il trauma non elaborato ritorna ad essere rivissuto nella nuova situazione assimilata però a quella antica. Freud, in questo senso, come sappiamo, parlava di "coazione a ripetere", specialmente nel caso delle nevrosi. In questo senso, gli altri diventano simili a figure introiettate della propria infanzia e responsabili della sofferenza psichica non superata.
Si potrebbe, allora, pensare che il comportamento idiosincratico del singolo rispetto a un certo ambiente sia da attribuire esclusivamente a problematiche sue personali, e che gli altri siano, per così dire, 'puliti' rispetto all'attribuzione di una loro responsabilità a particolari accadimenti spiacevoli, relazionali o meno. In realtà, non è proprio così. Gli altri hanno le loro responsabilità rispetto agli eventi interpersonali, perché tutti siamo dei soggetti interdipendenti e relazionali.
Purtroppo la psicologia che Freud ha messo a punto è soltanto quella di un individuo isolato, una psicologia che, innanzitutto, concerne la stessa psiche di Freud. Stolorow e Atwood (Stolorw, Atwood, 1992, tr. it. 1995) hanno chiarito questo aspetto della psicologia freudiana. Di fronte a un contesto relazionale le cose si complicano, perché bisogna considerare la moltiplicazione dei contributi psicologici alla situazione intersoggettiva, e le influenze che ogni azione psicologica ha sull'altro o sugli altri.
L' 'essere in due'
In una situazione intersoggettiva, ognuno dà il proprio contributo alla comunicazione relazionale. Non si tiene conto, spesso, delle 'cose' che un comunicante dice riportando le 'cose' che dice alla sua particolare psicologia. Inoltre, non si tiene conto né della differenza di genere (lei/lui) (Irigaray) quando si parla, né del fatto che quello che si dice di solito è della prospettiva della cultura dominante, e che di solito si tratta di una cultura maschilista.
Chi scrive è un maschio e non vuole essere colpevolizzato di tradimento rispetto all'appartenenza del proprio genere maschile. Ciò che motiva le mie argomentazioni sono piuttosto una ricerca di 'verità' e 'giustizia' in senso filosofico e psicologico, anche se so che questi termini sono ingannevoli e che possono celare motivazioni meno nobili che appartengono all'Ombra inconscia e individuale. A rischio di un malinteso e di una possibile mistificazione di parte, tuttavia ci tengo a precisare che mi appassiona questo tentativo di confronto che riguarda il femminile e il maschile, la relazione tra i due sessi. Non c'è dubbio che il mio punto di vista è sempre quello di un maschio e che gli 'interessi' circa la relazione femminile/maschile non possono che essere di parte maschile. Tuttavia, prima di essere considerato secondo la mia appartenenza di genere, sono un essere umano come tutti, Sartre direbbe che ognuno di noi è un "universale singolare", e questo al di là della distinzione sessuale. Così, femmine e maschi devono guardare al tema che li riguarda, la relazione donna-uomo, anche dal punto di vista di essere accomunati dal fatto di appartenere alla stessa specie, e non solo per l'appartenenza di genere. Ciò non toglie che una possibile "etica della differenza sessuale" (Irigaray, 1985, tr. it. quarta ed., 1990) sia possibile non solo dal punto di vista femminista, ma anche dal punto di vista del maschio, che non intende essere 'maschilista'.
In questo senso, andrebbe però superato anche il termine 'femminista'. Probabilmente, dobbiamo andare verso una cultura che permetta di mantenere la differenza tra l'Io, il Tu, il Noi diadico, favorendo una loro reciproca interazione, e coltivare la creazione di una cultura dell'essere in due.
E' interessante il contributo di Luce Irigaray che sviluppa, da una prospettiva filosofica e intersoggetivo-relazionale, l'importanza dell'essere in due. Inoltre, nel suo ultimo lavoro tradotto in italiano, ma che risale al 2002 nell'edizione originaria francese (Irigaray, 2002, tr. it. 2008), viene proposta una nuova definizione di filosofia come "saggezza dell'amore", anziché considerarla nella sua forma convenzionale di 'amore per il sapere'.
Non posso però fare a meno di ricordare che Willi Pasini, nel suo Intimità (Pasini, 1990) considera l'importanza dell'intimità affettiva. Egli scrisse il suo bel saggio da una prospettiva della terapia della coppia. Secondo Pasini, la coppia è bene che mantenga gli spazi psicologici e relazionali sia di ognuno dei partner, singolarmente presi, che quello comune di coppia, per inaugurare una cultura della loro intimità. In questo modo, ogni partner ha la possibilità di non lasciarsi assorbire soltanto dalla vita a due, vivendo anche per se stessi in quanto singoli individui all'esterno del loro ménage, negli altri spazi relazionali come nel caso del lavoro e delle amicizie, e poi ritrovarsi nello spazio di coppia, arricchendolo con la propria individualità, oltre a creare insieme con l'altro partner una cultura comune e interpersonale.
In questo senso, tra la femmina e il maschio che stanno insieme si viene a costruire un rapporto di parità, anche ludico, se vogliamo, in cui è possibile esprimere l'umanità di entrambi i partner e crescere insieme in una relazione basata sulla irigarayana "saggezza dell'amore" in due.
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