sabato 25 ottobre 2008

Immaginazione: l'azione creativa tra resilienza e cambiamento

INDICE DEI PARAGRAFI

  • L'immaginazione da facoltà negativa a facoltà creativa della mente
  • Polimorfismo dell'immaginazione
  • L'immaginazione è movimento dinamico combinatorio di dati mentali
  • La funzione esistenziale dell'immaginazione
  • L'immaginazione resiliente
  • L'immaginazione politica del cambiamento contro le forze dell'immobilismo conservatore
  • Immaginazione, arte e cultura
  • Riferimenti bibliografici
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Giuseppe A. Morgana, Che sorpresa, Francis Bacon!, tecnica mista, ottobre 2008
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L'immaginazione da facoltà negativa a facoltà creativa della mente
"L'immaginazione è la facoltà mentale di formare immagini o concetti di oggetti esterni non presenti ai sensi. L'immaginazione, però, è strettamente legata ai sogni a occhi a aperti e alla fantasia. Sognare a occhi aperti è abbandonarsi a chimere o fantasticherie quando si è svegli; mentre la fantasia è la facoltà di inventare immagini."
(Shone, 1984, tr. it. 1984, p. 14).
Sull'immaginazione si è scritto molto. A parte qualche eccezione, come nel caso di Plotino, dell'immaginario medievale e di autori rinascimentali come Marsilio Ficino, dall'antichità e fino ad arrivare al secolo XVIII è solo Giambattista Vico che attribuisce importanza all'immaginazione che lui chiama "fantasia" e che sta alla base della "sapienza poetica" degli uomini primitivi, come osserva nella sua Scienza nuova. A parte questo, l'immaginazione, fino ad allora, viene mal vista. Invece Immanuel Kant, nel '700, studia l'immaginazione e ne individua diversi tipi. I filosofi che fino ad allora avevano cercato di rifletterci su, da Descartes a Spinoza, da Leibniz agli empiristi inglesi (Locke, Hume), ne vedevano solo gli aspetti di confusione, distorsione e falsità. (v. Sartre, 1936, tr. it. 1962). Dobbiamo arrivare al movimento del Romanticismo, nel XIX secolo, per un riscatto dell'immaginazione, a partire da poeti come S. Coleridge e W. Wordsworth e dai letterati romantici tedeschi.
Nel XX secolo la mente, e in particolare modo, l'inconscio sono indagati 'scientificamente'. Sigmund Freud si occupa della "fantasia" (Freud, 1907, in tr. it. 1972) , Carl Gustav Jung dell' "immaginazione", e in particolare modo di quella che chiama "immaginazione attiva" (v. Jung, 1961, tr. it. quarta ed. 1984). Successivamente Melanie Klein considera una forma particolare di fantasia sulla base della psicoanalisi e che chiama "fantasia inconscia".
Donald W. Winnicott ritiene, in Gioco e realtà (Winnicott, 1971, tr. it. 1974, p. 75), che la "fantasticheria" sia un prodotto secondario della mente, inferiore alla fantasia, e ne formula un giudizio negativo. Nel 1978 esce un articolo sul numero di marzo-aprile di Psicologia contemporanea, tradotto da Psychology Today, dello psicologo Jerome L. Singer. Questo articolo parla in positivo dell'importanza della fantasia e del sogno a occhi aperti. Questi prodotti della mente possono costituire la base della serenità personale, dice Singer. Egli contrappone la persona che immagina, e che grazie all'immaginazione è serena e non si annoia, agli individui che invece si danno a varie forme di addiction come la droga o l'alcol, il cibo. Questi ultimi si annoiano facilmente, diventano facilmente aggressivi, violenti, si danno a comportamenti delinquenziali. Le persone capaci di immaginare sono più rilassate, meno impulsive, più controllate. Singer scrive:
L'immaginazione, dunque, è una vitale capacità umana. Sembra che da una vita fantastica ben sviluppata dipendano in parte l'indipendenza, la tranquillità e il realismo.
L'irrequietezza e la dipendenza dall'ambiente fisico che si notano nei bambini poveri di fantasia possono trasformarsi nell'adolescenza in problemi ben più gravi. I giovani dotati di immaginazione interiorizzano i volti e le voci degli adulti significativi, i loro divieti e avvertimenti: "Stai attento!" e "E' proprio questo che vuoi?". Invece gli adolescenti antisociali, aggressivi, spesso soffrono di una mancata interiorizzazione: i primi contatti con gli adulti non hanno insegnato loro a mettere alla prova, attraverso il gioco e la fantasia, i comportamenti complessi e autocontrollati dell'adulto.
(Singer, tr. it. 1978, p. 20).
Singer conclude il suo articolo affermando che la persona che ha una buona e vivace immaginazione è più calma e riesce a darsi uno scopo, mentre coloro che sono carenti nella capacità di immaginare dipendono maggiormente da fattori esterni, sono più aggressivi e a rischio di sviluppare dipendenze patologiche. (Singer, tr. it. 1978, pp. 18-21).
Nel 1899 Sigmund Freud pubblica L'interpretazione dei sogni, da cui inizierà l'interesse costante per la produzione onirica, sia da parte degli psicoanalisti delle generazioni successive (vedi, per esempio, la raccolta di studi italiani a cura di Stefano Bolognini, 2000; uno dei più recenti e brillanti saggi di uno studioso americano è quello di Thomas H. Ogden del 2001, tr. it. 2003; il saggio sul fantastico del 1993 di Salomon Resnik e la nuova edizione del suo Il teatro del sogno, del 2002) che degli studiosi del cervello, come i neurofisiologi o neurobiologici ( per esempio, la raccolta di saggi in Cervello e sogno del 1982, curata da Mario Bertini e Cristiano Violani; Mauro Mancia, per esempio, il saggio del 1987; Mancia, il saggio del 2004; J. Allan Hobson, 2002, tr. it. 2003, ecc.), di romanzieri (per esempio, Arthur Schnitzler, 1926, tr. it. 2002), di psichiatri (per esempio, Ludwig Binswanger, 1930, tr. it. 1993), di filosofi (per esempio, Gaston Bachelard, 1970, tr. it. 1974; Michel Foucault, 1993, tr. it. 2003, lavoro che è anche "Introduzione" al saggio di Binswanger del 1930), di sociologi (per esempio, Michel Maffesoli, 1976, tr. it. 1978), più tardi i cosiddetti neuroscienziati si interessano anche loro al sogno. Dei sogni se ne occupa anche la psicologia tibetana (per esempio, Rob Nairn, 2002, tr. it. 2004). Uno studioso autonomo, Desoille, pubblica Il sogno da svegli guidato (Desoille, 1961, tr. it. 1974). Anche Carl Gustav Jung si interessa molto ai sogni (v. la sua autobiografia del 1961). Da citare, per esempio, Analisi dei sogni. Seminario tenuto nel 1928-30 (Jung, 1991, tr. it. 2003). Anche il saggio di James Hillman del 1979, Il sogno e il mondo infero, viene considerato un importante studio sul sogno. Naturalmente, gli autori e i saggi qui citati sono solo una minima parte di una produzione molto più consistente sull'argomento. Ho voluto citare il sogno anche perché esso è 'imparentato' con l'immaginazione.
L'immaginazione diventa motivo di una Re-visione della psicologia (Hillman, 1975, tr. it. 1983). D'altra parte, gli studi sullo split brain di Roger W. Sperry, all'inizio degli anni '60 del XX secolo, e di altri ricercatori del cervello, ci rivelano che nei destrimani l'emisfero sinistro e specializzato in determinate qualità della mente (analisi, logica, lettura, scrittura, linguaggio, ragione, matematica), mentre l'emisfero destro del cervello è 'portato' per altre qualità mentali (sogni, immaginazione visiva, emozioni, creatività, simboli, riconoscimento, ritmo , simboli, sintesi, musica, senso dello spazio) (v. Shone, 1984, tr. it. 1984, p. 7). Tuttavia, grazie al "corpo calloso", un fascio di tessuti cerebrali tra i due emisferi, le qualità mentali delle due parti del cervello comunicano e si influenzano tra loro. Del resto, come osserva giustamente la biopsicologa Jerre Levy (Levy, in tr. it. nov.-dic. 1985, p.22), il cervello rimane uno solo nelle persone normali, anche se ognuno dei due emisferi è differenziato rispetto all'altro e ha le sue competenze particolari.
Nascono studi che si focalizzano sull'importanza dell'immaginazione, anche dal punto di vista psicoterapeutico, come quelli sulla "visualizzazione creativa" (per esempio, Shone, 1984, tr. it. 1984). La psicoterapia diventa orientata verso l'azione immaginativa, prima della svolta "relazionale" della psicoanalisi (Mitchell, Greenberg, e tanti altri).
In filosofia, Jean-Paul Sartre, in modo particolare, si interessa alla natura fenomenologica dell'immaginazione in due saggi, in cui l'uno (Sartre, 1936, in tr. it. 1962) si può dire base per quello successivo, di certo più maturo (Sartre, 1940, ed. rivista e corretta 1986, tr. it. 2007). Il primo, L'immaginazione, è un saggio più breve di circa cento pagine e di carattere storico, in cui Sartre considera, in maniera critica, ciò che i filosofi precedenti hanno detto sull'immaginazione. In questo primo saggio del 1936, Sartre conclude:
[...] l'immagine è un certo tipo di coscienza. L'immagine è un atto e non una cosa. L'immagine è coscienza di qualche cosa.
Le nostre ricerche critiche non potrebbero condurci oltre. Si dovrebbe ora affrontare la descrizione fenomenologica della struttura "immagine". E' quanto tenteremo in un'altra opera.
(Sartre, 1936, in tr. it. 1962, p. 104).
Nel saggio successivo L'immaginario. Psicologia fenomenologica dell'immaginazione, Sartre realizza un'opera originale. La "coscienza immaginativa" comporta una negazione del reale per mantenerlo come sfondo, al fine di realizzare una trascendenza. Qui viene riaffermata la tesi che l'immaginazione comporta non l'immagine-cosa, ma l'immagine come atto e trascendenza della coscienza. La coscienza immagina e pensa, ma per realizzare questo deve annullare il mondo, negarlo. Altrimenti, il reale rimanendo tale, non potendo essere annullato, rimane esistente opaco. In tal caso, la coscienza non può trascendersi perché è immersa nella cosalità del mondo esterno, e il movimento della libertà verso il senso non è possibile. Così, la coscienza diventa immaginativa, immagina, quando annulla il mondo. E', per esempio, ciò che accade con il costituirsi dell'opera d'arte. Per questo Sartre può dire che: "l'opera d'arte è un irreale". In questo senso, il filosofo francese impiega il concetto, da lui coniato, di analogon. Con esso egli intende la costituzione della coscienza come immaginativa nel momento in cui si irrealizza nella negazione del reale, ponendo il reale irrealizzato nell'immagine. Così, la coscienza immaginativa è coscienza di un'immagine, o è coscienza d'altro, come, per esempio, del dato percettivo. La bellezza non va ricercata nel reale, perché "il reale non è mai bello". La bellezza appartiene, invece, all'immaginario. Solo quando il mondo viene annullato nella sua "struttura essenziale", è possibile accedere all'immaginario. Al contrario, sul "piano realizzante" il nostro desiderio si incontra con il reale, e abbandoniamo l'inclinazione a trascendere il reale della coscienza immaginativa. Se vogliamo che il desiderio si trasformi in piacere, non guardiamo la realtà con l'occhio estetico della bellezza, ma con la percezione realizzante dell'azione nel mondo. (Sartre, 1940, ed. rivista e corretta nel 1986, tr. it. 2007).
Polimorfismo dell'immaginazione
Ci possono essere diversi modi di immaginare. L'immaginare comporta un movimento dinamico spaziale che si realizza nel tempo. Tutti i modi di immaginare, nella forma e nel contenuto, hanno la loro dignità. Per esempio, l'immaginazione si può declinare nelle forme musicali, in quelle matematiche, nelle varie forme artistiche, in quelle scientifiche, in quelle filosofiche, in quelle psicologiche, in quelle relazionali, in quelle umoristiche, in quelle sociologiche. Qualcuno potrà osservare che metto il plurale in ognuno di questi tipi di immaginazione. Certo, è voluto, perché ci ho riflettutto sopra. Infatti, all'interno delle varie aree operative c'è una diversificazione per ciascuna. Ci sono immaginazioni scientifiche, immaginazioni filosofiche, immaginazioni artistiche, e così via. Ci sono stili immaginativi differenti per ogni soggetto, per fortuna. Sta, in fondo, qui la novità del 'nuovo' quando una forma di autentica creatività emerge sulla scena del sociale. In questo senso, lo slogan che la differenza arricchisce è appropriato, e svuota di senso la dicotomia "normale"/"anormale". Se la differenza e l'unicità di ogni essere umano arricchiscono tutti, è l'omologazione, l'appiattimento, sul piano personale che è insensato, in quanto tende a 'cancellare' le differenze di ognuno, pur essendo tutti 'uguali' sul piano sociale e della stessa specie umana, al di là delle differenze del colore della pelle, dell'appartenenza a una religione, della lingua parlata, delle origini geografiche, dell'etnia del proprio gruppo, e così via. Gli esseri umani sono così, allo stesso tempo, 'uguali' e 'polimorfi', nella persona come nella loro immaginazione. Spetta invece alle 'culture' creare delle immaginazioni collettive codificate in religioni, filosofie, letterature che rispecchiano le tradizioni storico-culturali di un popolo.
Lo stile fondamentale in cui preferiamo immaginare, probabilmente è radicato nella nostra stessa biografia. Immaginazione e tempo hanno un legame importante. Da una parte, abbiamo uno stile immaginativo legato alla memoria, al passato, alle coordinate della nostra storia, con la famiglia e l'ambiente d'origine; dall'altra, possiamo immaginare il nostro futuro, la nostra vita che sarà, e in due modi: sia rivendicando una continuità con il passato, rimanendo nei pressi dell'origine (la casa dei genitori, il paese/la città/la natura dove siamo nati e abbiamo vissuto, dove desideriamo continuare a trascorrere la nostra esistenza), sia immaginando il nostro tempo-che-verrà nella discontinuità della nostra origine, seguendo un percorso esistenziale tutto nostro che permette di individuarci in senso filosofico, psicologico e sociale altrove, in un altro ambiente, in un altro mondo e con altre persone al di là delle nostra origine. Questa seconda possibilità comporta l'elaborazione del lutto per la separazione dall'origine, elaborazione che non significa cancellazione del passato, ma interiorizzazione di ciò che siamo stati nell'origine e tentativi di dare senso alla nostra vita 'precedente'. Rimanendo nei pressi dell'origine scegliamo il codice materno, il 'cordone ombelicale esistenziale', in senso metaforico, che così rimane intatto. Al contrario, chi sceglie di andare lontano dall'origine, di vivere altrove, sceglie il codice paterno, la via della propria individuazione personale. In questo senso, queste scelte differenti esistenziali danno luogo a due stili di immaginare tra loro diversi, differenziandosi da persona a persona all'interno dello stesso stile immaginativo.
Per esemplificare quanto sto dicendo, due persone che scelgono di rimanere presso la casa dei genitori o di vivere in un'altra casa della stessa città natale raggiunta la maggiore età, condividono lo stesso codice materno di vita, mantengono i legami che si sono formati nell'ambiente di origine, ma hanno anche un modo personale di impersonificare tale codice psicologico. I figli che scelgono il codice paterno d'individuazione, vanno per la loro strada anche lontano dalla città d'origine, e ognuno vive tale codice a modo suo. Sia coloro che scelgono il codice materno che quello paterno si individuano in senso personale, tuttavia i primi di meno e i secondi di più. Chiariamo che l'individuazione filosofica, psicologica e sociale di ogni essere umano c'è sempre stata. Il Figliol prodigo della Bibbia (versione di Luzzi, stampata nel 1968), del "Vecchio Testamento", in fondo se ne va di casa per un bisogno d'individuazione, che purtroppo fallisce perché era soltanto legata al denaro che il figlio aveva sottratto al padre, e quando i soldi finiscono non sa andare avanti con le proprie gambe, così ritorna alla casa dei genitori. Bisogna distinguere questa individuazione personale, presente in ogni figlio o figlia dell'essere umano, da quella che i sociologi della globalizzazione della "seconda modernità" (Beck, 1986, tr. it. 2000) o detta, in altri termini, della "modernità liquida" (Bauman, 2000, tr. it. 2002) chiamano "individualizzazione". In questo caso, abbiamo a che fare con un fenomeno sorto sulla spinta dell'ideologia neoliberista degli anni '70 del XX secolo. L'individualizzazione di questi ultimi decenni, fino ad arrivare ad oggi, primo decennio del XXI secolo, consiste nella falsa promessa del sistema sociale delle società occidentali che tutti possono 'godere' della 'libertà', soprattutto i giovani, che possono fare ciò che vogliono, realizzarsi secondo la strada che intendono percorrere. Invece le cose non stanno propriamente così. Di questa 'libertà' a buon mercato i giovani che non provengono da famiglie ricche o benestanti non sanno come utilizzarla trovandosi svantaggiati in partenza, e non possono, con le loro scarse risorse individuali, dare delle risposte risolutive a quelle che sono le contraddizioni del sistema sociale - come osserva il sociologo Ulrich Beck (Beck, 1986, tr. it. 2000). In questo senso, i giovani si trovano a vivere in una "società del rischio" che non permette loro una vera e propria 'individuazione', nemmeno nella formulazione sociologica della "individualizzazione", per cui la loro è solo una libertà virtuale o nominale. La maggior parte dei giovani di oggi sono così costretti a vivere, nell'età del lavoro, come precari di un "lavoro flessibile" (Sennett, 1998, tr. it. 1999) con contratto a termine. Su queste basi, si vengono allora a configurare gli stili immaginativi esistenziali, che di conseguenza vanno a rispecchiare le problematiche di vita personali: 'immagino secondo i nodi che assillano la mia esistenza e le risposte, più o meno buone, che tento di trovarvi'.
L'immaginazione è movimento dinamico combinatorio di dati mentali
Uno degli effetti pratici del movimento dinamico dell'immaginazione è, per esempio, il miglioramento dell'umore, dunque, la diminuzione della tristezza, e ancora di più segna il passaggio dal blocco depressivo della psiche a quello di un recuperato movimento dinamico della mente e dei suoi lavori psichici (immaginare, pensare, ragionare, riflettere, creare, ricordare, attivare il senso umoristico, sognare).
Il camminare (Thoreau, 1851, tr. it. 1991) ovviamente è movimento, movimento del corpo. Tuttavia, quando si cammina è possibile che anche l'immaginazione 'cammini', si metta in movimento. Thoreau, per esempio, era un amante della camminata in mezzo alla natura, come ne testimonia nella sua conferenza del 23 aprile 1851. La stessa conferenza citata è, in fondo, il prodotto creativo della sua immaginazione dove l'autore esalta la natura, la piacevolezza di camminare un pò dappertutto, rimanendo in contatto con il mondo selvaggio.
A proposito della depressione, possiamo osservare che essa comporta un rallentamento, se non la fase di staticità dell'immaginazione quando la depressione raggiunge un livello molto grave. Il movimento dinamico della psiche diventa allora una 'strategia' psicologica importante nel caso in cui si soffre di depressione. Il depresso è statico o rallentato, sia a livello del corpo che dell'immaginazione. E' stato notato da qualcuno che la depressione può rappresentare un'occasione di crescita psicologica. In tal caso, si utilizzano tutti gli strumenti, e non solo psicologici, per rimettere in movimento l'immaginazione. Nel film Lezione 21 di Alessandro Baricco, arrivato nelle sale cinematografiche in ottobre 2008, viene notato da uno dei personaggi che la mente del musicista è fatta di movimento. Naturalmente, qui ci si riferisce al movimento dinamico dell'immaginazione musicale.
Freud aveva messo in evidenza l'importanza delle associazioni per la mente. Il suo metodo psicoanalitico si chiamava, infatti, delle "associazioni libere" (Freud, 1913-1914, in tr. it. 1975, p. 353). D'altra parte, Jung realizzò delle "ricerche sperimentali" mettendo a punto un suo "metodo associativo" (Jung, 1909, in 1979b tr. it. vol. 2, tomo 2, 1998, pp. 391-408), sia in "individui normali" (Jung, 1904, in 1979a tr. it. vol. 2, tomo 1, 1998) che in individui con problematiche psicopatologiche (Jung, 1979b, tr. it. vol.2, tomo 2, 1998, si tratta di vari scritti che riguardano le "ricerche sperimentali" sulle associazioni verbali).
Quello che qui voglio sottolineare è che l'attivismo della mente è fondamentale sia per l'immaginazione che per il pensiero. La stessa percezione dei sensi si contamina con i nostri atti immaginativi. Possiamo guardare un piatto o una penna e dire 'questo è un piatto, lo vedo con i miei occhi', oppure 'questa è una penna, la vedo con i miei occhi'. Si tratta di atti del percepire, in questo caso. D'altra parte, possiamo anche contaminare percezione e immaginazione, così possiamo affermare 'questo piatto lo vedo in quanto piatto, ma ha un volto e sorride, inoltre ha le gambe e cammina'. In questa frase riconosciamo il piatto (atto del percepire), ma accompagnamo all'atto del percepire anche un atto dell'immaginare, attribuendo a un oggetto inanimato delle qualità animate e antropomorfe. In questo senso, l'immaginare si innesta sugli oggetti percepiti e li re-inventa con libertà. Un'altra funzione dell'immaginare è quella di animare ogni cosa e di farlo utilizzando anche la metafora, l'allegoria, l'umorismo, la dinamica del narrare storie. Jung aveva osservato, riferendosi agli esseri umani delle società primitive, che loro attribuiscono un'anima anche alle cose, come, per esempio, a una pietra. Questo discorso viene ripreso da James Hillman quando parla dell' "anima del mondo" (Hillman, 1982, in tr. it. 1993, pp. 95-121) e che avremmo più rispetto dell'ambiente, sia quello della natura che degli uomini, se percepissimo che ogni essere vivente e ogni oggetto ha una sua anima. Questo modo di vedere il mondo, apparentemente arcaico, è invece importante per riportare tra gli esseri umani e gli esseri umani e l'ambiente quel rispetto che soprattutto oggi manca. C'è anche da tenere presente che, in Jung, l' "anima" equivale all'attività dell'immaginazione (v. Jung, 1961, tr. it. quarta ed., 1984).
D'altra parte e paradossalmente, è quando la mente è rilassata, veramente rilassata, che è possibile una buona attività immaginativa. Questo è messo in evidenza, per esempio, dalla clinica del training autogeno. Se c'è qualcosa che 'agita' la mente nervosamente, durante l'auto-somministrazione dei sei esercizi fondamentali del ciclo, detti 'inferiori', ce ne possiamo accorgere. La persona, per esempio, trova difficoltà ad associare le formule delle frasi con delle immagini appropriate. L'agitazione nervosa emerge nell'impedire il formarsi dell'immagine appropriata alla frase da recitare durante il training autogeno. Così, per esempio, possono emergere 'immagini ossessive' che provocano ansia, invece che rilassamanto e che rendono difficile l'esecuzione degli esercizi.
L'immaginazione, del resto, si configura come un movimento dinamico combinatorio di dati mentali. In questo senso, essa da prova di capacità inventiva quando mescola e rimescola gli innumerevoli dati che ha a sua disposizione e che sono stati appresi e ritenuti dalla memoria attraverso la funzione cognitiva che è presenta fin dalla percezione del mondo esterno. L'interesse che abbiamo nell'atto percettivo dei sensi, nei confronti del mondo esterno, ci permette di apprendere tantissime cose. Tutto questo enorme patrimonio di dati che così si costituisce, diventa in gran parte inconscio o subconscio: una sorta di magazzino cognitivo su cui sia la memoria che l'immaginazione si esercitano quando inventano i loro discorsi, le comunicazioni estemporanee, le battute con gli interlocutori di turno, il loro confluire nell'invenzione delle immagini che realizza l'artista, nella creazione di nuove filosofie/psicologie/sociologie e nelle scienze della natura. Il lavoro dell'ermeneuta, in ogni area disciplinare, per esempio, in fondo che cos'è se non la la creazione di interpretazioni che si costituiscono sulla base del lavoro dell'immaginazione a partire dalle conoscenze su cui studia? Che cos'è la creatività, se non la combinazione immaginativa di dati secondo possibilità inedite? Certo, poi questa combinazione originale di dati va servita diventando bravi nell'arte a cui si ricorre per la sua comunicazione agli altri.
La funzione esistenziale dell'immaginazione
Possiamo dare un particolare peso all'attività delle immagini nella nostra psiche, al punto di parlare di un esistenzialismo immaginale? Già vedo un coro di opposizioni e di pareri contrari che osservano che non siamo fatti per stare tra le 'nuvole', ma con i piedi per terra e per affrontare i problemi 'reali' di ogni giorno! Ai signori 'realisti' però direi che quella che per loro è "realtà" è anche il prodotto creativo e concreto della progettualità, in ogni campo, dell'immaginazione. Noi possiamo 'pensare' con le immagini e/o con i concetti. Il 'pensiero' non è qualcosa di invisibile e di etereo semplicemente. Con le qualità delle nostre menti noi realizziamo l'ambiente urbano, l'habitat, in cui viviamo. L'immaginazione è dentro di noi e fuori di noi. Se guardiamo, per esempio, le belle costruzioni architettoniche di Gaudì a Barcellona, ebbene, quelle sono, innanzitutto, frutto dell'immaginazione artistica dell'architetto Gaudì. La bellezza che ci circonda e che è anche in noi, a livello interiore, ha a che fare con il lavoro dell'immaginazione.
L'immaginazione non ha niente a che fare, invece, con la "società delle immagini", la "società dello spettacolo", che ne rappresenta, semmai, una deriva. L'immaginazione a cui mi riferisco è una qualità che appartiene a tutti gli esseri umani, con le dovute rare eccezioni, naturalmente. Le grandiose chiese soprattutto gotiche sono, innanzitutto, il prodotto dell'immaginazione, e in secondo tempo realizzazione creativa collettiva. Sappiamo tutti quanto Albert Einstein fosse un tipo 'originale' e anche si prendesse gioco dei media, per esempio, tirando fuori la lingua come il dispetto che può fare un 'bambino', anche se cresciutello, direi. Sappiamo, se non è leggenda, che da bambino Albert era indietro nel rendimento scolastico di alcune materie. Ciònonostante, divenne, da adulto, un celebre fisico che dava ascolto ai suoi sogni. Così, ad ascoltare lui, fu sognando di cavalcare un raggio di luce che gli venne in mente la legge della relatività. Credo che le persone sbagliano quando credono che l'eccentricità se la può permettere un Premio Nobel come Einstein. Per dirla ancora con James Hillman, abbiamo bisogno di riscoprire la nostra unicità con tutte le sue eccentricità, non tanto per apparire 'strambi', ci mancherebbe, ma per dare risalto a ciò che di prezioso c'è in ognuno di noi e per realizzare il nostro destino il cui potenziale è iscritto in noi stessi, come il germogliare di una pianta è iscritto nel suo seme (Hillman, 1996, tr. it. 1997).
Così noi immaginiamo sia nell'invisibilità della nostra mente come quando comunichiamo con gli altri. Non diamo peso, non ne siamo coscienti a pieno, forse, quando il nostro modo di comunicare è vivace e brillante, quando utilizziamo delle belle metafore per esprimerci e trasmettiamo al nostro interlocutore l'importanza che ha per noi il linguaggio attraverso le immagini, e non solo con i concetti. Non di rado comunichiamo a monosillabi, quasi balbettiamo, siamo 'disturbati' dalle emozioni e dal fatto che mettiamo in scena noi stessi nel momento in cui interloquiamo con altri. Le emozioni, d'altra parte, sono nostre alleate, sono parte di noi, del nostro corpo e della nostra psiche. Eppure, quando diventiamo molto emotivi ci comportiamo da 'disturbati'. Disturbati di che? Dall'intensità dell'emozione che rende discontinuo il nostro discorso 'lineare'. Ecco perché abbiamo bisogno di praticare il rilassamento, per smorzare l'eccesiva intensità delle emozioni, soprattutto quelle che sentiamo negative (rabbia, vendetta, gelosia, invidia, e altro).
Consideriamo, ora, il caso di quando ci sentiamo 'bloccati' nello scrivere qualcosa, per un motivo o per un altro. Dal punto di vista pratico, non mi interessa conoscere una possibile 'causa storica' che possa stare alla base del blocco, anche se, da quello che ne posso sapere, può avere a che fare con la relazione difettosa di accudimento nel primo anno di vita tra il bambino, che da adulto soffrirà del blocco della scrittura, e la figura materna. Christopher Bollas (Bollas, 1987, tr. it. 1989) ha scritto che il linguaggio ha la sua origine nell'idioma materno, e la difficoltà, per esempio, ad apprendere una lingua straniera può essere fatta derivare dal rapporto problematico con la madre. D'altro canto, Melanie Klein fa derivare le difficoltà ad apprendere una seconda lingua con problematiche attinenti a quello che lei chiama "istinto epistemofilico" (Klein, 1932, tr. it. 1970, pp. 241-243).
Detto questo, ritorno a dire che conoscere le 'cause storiche' che concorrono insieme nel provocare il blocco della scrittura nell'adulto non mi risolve il problema, mentre riprendere a scrivere con fluidità e con un bel pò di originali metafore sì. Un discorso simile si potrebbe fare anche con il blocco del pittore di fronte alla tela bianca, anche se Deleuze, nel saggio interessante su Francis Bacon, osserva che è solo un errore pensare che il pittore si trovi di fronte alla tela bianca e non sa cosa dipingerci sopra. Secondo Deleuze (Deleuze, 1981, tr. it. terza ed., 1999), l'immagine che il pittore poi crea sulla tela è già, per linee generali, inventata con l'immaginazione nella sua mente.
D'altra parte, Deleuze nel filosofare sulla Critica del Giudizio di Kant, osserva che ragione e immaginazione arrivono all'armonia passando attraverso una tensione, dove è il dolore la condizione che precede il piacere, ed è la "Passione" che attiva l'immaginazione. E' nel disaccordo così che ragione e immaginazione arrivano a un accordo. Ragione e immaginazione, allora, nel loro scontro si fecondono reciprocamente ed entrambe si trovano accomunate dal principio dell'anima, "quale unità soprasensibile di tutte le facoltà" (Deleuze, 1963, tr. it. 2000, pp. 34-36). Ronald Shone (Shone, 1984, tr. it. 1984, p. 16) osserva, in tal senso, che la persona creativa unisce ragione e immaginazione attraverso i due emisferi del cervello. Sappiamo che ciò avviene, infatti, attraverso il fascio di tessuti che, come un ponte, sono disposti tra i due emisferi cerebrali, tessuti che costituiscono una "formazione commissurale interemisferica" che è il "corpo calloso".
La questione si pone anche per lo scrittore nello stesso modo del pittore. Non è tanto la pagina bianca che può destare timore, ma il fatto che la 'pagina bianca' rimanda al 'bianco' della mente del soggetto, al 'bianco' della mente bloccata e che non si attiva in senso immaginativo. Cosa sarà mai questo blocco della mente?... Forse la mente si trova in una condizione depressiva che le impedisce di attivarsi?... Forse. Sappiamo, però, che scrittori filosofi depressi come il rinascimentale Marsilio Ficino si rivolgevano alle arti per stare meglio, dunque, compresa la scrittura.
In ogni caso, quello che può interessare allo scrittore 'bloccato' è trovare la vis, la via, per esprimersi. D'altra parte, è Deleuze, riprendendo Kant, come ho accennato sopra, che ci indica una via: solo nel dolore si attiva l'immaginazione e la possibilità di una integrazione nel suo scontro con la ragione. Quando la mente non regge il dolore, regredisce e non riesce a immaginare. Immaginare comporta tollerare il dolore, ed è possibile che lo sblocco della mente sia segnalato nel momento in cui essa ritorna a reggere il dolore, come, per esempio, nell'elaborazione riuscita del lutto.
Gli artisti sono probabilmente più consapevoli di altri esseri umani rispetto al vissuto che il vero Sé non è possibile esprimerlo in maniera diretta, come del resto afferma lo psicoanalista inglese Donald W. Winnicott (v. Gazzillo, Silvestri, 2008). Il vero Sé è possibile esprimerlo in maniera indiretta e creando un ambiente adatto per essere protetto. Questo ambiente protetto può essere la stanza dello psicoterapeuta, la pagina da scrivere, la tela da dipingere, il marmo da scolpire, l'invenzione di una danza classica, e altro ancora. Tutte situazioni protette in cui è possibile esprimere con autentica libertà se stessi, senza la preoccupazione di subire censure odiose o rappresaglie vendicative.
Nella stanza del terapeuta il vero Sé può esprimersi in silenzio con il comportamento non verbale, per esempio, con una regressione del comportamento del 'paziente' che si avvicina al corpo del 'terapeuta' e pone la propria testa sotto la giacca di costui, come se in quel modo si sentisse protetto, senza bisogno della mediazione della parola (il caso di Masud Khan paziente con Donald W. Winnicott suo analista). Oppure l'espressione del vero Sé trova la via artistica nella mediazione della vis imaginativa. In ognuno di questi casi, la frequentazione dell'immaginazine diventa 'necessità esistenziale'. Tra la carta, la penna (o il computer) e l'immaginazione dello scrittore non ci sono altre mediazioni. Ciò che però lui scrive è frutto della sua invenzione, mescolando e rimescolando i dati mentali di cui ha fatto memoria e che appartengono alla sua esperienza personale. La sua immaginazione è il 'frullatore' che, nel 'contenitore di cibi da frullare', mette un pò di tutte quelle cose che poi vanno a finire nel suo scritto.
Quello che a noi interessa, dal punto di vista pratico, è cercare una 'strategia mentale' per solleticare l'immaginazione e farla muovere al livello immaginativo più alto. Si tratta, allora, di compiere una circumnavigazione mentale come esercizio per sedurre l'immaginazione al fine di donarci le sue immagini. Una via potrebbe essere il il sogno in qualunque sua forma: il sogno Rem notturno, il sogno a occhi aperti (il fantasticare), le fantasie che si accompagnano a una frase o a un insieme di frasi. Sappiamo, però, che il sogno non è che viene fuori da uno sforzo della volontà, ma in modo naturale, per un lavoro della mente inconscia, e mi riferisco soprattutto ai sogni notturni.
Le immagini della mente possono essere descritte e interpretate. L'ermeneutica psicoanalitica, in fondo, fa proprio questo. Lo ha fatto per un pò di tempo con i sogni, per esempio, ma poi non lo si è fatto più per la consapevolezza della discrepanza tra 'sogno manifesto' (quello raccontato dal paziente) e 'sogno latente' (quello effettivamente vissuto). Si è deciso di lasciare il sogno senza interpretazione, prendendo semplicemente atto della sua comunicazione descrittiva. Se l'interpretazione può 'uccidere' il sogno, lasciandolo così com'è e prendendo atto della sua comunicazione possiamo permettere la sua sopravvivenza cosciente, almeno di quello che è il 'racconto' del sogno da parte del sognatore. Forse significa anche questo 'vivere con le immagini personali', prendendo atto della loro esistenza e tenendone conto nella vita cosciente quando affiorano alla sua consapevolezza.
Quello che sto cercando di dire, in sostanza, è che questo preambolo di parole è, in fondo, un 'esercizio metodologico' per 'riscaldare' l'accensione di quel 'motore mentale' che è l'immaginazione. Cosa voglio da essa? Che mi consenta il piacere di immaginare. E perché? Per creare nuovi mondi che mi permettono di vivere delle avventure della mente. Credo che tutte le menti creative siano delle menti avventurose: viaggiano nell'ignoto per creare il 'nuovo'. Un caso particolare, in questo senso, è l'opera del filosofo dell'immaginazione Gaston Bachelard, che trova un mondo fatto di immagini per ogni elemento della natura, un immaginario per l'acqua, la terra, il fuoco, l'aria, un mondo poetico per la materia. I libri sull'immaginazione di Bachelard sono dei viaggi 'immaginari' attorno alla natura alla scoperta della loro poetica, una poetica immaginativa della materia. (v. Bachelard, 1938, in tr. it. 1984; Bachelard, 1942, tr. it. 1987; Bachelard, 1943, tr. it. 1988; Bachelard, 1948, tr. it. 1989; Bachelard, 1948, tr. it. 1994; Bachelard, 1952, in tr. it. 1997).
Infatti, non ci sono soltanto i viaggi geografici in cui ci spostiamo da un luogo all'altro, ma anche i viaggi della mente attraverso i movimenti esistenziali dell'immaginazione. A differenza degli spostamenti geografici, quelli immaginativi richiedono una capacità di concentrazione in se stessi. A sua volta, la concentrazione mentale è favorita da pre-condizioni che la precedono, come il silenzio, il trovarsi in un ambiente tranquillo che non distrae, la motivazione al lavoro mentale, il desiderio di essere in contatto con se stessi. Tutte le menti creative hanno cercato di crearsi queste pre-condizioni per poter immaginare e pensare, e poi realizzare le loro opere.
Per esempio, Albert Einstein, all'inizio del XX secolo ha vissuto per circa tre anni (1903-1905) a Berna in una casa situata in un viale centrale della città. Fu in quel periodo che gli venne in mente la teoria della relatività. Einstein conduceva una vita tranquilla, svolgeva un lavoro dignitoso, ma nello stesso tempo pensava come fisico, era concentrato 'altrove' nell' attivismo teorico della sua mente scientifica. Il tedesco Hermann Hesse visse buona parte della sua vita presso Casa Camuzzi a Montagnola, un paesino situato sopra Lugano. Lì visse da povero privilegiato, in un rapporto poetico e contadino con la natura, scrivendo e dipingendo i suoi acquarelli, visitato da personaggi come Thomas Mann, ricevendo una quantità enorme di lettere dai suoi lettori e a cui rispondeva. La stessa cosa si potrebbe dire di Jung che a Kussnacht, dove viveva con la sua famiglia, conduceva una vita tranquilla. La sua casa era situata a pochi metri dal Lago di Zurigo. A parte il lavoro come psichiatra in ospedale, e poi come analista privato, la vita familiare, i figli, Jung poteva dedicare il suo tempo libero a scrivere e a rimanere in una solitudine ricercata e dedicata all'attività immaginativa, disegnando, dipingendo, dedicandosi anche alla scultura. E' incredibile di come tante menti geniali abbiano trovato in Svizzera il Paese ideale per immaginare e creare.
A Berna, per esempio, andavano a vivere, nella prima metà del XX secolo tanti artisti e scienziati, tra cui Paul Klee, a cui la città ha dedicato il "Zentrum Paul Klee" in una costruzione recente e molto moderna che ospita mostre dedicate a questo artista, un bel bar, una vasta libreria dedicata alle sue opere e in vendita per il pubblico, uno spazio per i bambini dove vanno accompagnati dai loro genitori a disegnare e dipingere liberamente, come faceva Paul Klee, inventando forme infantili. Essendo la Svizzera una nazione altamente civile, ricca, che dà molta importanza alla cultura, a differenza dell'Italia di oggi, purtroppo, come alla ricerca universitaria e all'applicazione della scienza all'impresa, gli svizzeri hanno saputo tenersi lontano dalle conflittualità europee e concentrarsi sul lavoro e l'efficienza, promuovendo anche a livello istituzionale le attività culturali, artistiche, scientifiche, e soprattutto economiche. Certo, anche la Svizzera ha il suo lato oscuro, come anni or sono fece emergere in una ricerca il sociologo Jean Ziegler (Ziegler, 1976, tr. it. 1976). Ciò non toglie anche i diversi meriti di questo Paese, patria, nel corso del tempo, di grandi personaggi come, tra gli altri, Jean-Jacques Rousseau (filosofo), Johann Heinrich Pestalozzi (pedagogista e riformista), Henry Dunant (fondatore della Croce Rossa), Fernand Hodler (pittore), Charles-Edouard Jeanneret-Gris chiamato con lo pseudonimo Le Corbusier (architetto, urbanista, pittore), Jean Piaget (psicologo), Frederich Durrematt (scrittore e pittore), Mario Comensoli (pittore), Alberto Giacometti (pittore e scultore), Jean Tinguely e Niki de Saint Phalle (artisti materici e neo-dadaisti). La Svizzera è una nazione che ha saputo dare grande importanza alla creatività, alla cultura, e dunque ai prodotti dell'immaginazione.
L'immaginazione resiliente
Il termine "resilienza", come chiariscono i libri che si occupano di questo argomento, a partire dai saggi di Boris Cyrulnik (per esempio, Cyrulnik, 1999, tr. it. 2000), trova il suo contesto originario nell'ambito della scienza che si occupa delle caratteristiche dei metalli. Ci sono metalli che sottoposti a delle gravi sollecitazioni, come subire un colpo con un martello o un colpo molto più grave, non si rompe, al limite si piega in modo flessibile e poi ritorna nella sua forma che le è propria.
La parola e il fenomeno che essa indica è stato trasposto nell'ambito della psicologia, della pedagogia, della psichiatria e della psicoterapia. Lo studio dei traumi subiti dagli esseri umani ha messo in evidenza che ci sono persone che riescono a sopravvivere a situazioni estremamente choccanti, attivando in se stesse e nell'ambiente che li circonda quelle risorse che favoriscono la vita mentre sembra che altre forze, quelle dominanti, lavorano per ostacolarla e distruggerla. La resilienza consiste, allora, in quell'atteggiamento estemamente positivo che consiste nell'organizzare le risorse interiori e dell'ambiente a favore della vita, nella persona che lotta per continuare ad esistere. In questo senso, i traumi subiti hanno bisogno di essere immaginati, per restituire loro un senso. L'immaginazione del trauma passa attraverso la sua memoria, dunque la narrazione delle immagini vissute e l'incarnazione del suo dolore. E' attraverso la navigazione dentro il trauma che esso diventa una storia di dolore personalizzata, e che riceve una sua oggettivazione diventando immaginario collettivo condiviso anche dagli altri. In questo senso, la scrittura diventa il mezzo per comunicare la storia di un patimento, e di come attraverso la propria resilienza il narratore sia riuscito a sopravvivere alla situazione-limite di grave sofferenza.
Sono tante le situazioni-limite, più o meno gravi, che abbisognano di sviluppare un atteggiamento e una immaginazione resilienti. Tra le tante situazioni-tipo, ne cito brevemente alcune: 1) la situazione dell'internato in un campo di concentramento, sia un lager nazista, un gulag sovietico, o di più recente memoria; 2) la situazione del mobbizzato come 'vittima prescelta' dai mobber, in un'organizzazione di lavoro gerarchizzata e malata di potere; 3) la situazione di moltissimi lavoratori che a causa delle speculazioni della "finanza creativa", o "capitalismo dei disastri" (Naomi Klein), soprattutto negli Stati Uniti, si trovano a dover fare i conti con la paura di perdere tutto ciò che hanno, compresa la salute psicofisica;4) il caso dei disabili, che a causa dello svantaggio di cui sono portatori si trovano a dover organizzare le loro risorse in forma resiliente, per trovare senso alla loro vita, insieme alle persone che si occupano di loro, dei familiari, degli amici, dei conoscenti, ottimizzando le loro risorse secondo modalità "diversamente abili"; 5) il caso dello scrittore e giornalista napoletano Roberto Saviano, un giovane coraggioso nato nel 1979, che nel 2006 ha publicato per Arnoldo Mondadori una specie di inchiesta romanzata sulla camorra di Napoli e dintorni, dal titolo Gomorra - Vaggio nell'impero economico e nel sogno di dominio della camorra, da cui è stato tratto il fortunato film omonimo, costretto a vivere sotto protezione della polizia e minacciato di morte e di essere ucciso entro dicembre 2008. Roberto Saviano ha ottenuto solidarietà dal presidente della Repubblica italiana Giorgio Napoletano, da Umberto Eco, da un comitato di Premi Nobel per la Letteratura, di tantissimi scrittori di importanza internazionale, di moltissimi italiani, dal regista cinematografico Martin Scorzese che vuole appoggiare la candidatura del film Gomorra per l'Oscar, da tante testate giornalistiche europee. Ciònonostante, vivere in Italia per Saviano è diventato molto difficile, e si prepara per emigrare in un'altra nazione.
L'immaginazione resiliente combatte i fattori di stress emozionale ambientali, nullificando ciò che è fonte di angoscia, depressione, umiliazione. Si tratta di prendere le distanze da ciò che fa star male negandone l'importanza, dando invece valore a tutto ciò che promuove il ben-essere personale. La coscienza immaginativa nega il reale opaco e al servizio di forze distruttive, e mentre lo irrealizza trova le immagini metaforiche che ne indicano il senso. Immaginare nella direzione della resilienza permette, allora, di conquistare un'autonomia nei confronti del distruttivo che è presente nel reale e nella sua psicopatologia, e di ri-orientare le proprie risorse verso aree 'sane' dell'ambiente umano, anche se ciò comporta il prezzo del trasloco e dell'emigrazione in geografie lontane dalla propria origine. Il riconoscimento del Sé è importante e arricchisce reciprocamente gli esseri umani. Solo i mediocri e i malati di potere, soprattutto nell'ambito delle gerarchie delle organizzazioni istituzionali, praticano il disconoscimento della persona e del lavoratore. Questi individui rendono il mondo più brutto, cattivo e ingiusto, e nei loro confronti che si deve prendere la dovuta distanza e praticare la resilienza.
La persona resiliente immagina in modo resiliente e si orienta verso legami umani costruttivi e basati sul riconoscimento reciproco, sulla buonafede e sulla valorizzazione dell'umanità che è in ogni essere umano. Purtroppo esistono individui che praticano la disumanizzazione degli altri, per avidità di potere. Bisogna allontanarsi da costoro, per non essere contaminati dalla loro stessa malattia psicologica.
L'immaginazione resiliente aiuta a trovare sostegno dall'interno del proprio Sé, ma anche a ricercare sostegno nell'umanità delle persone che non si sono perse completamente nella corruzione e che praticano ancora il buono che è in loro. L'immaginazione resiliente aiuta il soggetto a sentirsi protagonista della sua esistenza, a coltivare la fiducia in se stesso e la speranza, nonostante il fatto che il mondo vada sempre peggio. Tuttavia, la speranza, se ci si tiene alla vita, lascia supporre che gli esseri umani e le nazioni toccando il fondo del peggio poi possano ravvedersi, cambiando direzione di marcia.
L'immaginazione politica del cambiamento contro le forze dell'immobilismo conservatore
Peccato che l'Italia non cerchi di 'migliorarsi' prendendo esempio dalle nazioni più avanti in termini di cultura, civiltà e democrazia, e che invece corra sempre di più verso il declino culturale e civile, la messa in soffitta della democrazia e la restaurazione di una possibile dittatura neo-fascista. Solo una forte e sostanziale opposizione 'dal basso' può e dovrebbe piantare il seme dell'"uomo in rivolta" che sa dire "no", a livello collettivo, all'assolutismo dittatoriale, e alla trasformazione dei cittadini italiani in consumatori conformisti e ignoranti, passivi e robotici che si lasciano manipolare dalle tv pubbliche e private.
Occorre recuperare quel senso critico che solo la formazione culturale può darci, che permette di dare spazio al senso morale che è in ognuno di noi. Bisogna capire che solo la formazione culturale è la via che ci porta allo sviluppo della personalità, del senso democratico e civile che sono a favore della "buona società". In questo senso, abbiamo bisogno di una immaginazione sociologica, alla Charles Wright Mills (Wright Mills, 1959, tr. it. quarta ed., 1973) o alla Zygmunt Bauman (Bauman, 1990, tr. it. 2000), e una immaginazione politica, come un Karl Marx (Marx, 1844, tr. it. nuova ed., 1968) o un Herbert Marcuse (Marcuse, 1955, tr. it. sesta ed., 1968), che orientino le nostre menti verso il "bene", il "buono", il "bello", che ci permettano di riprendere i discorsi della polis che conducono verso la costruzione di una società migliore al servizio degli esseri umani, e non l'avverarsi del contrario, cioè di una società oppressa da un potere poliziesco e militare autoritario, controllore e paranoico, simile allo stile di gestione del potere del presidente George W. Bush negli Stati Uniti, di cui si è detto che percepisce la realtà solo in bianco o nero, non riuscendo a concepire le sfumature del grigio.
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Una notizia politica dal regno di Mattunicar
"Se è normale morire, non lo è indugiare troppo sulla morte e pensarci a ogni occasione. Colui che non ne distoglie mai la mente dà prova di egoismo e di vanità; poiché vive in funzione dell'immagine che gli altri si fanno di lui, non può accettare l'idea che un giorno non sarà più niente; poiché l'oblio è il suo incubo di ogni istante, egli è aggressivo e bilioso, e non perde occasione per far mostra del suo astio e delle sue cattive maniere. Non c'è un pò di ineleganza nel temere la morte?"
Emile M. Cioran
Nell'anno 63 della nuova datazione del mondo, al vertice del governo di un paese chiamato Mattunicar c'è il principe Siniborblu, un vecchio ricco signore che ama guardarsi continuamente allo specchio e chiedergli se lui è il più in gamba e il più seduttivo uomo del suo regno, ossessionato dall'angoscia di morire e dalla sua immortalità. Egli continuamente nega che sta invecchiando, e tenta di ringiovanire il suo corpo con il ricorso alla chirurgia estetica. Siniborblu, tuttavia, vive nell'illusione del mito dell'eterna giovinezza, visto che vuole campare fino a 800 anni. Se il grande despota vive solo per esaltare la sua possente persona, anche quando si accorge che perde colpi, che la sua mente e il suo corpo non rispondono all'onnipotenza del suo volere, che in fondo è un essere fragile come tutti, egli si arrabbia, e chiede di più alla medicina per dargli quel vigore che coincida con l'immagine smisurata che ha di se stesso. Dei problemi del Paese, invece, lascia fare ai suoi ministri, mostrando di infischiarsene altamente di Mattunicar.
Il principe Siniborblu è governatore di uno Stato che un tempo, prima che lui lo governasse, godeva di grande prestigio, mentre con la sua ascesa al potere di Stato rivela quali sono le sue reali intenzioni, cioè che vuole porre al servizio dei suoi interessi privati il suo governatorato, anche a costo di distruggere le biografie e i destini dei cittadini di Mattunicar.
La sete di potere di Siniborblu è del tutto straordinaria, i suoi sorrisi veneziani da carnevale, la sua simpatia interessata da grande simulatore, la sua battuta pronta a ogni occasione e spesso fallimentare per l'effetto contrario che suscita nel destinatario, sono alcune delle sue 'qualità' ormai di pubblico dominio, documentate, tra l'altro, dalle innumerevoli biografie e dai saggi sul suo profilo privato e pubblico.
Non è cosciente, questo ansioso potente, che il tipo di Mattunicar che desidera modellare va ad assomigliare sempre più a se stesso e alle sue false illusioni, a un Paese impoverito, deculturalizzato, da Terzo o Quarto Mondo? Crede, questo illustre essere vivente, di farla franca rispetto alle sue manchevolezze, alla sua incapacità di governare, limitandosi a guardare la sua immagine allo specchio della superficie del lago vicino al suo palazzo, come Narciso, autoconvincendosi di quanto sia ancora bello/capace/torello/immortale/grandioso nonostante la sua anzianità, non riuscendo, così, a guardare ai reali e preoccupanti problemi della sua nazione?
Se il principe Siniborblu non fa che guardarsi allo specchio, non può accorgersi di quanto soffrono i suoi cittadini, e se continua in tal modo a usurpare la poltrona in cui siede, prima o poi qualcuno potrebbe pensare anche di fargli del male. Non è capace di vedere, il grandioso Siniborblu, che il suo modo di governare è come tirarsi la zappa sui piedi, che alla fine è lui stesso a rimetterci danneggiando il Paese di cui è 'cittadino'? Inoltre, che immagine di Mattunicar dà così al mondo intero, se non quella di un Paese in declino, di quarto ordine?
Oppure, quando si è refrattari alla possibilità di realizzare una buona politica per il bene della collettività, pur avendo ottenuto il consenso elettorale ed avere avuto accesso ai poteri di governatore, può accadere, ahimé, che si possa cadere nella malattia del potere e se, con l'età, sopravvengano altri problemi senza che il soggetto se ne accorga, come sintomi di demenza (politica) che fanno dire cose avventate, a sproposito, venendo a mancare quel senso di autocritica intelligente che permetta di ritornare sui propri passi, magari scusandosi con chi si possa offendere per eccesso di sarcasmo, allora le cose peggiorano per il potente. Crede però che la malattia e la morte non lo riguardino, di continuare a vivere allegramente e senza che i segni della vecchiaia lo tocchino. Dà invece dimostrazione, agli occhi intelligenti del popolo, di come spenda una banca di soldi per cure mediche ed estetiche per restaurare il suo corpo decrepito e flaccido, per continuare a sostenere, agli occhi del mondo, quanto sia ancora 'giovane' alla sua tarda età! Intanto, Siniborblu non realizza provvedimenti, leggi, che migliorino le condizioni dei cittadini e delle istituzioni al loro servizio, perché per lui non hanno nessuna importanza, ricco com'è e preoccupandosi solo del suo tornaconto personale e della sua cerchia di potere a servizio.
Succede allora che il principe Siniborblu, tutto accecato dalla propria importanza, riconferma le proprie battute, dando torto agli altri, agli osservatori politici, ai giornalisti, affermando che dice i suoi motti di spirito in 'buonafede', mentre non si accorge che sono offese per chi li riceve, sia per un giovane cittadino incontrato per caso, senza lavoro e preoccupato per il suo avvenire di disoccupato, sia, ancora più grave, se quel sarcasmo è diretto a un grande capo di Stato di un'altra nazione appena eletto, diventando mancanza di rispetto.
Peccato che la ragione, in questi casi, sia messa fuori gioco dagli interessi egoistici, dal privilegio, dall'indifferenza verso il bene della collettività, dalla demagogia, dalla logica paranoica contro i lavoratori, nonostante la pretesa di coloro che occupano le cariche fondamentali del governo sia quella di porsi al servizio del 'bene' del Paese. Il grandioso Siniborblu, del resto, si è scelto come ministri e collaboratori dei lustrascarpe personali e dei domestici che gli reggono lo specchio quando vuole guardare la sua siloutte. Favoloso, il principe Siniborblu! Passerà alla Storia come l'individuo che si è guardato allo speccchio più di Narciso! E' quanto si legge sul più importante giornale di Mattunicar, un giorno dell'anno 63 della nuova datazione del mondo.
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Se il pensiero unico e l'autoritarismo uccidono l'immaginazione, l'immaginazione pensa a mondi alternativi per dargli una base sociale e una realtà. La democrazia serve a dare una base sociale all'immaginazione progettuale di un mondo migliore per tutti. Qualcuno potrebbe chiamarla 'utopia', ma se non c'è una utopia convincente a motivare l'azione sociale allora non è possibile nessun cambiamento politico del reale. In fondo, cos'è l'utopia se non l'apparente irrangiungibilità di una realtà immaginata? Sappiamo tutti che ciò che appariva, in ogni epoca storica, 'utopia' le epoche successive hanno trovato modi di dargli una realizzazione. La generazione del precariato, oggi, ha bisogno di creare la sua utopia-guida che motivi l'azione del cambiamento politico a suo favore, ma anche a favore di tutta la società.
Karl Marx ha avuto ragione sul giudizio morale nei confronti del capitalismo. Se da una parte riteneva un progresso la logica dell'impresa, consistente nella realizzazione del massimo profitto a costi contenuti, rispetto al baratto, all'economia feudale, dall'altra riteneva che la logica capitalistica andava superata al fine di realizzare una società più umana per tutti, secondo l'utopia 'ad ogni uomo secondo i suoi bisogni'. Marx era senz'altro una mente acuta e geniale, di grande immaginazione, avendo previsto il fenomeno della "mondializzazione" o, come diremmo oggi, della "globalizzazione" (Attali, 2005, tr. it. 2008).
Il giudizio sul capitalismo globale, oggi, non può che essere negativo alla luce dei fatti, non solo rispetto a quello della seconda metà del XX secolo a partire degli anni '70, con il "capitalismo dei disastri" (Klein, 2007, tr. it. 2007), ma anche con il capitalismo bancarottiero degli ultimi anni, a partire dal fallimento della finanza creativa, con i mutui statunitensi subprime e il capitale azionario fasullo, i facili prestiti bancari, basati sulle speculazioni finanziarie del mercato azionario dei debiti. Le borse di tutto il mondo, a partire da Wall Street, hanno segnato una crisi di grave portata, probabilmente più grave della Grande Depressione del 1929, culminata nell'ottobre del 2008. I premier dei Paesi più sviluppati del mondo sono del parere di cambiare le regole del gioco economico, riunendosi in una nuova Bretton Wood, mentre nella Bretton Wood del 1944 i capi di Stato che si riunirono in quell'occasione presero gli accordi che permisero di creare il Fondo monetario internazionale (Fmi) e la Banca mondiale. Il bilancio del capitalismo globale finanziario attuale non può che essere quello del crac impossibile da governare, che sta distruggendo enormi quantità di capitale negli Stati Uniti come nell'Ue.
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Giuseppe A. Morgana, Francobollo della Borsa mondiale -99,57, tecnica mista, ottobre 2008
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Marx aveva ragione, anche se dopo la "fine delle ideologie" è stato messo in soffitta. Le ideologie non è vero che siano state smesse come un abito ormai consunto da gettare via. Ciò è una menzogna. Le ideologie continuano ad esistere anche oggi. Basti pensare alla vitalità distruttiva del neoliberismo adottato dai neocon statunitensi, come dai premier di destra europei.
Il neoliberismo (Harvey, 2005, tr. it. 2007) è l'ideologia dei ricchi che desiderano perpetuare i loro privilegi di classe, con cinismo e ferocia, anche con atti criminali. Il fine del massimo profitto al minimo dei costi viene raggiunto dal capitalismo senza etica, barbaro e perverso, anche con i mezzi più atroci ed estremi, come la guerra costruita a tavolino dai potenti della politica che si mettono d'accordo con i potenti delle industrie degli armamenti. La quantità di denaro che così viene ottenuto entra in tutte le tasche degli interessati, politici di Stato e manager delle industrie private. Gli ideologi del neoliberismo sono incaricati di inventare un linguaggio paranoico giustificatorio e populistico, in modo che si riesca a superare la resistenza dei cittadini contro la guerra, desiderando ottenere una identificazione collettiva tra il potente che guida politicamente la nazione e il popolo, magari tirando in ballo la patria che è minacciata da un possibile "Stato canaglia" e che bisogna neutralizzare con una "guerra preventiva". Naturalmente non si fa cenno alle cifra astronomiche di denaro che fa guadagnare la guerra a tutti i partners d'interesse coinvolti, anche a costo di tutti quegli "effetti collaterali" costituiti da distruzioni, feriti, morti, malattie, sia da parte della nazione attaccata e capro espiatorio, sia da parte degli aggressori, nonostante che siano più forti e dotati di armi tecnologicamente superiori. La guerra, inoltre, provoca un clima psicologico estremo, in cui tutti vivono intense angosce di morte, e i più forti tirano fuori il peggio di sé, fino alla tortura più sadica dei prigionieri e agli stupri nei confronti delle donne del "nemico". Gli ideologi della nazione più potente del mondo che aggredisce una delle nazioni del Medio Oriente, inventando una falsa giustificazione guerrafondaia, poi creano delle razionalizzazioni e delle false versioni per gli ingenui cittadini della propria nazione, per giustificare quanto accade in nome degli agiti politico-militari della pulsione di morte. Così, le decisioni criminali di uccidere il "nemico", la popolazione inerte e indifesa, magari vecchi, donne e bambini della popolazione locale del territorio occupato. Ogni tanto muore anche qualche soldato degli invasori. E perché tutto questo? Per avidità di denaro, mentre la falsa scusa della guerra è che la nazione attaccata avrebbe costruito delle bombe atomiche che minaccerebbero l'Occidente, mentre ciò non è altro che una bugia. Così, la dinamica del capitalismo globale degli armamenti utilizzati contro gli "Stati canaglia" diventa un enorme business, l'ultima 'creazione' di una immaginazione patologizzata al servizio della pulsione di morte.
Martin Luther King, pastore statunitense (1929-1968), è famoso per aver pronunciato un discorso pubblico in cui più volte pronunciava la frase "I have a dream", cioè "Io ho un sogno". Era il 28 agosto 1963 quando molti americani seguirono King, in occasione della "marcia per il lavoro e la libertà", al Lincoln Memorial di Washington, e dopo la manifestazione di protesta lui pronunciò quel famoso discorso in cui aveva 'un sogno', quello che un giorno negli Stati Uniti tutti i cittadini sarebbero stati riconosciuti uguali in nome dei diritti civili, senza nessuna discriminazione per il colore della pelle. Il sogno, dunque, come riferimento collettivo, guida, per il cambiamento politico, il sogno che aveva avuto un solo uomo ma che tuttavia era un riferimento religioso importante per tanti altri uomini. Il sogno, dunque, l'immaginazione politica come speranza per realizzare una società più giusta. (v. il sito Internet Wikipedia dedicato a M. Luther King).
In realtà, lo slogan del 1968 "L'immaginazione al potere", scritto sui muri di Parigi, può riferirisi a una forma particolare di immaginazione, cioè all'immaginazione utopica di sinistra. Possiamo, tuttavia, osservare che l'immaginazione sia sempre stata al potere nella sua versione patologizzata e che sia servita, in modo rigido, ipocrita, autoritario, a giustificare lo status quo della conservazione dell'élite del potere, di volta in volta, egemone. In questo senso, l'immaginazione patologizzata dei potenti non è tanto nevrotica, ma soprattutto borderline, perversa, psicopatica, paranoica. Basti pensare a un certo alcolista che è stato alla guida del Paese più potente della Terra.
D'altra parte, è possibile che ogni tanto emerga un personaggio politico più 'sano' e che si pone, come ambizione politica, quella di guidare il suo Paese a favore dei bisogni dei cittadini. Gli Stati Uniti, che nell'immagine collettiva autoreferenziale si percepisce il più importante e potente del mondo, in ottobre 2008 ha accusato una 'ferita narcisistica' nell'economia nazionale dovuta a una serie di crac delle maggiori banche, simile a una catena di Sant'Antonio, per i motivi che sappiamo rispetto alle varie speculazioni finanziarie di un capitalismo fasullo. Questo personaggio politico più 'sano' di cui avrebbe bisogno un paese come gli Stati Uniti è, attualmente, il senatore del Partito democratico Barack Obama.
Obama, nella sua autobiografia del 1995, Dreams from My Father, che in italiano si può tradurre con "I sogni di mio padre", fa anche lui riferimento al sogno. Obama è un personaggio di grande fascino politico, che si è dedicato al bene altrui, ottenendo un grande consenso elettorale nel 2004 quando divenne senatore, con il 70 % di voti. C'è anche in questo politico "afro-americano" (il padre era un economista nero del Kenya, la madre una bianca del Kansas statunitense, come racconta Obama nella sua autobiografia) un'apertura all'immaginazione politica. Suo è lo slogan, tra l'altro piaciuto molto anche al leader politico italiano Walter Veltroni, "Change. We can believe in". E', infatti, del 5 gennaio 2008 il discorso che Obama ha pronunciato a Concord, nel New Hampshire, che si chiama Yes, we can (Obama, 2008, in tr. it. 2008, pp. 131-132). C'è, dunque, in Obama un'apertura verso il cambiamento politico, e il cambiamento è possibile solo con il progetto di realizzare una società migliore e diversa rispetto a quella in cui versa quella attuale. Ciò non può che comportare l'immaginazione di un'alternativa.
Obama viene eletto presidente degli Stati Uniti il 5 novembre 2008. Il suo insediamento ufficiale a tale carica è previsto per il mese di gennaio 2009. Obama rappresenterà per gli Stati Uniti una grande speranza di rinnovamento e, di riflesso, ciò comporterà nuove influenze, e si spera in senso migliorativo, nella politica internazionale con i Paesi dell'Unione europea. Il 5 novembre 2008, sera, Barack Obama è eletto Presidente degli Stati Uniti con 349 voti, mentre il suo rivale John McCain ha realizzato soli 163 voti, i voti non assegnati 26. Le elezioni si sono svolte il 4 novembre, questa volta senza che inganni di sorta, da parte del Partito repubblicano, impediscano il quasi scontato verdetto elettorale a favore di Obama. Data la fallimentare presidenza del repubblicano neocon George Walter Bush, quella di Obama si annuncia come una presidenza a legittimazione carismatica, già a partire da come il senatore intellettuale abbia condotto la campagna elettorale, fino all'effettiva elezione a presidente degli Stati Uniti.
Obama si riallaccia alla tradizione dell'utopia politica, del sogno di un uomo che vuole che diventi sogno collettivo di un popolo, di cui lui è la guida. D'altra parte, il sogno di Obama ha successo perché nelle sue immagini ci sono gli statunitensi e il miglioramento del loro destino. E' al popolo degli Stati Uniti che Obama si rivolge per ricevere la sua legittimazione durante la campagna elettorale per lui come candidato per la presidenza degli Stati Uniti. Egli si rivolge agli statunitensi come a un solo popolo unito, senza differenze discriminatorie per il colore della pelle o per la religione che si pratica. Egli dichiara di leggere la Bibbia e di pregare, e questo è molto importante per un popolo dove la pratica religiosa è diffusa, anche se declinata secondo una molteplicità di gruppi religiosi con una propria visione del sacro. Obama al fine di ottenere il consenso elettorale ha parlato al popolo degli Stati Uniti come un predicatore religioso alla Martin Luther King (mezzo), per ottenere un risultato politico collettivo unitario (fine), con la sua elezione presidenziale. Il popolo degli Stati Uniti ha legittimato il carisma di Obama, e lui non potrà che gestire il suo mandato presidenziale se non come un capo carismatico (a proposito del potere a legittimazione carismatica, v. Bauman, 1990, tr. it. 2000, pp. 120-122).
Cambiamo scenario e consideriamo il Belpaese. Attualmente, purtroppo, viviamo nella mediocrità di un' "Italia immobile" (Caporale, 2008). Il talento dei giovani, e dei meno giovani, non ha patria in Italia, tanti vanno a vivere all'estero e riescono a trovare lavoro di grande soddisfazione dove il talento e il merito vengono riconosciuti. In Italia i posti chiave nelle istituzioni ce l'hanno i mediocri e il loro potere - più o meno grande o più o meno piccolo - lo difendono con le unghie e i morsi.
Se in Italia non si ricostituisce un grande schieramento di forze politiche di sinistra che vuole il cambiamento e il miglioramento del nostro Paese per tutti i cittadini, la destra attualmente al potere rischia, e lo sta già facendo, di ridurre l'Italia a un povero Stato del Quarto Mondo che non ha scuole e servizi, ma solo lo 'svago', se ce l'hanno, delle tv con le giovani e bellissime signorine per tre quarti del loro corpo nude, che sculettano glutei ben rotondi, come quelli immortalati nella pittura di Renoir, seni prosperosi alla Drive in di storica memoria, e fianchi pieni di curve che un qualsiasi autodromo mai si potrebbe sognare. Tutto questo per telespettatori ignoranti, assetati di voyerismo cronico, che si sono fatti abbindolare dal dittatore dal sorriso finto e populista.
La destra al potere conosce solo il proprio 'pensiero unico', è antidemocratica, mediatica, vuole imporre un ordine militare nella società civile, mortificare la pluralità dell'immaginazione e della creatività dei cittadini che non si allineano alla sua ideologia biforcuta. Si tratta di una élite paranoica di destra, simile all'Amministrazione di George W. Bush alla Casa Bianca, che vuole governare con la forza e non prendendo atto, e modificando, i propri provvedimenti legislativi secondo la volontà della nazione, come dovrebbe essere in una autentica democrazia. E' contro la cultura, contro la scuola pubblica in tutti i suoi gradi, compresa l'università e la ricerca, perché questa destra illiberale intuisce che lì si 'annidano' le basi della costruzione di una mente critica e intelligente, ben educata ai valori del bene, del giusto, del bello, e che non può tollerare la cattiveria, l'ingiustizia, la bruttezza interiore. Inoltre, questa élite del potere di destra è convinta che i corrotti e i furbi sono quelli che hanno 'diritto' a governare e a soggiocare le persone che hanno una mente onestamente kantiana, con una base morale, e che non amano le 'furbate', che secondo i primi sarebbero solo dei 'fessi' o dei 'deboli'. Gli individui di questa élite del potere di destra sono un manipolo di politicanti che hanno come unico scopo di governare con la forza, e a favore degli interessi di una minoranza di ricchi, autoperpetuando il loro insediamento al governo, come se tra le forze politiche, composite di questa destra di governo, fosse stato istituito un 'contratto politico' tra furbi, per mantenersi a tutti i costi al potere, anche nel caso in cui venissero a mancare le premesse per cui sono arrivati a governare.
Oggi occorre che l'immaginazione cammini nelle strade, che sia espressione democratica di relazioni giocose, che sia anche un'immaginazione politica che ridia forza alla democrazia e alle forze politiche che rappresentano la società civile. La destra al potere non rappresenta la società civile e i suoi bisogni, ma il cinismo dei ricchi, che provoca l'impoverimento dei lavoratori delle classi medie, impiegatizie e del settore terziario, come della classe operaia che è sempre meno rappresentata dai sindacati e dai politici, e che tenta di chiudere il futuro in faccia ai precari, giovani o meno giovani che siano.
La società civile ha bisogno dell'immaginazione politica per inventare il suo futuro, anche a partire dalla situazione depressiva di crisi del presente. Non bisogna dare troppo credito agli uccelli del malaugurio. Finché c'è vita, dice il tradizionale detto, c'è speranza, e questa speranza bisogna continuamente alimentarla e ricrearla in forme nuove con l'immaginazione progettuale. Solo essa può diventare, almeno in parte, realtà. E anche se solo il 10 % di quello che abbiamo immaginato dovesse realizzarsi, sarebbe di sicuro una grande cosa, perché abbiamo contribuito a trasformare il reale, invece di 'adattarsi' ad esso passivamente, come vogliono gli oppressori.
Immaginazione, arte e cultura
"[...] essere liberi significa esercitarsi a non essere nulla."
Emile M. Cioran
L'immaginazione è altamente democratica e pluralistica, rispettosa del libero pensiero e della libertà d'espressione, contraria a ogni dogma e a ogni pensiero unico. In questo senso, l'immaginazione è veramente una grande forza innovativa. Essa sta alla radice di ogni forma di creatività. Se i graffiti primitivi presenti in alcune grotte o le incisioni rupestri sono testimonianze del fare-artistico dei primi esseri umani in forma spontanea, oggi, nel primo decennio del XXI secolo, un vero artista non può fare a meno di conoscere almeno un poco la storia dell'arte, se non vuole cadere nella trappola del già fatto o del già detto o del già visto. L'arte, infatti, è l'espressione dell'invenzione del 'nuovo' per eccellenza e ogni epoca ha la sua arte peculiare, soprattutto in Occidente.
Da questo punto di vista, l'immaginazione ha bisogno di essere educata alla storia dell'arte, per esercitarsi su progetti espressivi ancora non fatti, non detti, non visti. L'arte ci apre verso nuovi mondi, verso lo stupore dello sguardo nei confronti di immagini inedite che ancora non erano state realizzate. In questo senso, l'immaginazione diventa cultura, e l'arte, in senso alto, riprende la tradizione con in più quell'aggiunta, quel quid, che ancora non era stato fatto, non era stato detto, non era stato visto. Una nuova e grande opera d'arte tiene nello sfondo le opere degli artisti del passato, anche se 'sembra' che nell'opera innovativa dell'ultimo artista dell'epoca contemporanea non ci sia nessun legame con la tradizione. Ciò che però è insopportabile, in arte, è la mediocre imitazione della tradizione che così scade nel 'cattivo gusto', da una parte, e l'ambizione di una originalità assoluta che non ha nessun contatto con quanto è già stato fatto, già detto, già visto, provocando delle fratture profonde nello stesso genere di arte, che così mette in discussione l'appartenenza della 'nuova arte' al tipo di arte a cui pretende di voler essere la sua ultima innovazione o evoluzione, dall'altra. Così, la pittura, per esempio, non può che essere pittura anche in forme innovative, ma altri modi di fare arte, al di fuori della tela, possono benissimo chiamarsi 'arte', ma di altro genere. In questo senso, anche oggi, a mio parere, la pittura su tela ha la sua fascinosa attualità, basti pensare alle opere di Francis Bacon o di Lucien Freud o di tantissimi altri geniali pittori.
Le forme nuove in cui si esprime l'arte, come, per esempio, l'arte povera, l'arte concettuale, l'arte dei ready-made alla Marcel Duchamp, o altro ancora che utilizza il multimediale, le tecnologie della nostra epoca, vanno bene così, ma queste ultime non inficiano la scultura o la pittura, come Internet non si sostituisce o mette in soffitta la fruizione dei libri o dei giornali. Si tratta di forme differenti di espressione culturale, ognuna con il proprio fascino e la propria seduttività e che trova un pubblico che si sente attratto da loro in maniera democratica, a seconda del proprio gusto estetico e/o intellettuale.
Certo, Walter Benjamin (Bejamin, 1955, tr. it. nuova edizione, 1991) con il suo saggio dell'opera d'arte nell'epoca della sua riproducibilità tecnica, a partire dal Novecento, mette in crisi il concetto di 'arte' così come l'avevamo concepito prima dell'avvento della società di massa. D'altra parte, Andy Warhol con i suoi dipinti in cui rappresenta la serializzazione dell'immagine, come, per esempio, la riproduzione seriale del volto di Marylin Monroe in una stessa tela o di altri personaggi del mondo dello spettacolo, o un tipico prodotto consumistico in scatola di alluminio come la zuppa Campbell, non fa che riproporre in pittura il senso che lui coglie della sua epoca nella società statunitense a cui apparteneva, cioè la società dei consumi. Gli Stati Uniti degli anni '60 del XX secolo sono caratterizzati da una identificazione totale con lo stile consumistico di vita, e gli statunitensi non hanno nessun atteggiamento critico verso questo stile di vita. Lo stesso Warhol ne è omologato come tutti i suoi compatrioti, e con la sua pittura dipinge ciò che lui dice di conoscere meglio, (v. Quaranta, in 2004, p.78) . Le analisi sul consumismo nell'era della società liquida fanno formulare a Zygmunt Bauman, sulla traccia del "Cogito, ergo sum" di Descartes, il titolo del suo stesso saggio Consumo, dunque sono (Bauman, 2007, tr. it. 2008).
L'immaginazione artistica, dunque, ha la funzione di riflettere, come le facce a specchio di un prisma, le varie sfaccettature dell'epoca storica in corso, fornendoci le immagini di un grande mosaico che è lo Spirito del Tempo che si sta attraversando. A questo scopo partecipano, tuttavia, altre forme di immaginazione come, per esempio, quella intellettuale con i giornali e i libri di letteratura, di poesia, di saggistica di vario genere. In ogni caso, l'immaginazione artistica sta alla base di tutte queste forme di espressione. Senza dimenticare che la fotografia è una forma d'arte che si è sostituita alla pittura naturalistica e che è largamente usata soprattutto nei giornali, oltre che a costituire una forma d'espressione di largo uso sia personale che collettivo. La fotografia è stata, del resto, digitalizzata e riproposta in versioni tecnologicamente avanzate con i telefonini o cellulari. Le foto delle macchine fotografiche elettroniche più avanzate e predisposte possono essere trasposte nel computer. Le cineprese di largo uso collettivo, d'altra parte, permettono di realizzare video o filmini, allargando al mercato il piacere di realizzare un film, più che altro, anche per uso domestico, oltre all'uso che ne fanno, poco dopo l'invenzione del cinematografo dei fratelli Lumière (1895), gli artisti cinematografici.
Viviamo, soprattutto nella modernità che va dalla seconda metà del Novecento fino ad oggi, in un mondo di immagini. Dobbiamo però distinguere tra quella che in modo ormai spregiativo indichiamo come la 'società delle immagini' dalla nostra personale immaginazione. La prima può essere fonte di condizionamento e alienazione, in quanto tende, soprattutto con il lavaggio del cervello pubblicitario e i messaggi di alterazione del reale che provengono dalle tv/da Internet/ dai cellulari/ dalle gigantografie consumistiche o dalle gigantografie narcisistiche di personaggi popolari sparse per le città, a filtrare il mondo secondo i progetti politici della classe dominante (i ricchi) al fine di ottenere il consenso della collettività dei cittadini, anche quando questo consenso va contro gli interessi della collettività stessa. Nel caso, invece, della nostra immaginazione il discorso è esattamente l'opposto, perché per noi stessi l'immaginazione non è causa di alienazione, ma apertura verso i mondi del possibile, libertà d'espressione, creazione artistica, piacere estetico, e contatto con noi stessi in senso psicologico. Riappropriarci della nostra immaginazione è dunque non forma di alienazione, ma realizzazione del nostro potenziale creativo.
L'arte è un'attività "autotelica" per eccellenza, ossia un fare che trae piacere dallo stesso fare come fine a se stesso. A parte l'uso di tecniche e di esperienza, conta moltissimo in arte, per tre quarti dell'opera, la qualità e l'originalità dell'immaginazione. Qualcuno ha detto che l'arte è una cosa "inutile". Probabilmente ha ragione se l'arte viene giudicata con il metro del denaro, anche se, a dire il vero, le opere dei grandi artisti, e anche di coloro che grandi non sono, vendono benissimo e a prezzi da capogiro, grazie alla loro capacità di marketing pubblicitario nella società dove l'immagine mediale è tutto. D'altra parte, Andy Warhol è stato maestro in quella che lui definì la "Business Art", ossia l'arte di fare i soldi, in una società, quella statunitense, in cui il denaro è quasi tutto, e dove la prostituzione al mercato contamina anche l'arte e la innalza anche a una forma artistica superiore alla stessa arte, come fa Warhol negli anni '70 e '80 del XX secolo (Bockris, 1989, in tr. it. 2004, pp. 58-59).
A parte questa élite dell'arte, se vogliamo chiamare così questi privilegiati, la maggioranza degli artisti, e soprattutto quelli delle arti figurative, si lamentano di dover sbarcare il lunario dedicandosi ad altre attività lavorative che nulla hanno a che spartire con l'arte. E', del resto, quanto emerge dal sondaggio del professor Mannheimer, effettuato sui quattrocento artisti partecipanti al premio Terna. Si tratta di un riconoscimento che è stato assegnato agli artisti meritevoli presso la sede della manifestazione "Artissima15. Internazionale d'Arte Contemporanea" a Torino, al Lingotto Fiere, nei giorni 7-9 novembre 2008 (Vagheggi, in la Repubblica, 10 novembre 2008, p. 39). Ciò fa pensare che Arte sia figlia di Poenia e Techne e di Psiche e Amore. Povertà e ingegno tecnico, ma anche immaginazione e amore, in altri termini, sono i genitori dell'arte.
A parte ciò, sostengo che l'arte è l'esperienza dell'immaginazione che si concretizza in un'opera. Se a l'uomo piace praticarla, ben venga, oltretutto è un'esperienza salutare, come abbiamo detto, di natura "autotelica". E' anche, dopo che l'opera sia stata finita ed esposta a un pubblico, come nel caso di dipinti e sculture, un'occasione di comunicazione e socializzazione attraverso cui gli esseri umani trovano motivi di reciproco riconoscimento e riflessione.
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Giuseppe A. Morgana, Francobollo Francis Bacon, tecnica mista, ottobre 2008
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- Lezione 21, (Italia, 2008), regia Alessandro Baricco.
Interpreti: Noah Taylor, John Hurt, Leonor Waitling,
Clive Russell.


Riferimento sitografico
-
Martin Luther King - Wikipedia





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