domenica 6 febbraio 2011

Il perturbante della mente ideologica

INDICE

1. I negazionisti dell'Olocausto e il fanatismo ideologico
2. Mente ideologica e perversione
3. Pensiero unico autoritario e ideologico contro pensiero plurale democratico delle idee
4. Le perversioni anti-democratiche negli ambienti di lavoro della società civile democratica
5. Dalle "grandi narrazioni" alle "piccole narrazioni", fino alle narrazioni schizoparanoidi
Riferimenti bibliografici


1. I negazionisti dell'Olocausto e il fanatismo ideologico
Come è possibile che ci siano individui, anche colti, del tipo 'professori universitari', addirittura tra gli storici, che dovrebbero conoscere bene i "fatti" della storia, che possano negare che ci sia stato l'Olocausto? Per negare una verità ormai accertata e diventata una 'verità collettiva' e 'oggettiva', i fautori di questa negazione, contro corrente e inaudita, devono avere, probabilmente, qualche 'interesse' personale o ideologico a sostenere la negazione della verità.
La "negazione" è, come sappiamo, un meccanismo di difesa. La negazione è una difesa inconscia che scatta in maniera 'automatica' quando ci si sente minacciati di fronte a una verità che non si vuole ammettere, anche perché va contro la propria sopravvivenza, i propri interessi, il proprio credo. Si nega, in altre parole, per 'farla franca', per non pagare il prezzo della propria responsabilità rispetto a un fenomeno considerato con riprovazione da parte della sociocultura di cui si fa parte. Dal punto di vista della coscienza, la 'negazione' però equivale alla menzogna intenzionale, sostenuta dalla malafede.
Ci sono anche 'fenomeni' che non sono limitati a una particolare sociocultura, che sono di portata universale come nel caso dell'enormità che riguarda la perversione necrofila circa la morte disumana e malvagia di sei milioni di esseri umani nei campi di sterminio nazisti, e che nessuna negazione al mondo può sostenere il contrario. Eppure, professori più o meno eminenti, e anche individui non particolarmente colti, facilmente plagiabili da un'ideologia insensata e che incoraggia il risveglio delle pulsioni perverse e criminali, non solo hanno negato l'Olocausto, ma anche l'esistenza dei forni crematori e dei campi di sterminio nazisti.
Inoltre, un'altro 'fenomeno' inconcepibile per una mente 'normale', o tendenzialmente 'sana', è quello della rinascita di sette naziste anche nella nostra epoca. C'è qualcosa di inconcepibile, qualcosa che non può essere compreso con la sola ragione rispetto agli individui che si schierano dalla parte della malvagità e del male, intenzionalmente commesso, nei confronti del prossimo.
In campo politico, l'ideologia è un un insieme di sottoprodotti di scarto delle vere Idee, dunque idee che hanno uno statuto epistemologico di 'seconda mano', trattandosi di affermazioni irrazionali contraddittorie e insostenibili, dal punto di vista della ragione, ma che hanno un potenziale evocativo pulsionale di forte impatto a livello di gruppo o di massa. L'ideologia può avere anche un fine, di solito irrazionale e distruttivo.
Nell'ideologia troviamo l'elemento della malafede e un uso strumentale delle false idee irrazionali, giustificative dell'agire pulsionale sia a livello individuale che collettivo. La malafede, in altri termini, di cui si era già occupato Jean-Paul Sartre (Sartre, 1946, tr. it. stampato nel 1978, p. 77), permette di giustificare, nella mentalità gruppale irrazionale dell'ideologia, le azioni e i misfatti che mirano alla realizzazione del fine, secondo quella perversa coincidenza hegeliana detta panlogismo, dove l'ideale e il reale dovrebbero coincidere, con conseguenze devastanti sulle vite umane. Infatti, la lettura letterale di una ideologia la rende mostruosa, perché gli 'ideali', come qualcuno ha detto, non sono fatti per essere trasformati pari pari in realtà individuale o collettiva, nel mondo esterno, ma rappresentano solo delle guide mentali per le nostre azioni, come la mappa non è il territorio, ma solo una 'guida' per 'orientarci' in uno spazio geografico fisico o urbano che non conosciamo, nella consapevolezza che rimarrà sempre uno iato tra l'ideale e il reale.
Nel caso del seguace di un'ideologia, ancora di più se si tratta di un fanatico, e ancora di più se siamo di fronte a una rigida interpretazione dogmatica di un'ideologia che, al tempo stesso, è politica e religioso-fondamentalista, ci troviamo di fronte a una sorta di 'annebbiamento' nella capacità di riflettere, ragionare, immaginare senza pregiudizi. Anzi, possiamo affermare, a ragion veduta, che il pregiudizio sia un 'ingrediente' essenziale di una ideologia fanatica, come quando si sostiene il razzismo nei confronti delle etnie minori.
2. Mente ideologica e perversione
Dal punto di vista psicoanalitico-kleiniano, l'ideologia assolutizza, in maniera psicotica, la "posizione schizoparanoide", per cui la mente ideologica funziona secondo meccanismi di difesa primitivi, che non di rado sono presenti nei politici più narcisisti e perversi, come la scissione e la identificazione proiettiva. Quando all'ideologo l'opposizione rinfaccia i suoi misfatti, egli può anche difendersi con un meccanismo di difesa più nevrotico, ribaltando la 'verità' nel suo opposto (formazione reattiva). Nella scissione, l'oggetto intero interiore viene distinto in due oggetti parziali, uno 'buono', con cui il soggetto si identifica insieme al suo credo fanatico, e l'altro 'cattivo', ossia gli altri che non appartengono al 'noi' identitario del gruppo fanatico, e che sono svalorizzati, banalizzati, deumanizzati.
Il 'cattivo' viene dunque proiettato fuori il proprio Sé per mantenerlo 'buono', per farlo 'identificare' esclusivamente con qualità 'buone', mentre il 'cattivo' espulso e 'identificato' con persone del mondo esterno ha qualità di pura 'cattiveria', per cui coloro che non appartengono al 'noi' identitario possono essere colorati di qualità negative in modo radicale.
Nel caso dell'ideologia nazista, i 'totalmente cattivi' erano gli ebrei e tutte le minoranze etniche che erano 'altre', 'inferiori', rispetto all'ideologica razza ariana.
La "mente ideologica", la "mente fanatica", è evidente nel caso dei "nazisti", dei "comunisti sovietici", negli "ultrà" dei campi di calcio, ma è presente anche nelle associazioni culturali quando prevalgono finalità che hanno a che fare con il potere, gli interessi economici, le motivazioni personali da soddisfare, per cui si attiva la malafede e la "parte oscura" che è presente in ogni essere umano. Carl Gustav Jung (Jung, 1957, in 1999, tr. it. 2001, pp. 45-59) ha indicato la "parte oscura" della psiche con il nome di "ombra". L'"ombra" consiste in quegli aspetti della psiche che sono considerati poco sviluppati, che sono "meno" perfetti, ma che potenzialmente costituiscono delle risorse, oppure delle inclinazioni al male che possono rimanere 'silenti', se non risvegliate. Secondo John Steiner, riferisce Zygmunt Bauman (Bauman, 1989, tr. it. 1992, pp. 230-231), in ognuno di noi c'è una "caratteristica latente della personalità", scrive Steiner, che è responsabile della violenza e della crudeltà e che normalmente si trovano in uno stato di "dormiente". Particolari circostanze possono risvegliare il "dormiente" della malvagità dal suo letargo, in cui normalmente riposa nella maggior parte delle persone, e allora si scatena in tutta la sua distruttività.
In particolari condizioni della psiche, la "parte oscura", che può coincidere con le perversioni umane, invece di essere riconosciuta, contenuta e gestita costruttivamente, può essere negata nel proprio Sé in quanto 'oggetto scomodo', angosciante, ma pure parte di se stessi, e proiettata in un oggetto esterno identificato come 'cattivo'. Questo può accadere secondo un processo inconscio, acritico, per cui quella parte di se stessi che non si riesce ad accettare, perché nell'Io-Sé non si sono sviluppati stati mentali di contenimento e trasformazione delle parti cattive, per cui il soggetto è incapace di gestirle per conto proprio, si preferisce destinarle alla espulsione proiettiva e 'identificarle' con un 'oggetto esterno' eletto a "capro espiatorio", che può essere una minoranza etnica o/e religiosa (gli ebrei, i zingari, i barboni, e altro), come pure i singoli individui che presentano caratteristiche personali e che si distinguono dalla massa dei 'normali', dei 'conformisti', degli individui che appaiono 'come tutti'.
La psicoanalista lacaniana Elisabeth Roudinesco, nel suo acuto saggio dedicato alla "parte oscura" (Roudinesco, 2007, tr. it. 2008) che è presente in tutti gli esseri umani, osserva che essa si può esprimere attraverso le perversioni. La perversione si può manifestare, per esempio, nel pedofilo, nel nazista, nel terrorista, nella donna isterica del XIX secolo, ma anche nell'attuale concezione del capitalismo inteso esclusivamente come cinica massimizzazione del profitto e ricerca di criteri sempre più precisi e insuperabili di valutazione dei lavoratori, che non ha nulla che vedere con l'accrescimento della qualità del lavoro, al contrario, come osserva Christophe Dejours (Dejours, in Le Monde, 21 luglio 2007), specialista nelle problematiche del lavoro, citato dalla Roudinesco (ibidem, p. 157), ha a che fare con una concezione perversa del capitalismo, insensibile alla sofferenza che provoca alle persone.
Tra questi capitalisti, per esempio, possiamo considerare Sergio Marchionne, l'amministratore delegato (ad) della Fiat, che ha affermato, una volta, che l'unico suo massimo criterio di valutazione, rispetto all'obiettivo che deve raggiungere la casa automobilistica di Torino, è la realizzazione di sempre più profitti possibili. A Marchionne non importano i diritti dei lavoratori, le conquiste ottenute con le lotte sindacali per l'approvazione dello Statuto dei Lavoratori italiano, istituito con legge n. 300 del 20 maggio 1970, importa, al contrario, solo fare sempre più soldi e basta! Questa è la religione perversa del capitalismo, ed in fondo lo è sempre stata dal momento in cui è venuto a caratterizzare l'economia moderna. Adesso Marchionne, vedendo che in Italia, a suo parere, si fa 'troppa politica' (sic!), intende delocalizzare la Fiat e spostarla a Detroit dove c'è la Chrysler, ma naturalmente non può ancora sbilanciarsi troppo nelle sue intenzioni, considerando le resistenze che incontrerebbe in Italia questa sua decisione così radicale e cinica.
Un altro aspetto della perversione del capitalismo sono i suicidi che provoca. Lo ha sottolineato ancora Christophe Dejours, affermando che i suicidi sono dovuti al cambiamento voluto dai nuovi metodi di management, per esempio, nelle fabbriche di automobili come la Peugeot Citroen o la Renault, che mirano a distruggere ogni forma di legame sociale, all'eliminazione della solidarietà, degli scambi nell'aiuto tra i lavoratori (Dejours, in Le Monde, 21 luglio 2007, cit. da Marzano, 2008, tr. it. 2009, p. 99). La Marzano osserva, giustamente, che la "pausa caffè", spontanea tra i lavoratori, a un certo punto negli ambienti di lavoro istituzionali, in Francia, viene abolita e sostituita con "pausa caffè" controllate dall'alto, la spontaneità del comunicare tra i colleghi di lavoro viene sostituita con 'l'obbligo di dialogo' imposto! (Marzano, 2008, tr. it. 2009, p. 100). Questo cinico e manipolatorio metodo manageriale, per controllare i dipendenti dall'alto, è, come osserva la Marzano, una sorta di "rimedio" peggiore del male che si vuole eliminare.
In sostanza la perversione del sistema capitalistico attuale consiste nel cinico contributo alla distruzione dei legami sociali e nel portare non pochi individui alla disperazione, al punto di tentare o realizzare il suicidio. Inoltre, più che accrescere i successi nel campo delle imprese economiche, il capitalismo attuale moltiplica i suoi insuccessi, perché basato sulla malafede, utilizzando in modo strumentale la menzogna e la truffa.
In questo senso, come riferisce anche la Roudinesco citando lo stesso articolo, si è espresso Dejours. Tuttavia, Dejours non è il solo a pensarla in questo senso, e i fatti e i misfatti del capitalismo finanziario, truffaldino, sono ormai stati ampiamente riportati dai giornali di tutto il mondo, oltre a diventare oggetto di analisi e di pubblicazioni (vedi James, 2007, tr. it. 2008; James, 2008, tr. it. 2009). Nella mente ideologica prevale il nucleo perverso della psiche, ossia la tentazione al male che viene giustificata ideologicamente.
Hanna Arendt ha scritto su cosa fosse un campo di sterminio nazista, nella sua realtà totalitaria (Arendt, 1946, in tr. it. 2001), e sulla ricostruzione del caso Eichmann, al tribunale di Gerusalemme l'11 aprile 1961, in quanto giornalista del New Yorker, così ha potuto osservare quanto sia banale il male, perché indossa gli abiti del burocrate e del tecnico nazista. In questo senso, ognuno di noi potrebbe essere a rischio di compiere quel tipo di male, così estremo e criminale, perciò "banale" (Arendt, 1963, 1964, tr. it. 2001), se non interviene un argine morale personale contro di esso.
Autonomamente avevo fatto un confronto tra i metodi del management, che comprende il mobbing, e i metodi nazisti, certo, con le dovute differenze. Anche la Marzano compie un confronto simile, e questo mi conferma l'appropriatezza dell'osservazione, e sono d'accordo con lei quando dice che i manager non sono di certo i nazisti, che nessuno di loro vuole uccidere qualcuno. Tuttavia, con i dovuti distinguo, non possiamo fare a meno di osservare che qualcosa di inquietante hanno i loro metodi manageriali nel portare le persone alla disperazione e a volte suicidarsi sul posto di lavoro. Nel 2003, riporta la Marzano, in Francia è stato rilevato dall'ispettorato medico della zona Bassa-Normandia, secondo un'indagine però non completata, che ci sono sui 300 suicidi di dipendenti sul posto di lavoro ogni anno!
Tra l'altro, il controllo dei dipendenti,da parte delle istituzioni,ormai si estende anche ai mezzi informatici privati, rispetto al computer che si usa a casa o ai messaggi sms che vengono inviati dai cellulari. Per cui i lavoratori dipendenti non possono nemmeno dire in privato cosa ne pensano dei loro superiori con colleghi o amici, rischiando sanzioni dall'alto quando le comunicazioni private, o l'uso privato di siti Internet, vengono persecutoriamente 'indagati' dal vertice di una istituzione di lavoro. Questa notizia di cronaca, tra l'altro, riguarda un arrogante provvedimento preso nei confronti di alcuni dipendenti relativi a commenti che sarebbero stati diretti verso il vertice dell'istituzione, ma questo è solo una illazione molto indiretta, perché i dipendenti in questione non hanno mai fatto riferimento a qualcuno. In questo senso, la decisione della Cassa dei Commercialisti contro questi dipendenti non può che risultare eccessiva e persecutoria, ledendo anche il diritto alla privacy di questi ultimi (vedi Mensurati, Tonacci, 2011, in la Repubblica, 13 febbraio, pp. 1 e 22).
Per non parlare che questa forma di controllo impropria dell'istituzione sui dipendenti è alla Aldous Huxley, dei suoi scritti Il mondo nuovo (Huxley, 1932, tr. it. 1971) e Ritorno al mondo nuovo (Huxley, 1958, tr. it. 1971), o di tipo orwelliano, come nel romanzo 1984 (Orwell, 1948, tr. it. 1973), o alla Fahrenheit 451 di Ray Bradbury (Bradbury, 1953, tr. it. 1989). In questo tipo di letteratura avveniristica si immaginava che la società si sarebbe trasformata in un luogo autoritario nelle mani di un potere dall'alto, che avrebbe avuto un controllo totalitario su tutti i cittadini, anche rispetto alla loro vita privata, un controllo che sarebbe stato allargato anche ai loro stati mentali interiori, una sorta di biopotere sulla mente e sui corpi di ognuno, fino al soffocamento di ogni forma di libertà.
Questi nuovi metodi manageriali, orientati a distruggere i legami sociali tra i lavoratori nelle fabbriche, tra i dipendenti, seguono un disegno, una logica precisa, che a mio avviso a che fare con l'ideologia neoliberista, cioè con l'ideologia dei capitalisti contro le solidarietà dei lavoratori, solidarietà che potrebbe favorire la loro lotta politica contro i soprusi del capitale. La volontà manageriale di distruggere le solidarietà sociali nelle realtà lavorative, di isolare i lavoratori tra loro e di controllarli dall'alto nei loro comportamenti 'autonomi' ha un sapore 'quasi-nazista', fa pensare, con tono minore, certo, a come gli internati venivano trattati nei campi di concentramento, secondo una perversione sadica.
Così è, in fondo, l'ideologia nazista, ideologia codificata nel libro Mein Kampf di Adolf Hitler (Hitler, 1925, tr. it. sesta ed., 1938) che risulta essere delirante e perversa. Il libro è pieno di sciocchezze fanatiche, razziste e necrofile. In un'altra forma, la mente ideologica può anche essere quella del capitalista che ideologicamente distorce la realtà e la riduce alla 'religione del denaro', all'avidità del profitto. Questa assolutizzazione di una rigida e fanatica fede nel perseguire un determinato scopo può prendere forma nell'errore della 'parte per il tutto' (pars pro toto), una sorta di ideologismo che nei suoi agiti violenti non tiene conto delle vite umane che potrebbero essere sacrificate, come del resto abbiamo visto negli eventi della storia, come nelle rivoluzioni e nelle guerre di ogni tempo.
3. Pensiero unico autoritario e ideologico contro pensiero plurale democratico delle idee
Il cosiddetto "pensiero unico" è proprio dei monoteismi, delle monarchie, dell'autoritarismo, del dispotismo, dove le autorità costituite, il potere politico, attraverso la persuasione collettiva della diffusione del credo unico ad opera dei media e, in alternativa o insieme, l'uso del monopolio della violenza legittima dello Stato, attraverso militari e polizia, usati in maniera propria o impropria, impone un unico punto di vista calato dall'alto rispetto a quale visione del mondo adottare, dunque viene imposto un rigido conformismo di massa. I ribelli rischiano la repressione delle forze dell'ordine, anche se l'imposizione del pensiero unico è antidemocratica e dispotica.
In regimi politici dove esiste la democrazia formale, mentre il potere sostanziale può essere gestito in maniera dispotica dal capo del governo in carica, è possibile che vi sia un latente disegno di sovvertimento delle istituzioni politiche, in cui il leader della maggioranza parlamentare mira alla realizzazione di un regime dispotico, riducendo i diritti politici, economici, sociali, culturali dei cittadini, fino alla loro trasformazione in 'sudditi'. Un disegno politico del genere sarebbe la catastrofe della democrazia, e lo Stato si trasformerebbe in un 'giocattolo' nelle mani di un solo uomo, e per 'giocarci' lui solo, escludendo dal gioco tutti gli altri politici che in ogni caso avrebbero un ruolo subalterno, disponibili alla corruzione per ottenere dei vantaggi economici ed extraeconomici, prendendo l'esempio dal comportamento del despota in carica. Tra l'altro, il filosofo Michele Ciliberto, nel suo bel saggio La democrazia dispotica (Ciliberto, 2011), formula una interessante analisi del dispotismo anche in chiave 'democratica' di grandissima attualità.
Per evitare una situazione disastrosa del genere, cioè quella del pensiero unico in un regime politico dispotico, monocratico, monoteistico, il rimedio preventivo è costituito dal pluralismo democratico. Zygmunt Bauman, infatti, considerando gli esperimenti di psicologia sociale di Milgram rispetto all'obbedienza all'autorità, ha degli ottimi motivi per sostenere che il pluralismo permetterebbe a persone considerate "moralmente normali" di evitare di agire comportamenti "moralmente anormali". (Bauman, 1989, tr. it. 1992, p. 228).
Isaiah Berlin, filosofo e storico delle idee, osserva che se un individuo prova piacere nel procurare dolore a un'altra persona e se è consapevole di questo senza scalfire minimamente la sua tendenza a fare del male, allora si tratta di un individuo da "manicomio", piuttosto che da "prigione", un vero e proprio "pazzo"! (Berlin, 1992, tr. it. in 1994, pp. 72-73).
Anche Berlin sostiene l'importanza del pluralismo come "pluralismo dei valori". Nietzsche aveva già sostenuto il pluralismo, e più tardi Max Weber parla del "politeismo dei valori". David L. Miller e James Hillman, nel 1981, pubblicano un libro che si pone apertamente contro il pensiero unilaterale, così sostengono quello che chiamano il "nuovo politeismo" contro la tesi dell'uno del monoteismo, come è possibile constatare in questo loro saggio sulle religioni (Miller, Hillman, 1981, tr. it. 1983). Anche Karl R. Popper, certo, sostenendo il suo punto di vista particolare, come tutti gli intellettuali originali, sostiene con forza la "libertà intellettuale", la più importante delle libertà, e che lo Stato protegga il diritto di ognuno alla libertà quando non danneggia gli altri, in quella che dovrebbe essere una "società aperta" (Popper, 1966, quinta ed., tr. it. 1973).
Purtroppo, nel primo decennio del XXI secolo, abbiamo assistito a una recrudescenza delle ideologie politiche religioso-fondamentaliste, a un revival dei negazionisti dell'Olocausto e dei fanatici nazisti (i naziskin), della pedofilia nella Chiesa cattolica, dell'ideologia del 'potere perverso nudo' come il caso di una élite politica incapace di vergognarsi o di mostrare dei sani sensi di colpa davanti ai misfatti del proprio capo di governo. Non provare il senso di vergogna e un sano sentimento di colpa per se stessi, di fronte ad azioni umanamente riprovevoli, è segno di un narcisismo malato e sociopatico, da parte di individui che rivestono cariche politiche importanti, che considerano il 'soggetto del desiderio' solo in quanto oggetto strumentale per conseguire la soddisfazione della propria libido, in un circolo vizioso di menzogne e corruzione, denaro e messa in vendita del corpo della donna al potente ossessionato dal mito dell'harem.
L'aspetto più tragico e che stupisce nella manifestazione della "parte oscura" della personalità umana e che viene giustificata, da ideologismi che la negano e la rimuovono, è la tesi demagogica che tutti siano fatti allo stesso modo, per cui vengono negate anche le 'differenze' di personalità tra le persone, venendo ad essere massificate in senso anche populistico dai grandi manipolatori della realtà collettiva nazionale, attraverso i media.
Così i cittadini che hanno "piccoli scheletri nell'armadio" sono giustificati ad averli perché ciò viene visto come "normale", se così è allora devono essere giustificati e normalizzati anche "i grandi scheletri nell'armadio" dei potenti, di coloro, cioè, che perversamente gestiscono le istituzioni dello Stato e che sono insediati nei gangli nevralgici del potere.
Il pluralismo democratico, il contrario del pensiero unico dispotico, evita gli ideologismi fanatici, è favorevole alle idee, non agli ideologismi, idee che hanno uno spessore simbolico, che rispecchiano un lavoro della mente, un pensiero, una riflessione, che hanno pure una giocosità immaginativa, dello humour intelligente, al contrario dell'insignificanza delle ideologie dogmatiche che vengono costituite con il solo scopo di manipolare le menti, indottrinarle, come una sorta di 'oppio dei popoli' che si sostituisce alla dinamica della mente attiva, creativa, individuale, alla persona che, in senso emersoniano, ha fiducia in se stessa (Self Reliance) e che a partire da questa posizione si pone in relazione con le altre persone, per un arricchimento culturale e simbolico reciproco. Proprio il saggio Self Reliance (Emerson, 1841, tr. it. 2003) costituisce il bellissimo e incisivo manifesto dell'"individualismo democratico" americano nel secolo XIX, che non ha niente a che fare con la versione dispregiativa dell'individualismo egoista e negativamente narcisista.
I sociologi Anthony Elliot, che insegna in Inghilterra, e Charles Lemert, che insegna negli Stati Uniti, hanno scritto un bel saggio unendo insieme le loro intelligenze sul "nuovo individualismo" nell'epoca della globalizzazione, che comprende fino alla metà della prima decade del XXI secolo (Elliott, Lemert, 2006, tr. it. 2007). Considerano diverse forme di individualismo in relazione ai tempi della globalizzazione, con l'aiuto dei contributi di altri autori. Così c'è l' "individualismo manipolato e costruito", secondo i "teorici critici", o "il tormento del privatismo isolato", di cui parlano sociologi rispettivamente come Bellah e Putnam, oppure c'è "l'individualizzazione istituzionalizzata" di cui ha parlato, tra gli altri, Ulrich Beck. Al di là di queste variazioni, sostengono Elliott e Lemert, l'individualismo è causa di tanti problemi. D'altra parte, l'individualismo problematico nell'epoca della globalizzazione è anche l'individualismo nell'epoca del neoliberismo, con tutte le demagogie e manipolazioni che esso comporta nell'intenderlo 'uguale per tutti' (sic!), come possibilità di realizzazione in realtà astratta, che non tiene conto delle concrete realtà individuali, delle loro coordinate socioeconomiche contestuali, degli svantaggi di partenza che non tutti sono capaci di colmare con le sole proprie risorse personali, senza un aiuto da parte della società.
Se quando nasce l'ideale dell'individualismo si mostra un valore importante, come negli Stati Uniti nella forma già accennata dell' "individualismo democratico", a cui Nadia Urbinati dedica una splendida analisi (Urbinati, 1997, nuova ed. arricchita del 2009), è anche vero che nel corso del tempo si è potuto constatare che "gli ideali dell'individuo libero", secondo Elliott e Lemert, non hanno portato a una diminuzione della sofferenza, semmai l'hanno accentuata (Elliott, Lemert, 2006, tr. it. 2007, p. 162).
Il pluralismo democratico presuppone però una forma di sano narcisismo kohutiano, che in fondo rispecchia quello che si dà come "individualismo democratico" statunitense, almeno quello di tipo emersoniano, ottocentesco, che è ben altra cosa rispetto al contemporaneo narcisismo di massa egotistico, onnipotentemente vuoto, in cui gli 'altri', considerati solo come 'cose', svolgono un ruolo di 'appendice' rispetto alla propria esistenza e alla possibilità di soddisfare, in modo strumentale, qualche motivazione personale. Questa seconda forma di narcisismo è propriamente patologica, e rispecchia le forme di individualismo deteriorato.
Il 'narcisismo sano' è presente nella persona che ha come guida esistenziale degli ideali, come, per esempio, l'architetto Daniel Libeskind, nato nel 1946 a Lodz, di origine polacca e figlio di una famiglia operaia, che riesce ad ottenere una borsa di studio in una benemerita università statunitense che accoglie studenti con scarse risorse economiche, però meritevoli. In quella università Daniel Libeskind ha avuto l'opportunità di conoscere artisti di talento e di fama. Sulla base delle proprie risorse intellettuali e del proprio 'capitale culturale', Libeskind, una volta deciso di risiedere a New York, aspira a realizzare dei progetti ambiziosi di portata simbolica universale, come il Cimitero Ebraico di Berlino, consegnato nel 1999, e il Memory Foundations di Ground Zero a New York, proprio nel luogo dove furono distrutte le Twin Towers l'11 settembre 2001, nel World Trade Center, in seguito all'attentato terroristico aereo dei fondamentalisti islamici, che sarà pronto nel settembre del 2011. Libeskind, del resto, mostra di avere uno spessore spirituale quando parla del suo lavoro di architetto, quando osserva che grande responsabilità delle costruzioni urbane è quella di preservare la memoria (Piccoli, 2011, in la Repubblica, 7 febbraio, p. 42).
Ci sono quei narcisisti furbi che invece di riconoscere e dirlo pubblicamente le fonti da cui attingono le cose che dicono in conferenze o seminari, o che scrivono nei loro articoli o libri, se sono capaci di scriverli, celano i pensieri presi dagli altri, praticamente li rubano attribuendoli a se stessi. Questa pratica ormai è diventata comune a tutti gli intellettuali e gli artisti di ordine inferiore, provinciali, di un narcisismo degradato.
I narcisisti creativi, di ordine superiore, sono capaci di riconoscere i lavori degli altri, il loro pensiero, sono capaci di essere 'umili', di accettare i loro 'limiti', di dire apertamente quanto devono alla creatività delle grandi menti del passato e di quelle a loro contemporanei, e quanto attribuire al loro contributo, anche se modesto. Le menti creative sono capaci di tollerare le ostilità delle menti mediocri, quando purtroppo rapporti di forza istituzionali, o interpersonali, condizionano i comportamenti.
I mediocri invece si credono delle 'personalità', aspirano al potere e al denaro, e una volta che hanno ottenuto questo il loro narcisismo conformista e materialista è soddisfatto, non hanno altre mete a cui aspirare. Se i mediocri che ricoprono ruoli di potere nelle istituzioni non sono sazi dei vantaggi materiali e simbolici che gli danno lo status del loro ruolo, possono entrare in gioco caratteristiche della loro personalità, per esempio qualche perversione, per portare avanti qualche gioco orientato 'a somma zero', di tipo sadomasochista, nell'abusare del loro potere nei confronti dei loro sottoposti negli ambienti di lavoro gerarchizzati nelle istituzioni.
I mediocri se qualche meta ce l'hanno è di solito di ordine inferiore, limitata a piccoli riconoscimenti pubblici, di potere o simbolici. Gli obiettivi carrieristici dei mediocri si raggiungono attraverso la politica e la furbizia, piuttosto che con l'onestà intellettuale, la creatività.
Tuttavia è nell'onestà intellettuale, nello sforzo dell'immaginazione e del pensiero, che si gioca il valore creativo di una persona, lo slancio vitale verso dei valori spirituali, direbbe Henri-Louis Bergson, non nel fingersi, onnipotentemente, più di quello che in realtà non si è.
Certo, non tutti possono realizzarsi nella vita come Libeskind, ma ognuno nel proprio 'orticello' ha pure dei sani ideali e dei progetti che intende realizzare nella propria vita. Quello che è importante, per ognuno di noi, è realizzarsi come persona ad ogni livello di possibilità espressiva, avere fiducia in se stessi, amare ed essere degni di amore, aspirare a una vita creativa, consapevoli in modo favorevole dell'esistenza del Negativo e che il Negativo fa parte della vita, come la malattia, la sofferenza, la morte. Questa consapevolezza non mette in crisi il 'benessere personale', semmai rende più umana la personalità, favorisce l'integrazione delle fragilità di cui ognuno è portatore, e ci fa comprendere i nostri limiti e l'importanza dei legami di interdipendenza e di scambio con gli altri esseri umani.
4. Le perversioni anti-democratiche negli ambienti di lavoro della società civile democratica
Nadia Urbinati in Liberi e uguali. Contro l'ideologia individualista (Urbinati, 2011) realizza un bel saggio dove distingue da una parte l'importanza dell' "individualismo democratico", caratterizzato dal senso di indipendenza personale, tra l'altro, come abbiamo accennato nel paragrafo precedente, di derivazione emersoniana, dall'altra i fenomeni degenerativi dell'egoismo e dell'indiferenza nei confronti del sociale. La Urbinati ci tiene a differenziare l'uno dagli altri, affermando che non sono la stessa cosa.
Nadia Urbanati, professore di Teoria politica alla Columbia University e autrice di autorevoli articoli presso il quotidiano la Repubblica, ha studiato autori come Jean-Jacques Rousseau, Alexis de Tocqueville, John Stuart Mill, Henry David Thoreau, Ralph Wardo Emerson, Walt Whitman, John Dewey, nel suo entusiasmante saggio Individualismo democratico. Emerson, Dewey e la cultura americana (Urbinati, 1997, 2009).
Soprattutto da Emerson comprendiamo il concetto favorevole di 'individualismo', come 'fiducia in se stessi', 'individualismo' che sta alla base della concezione democratica politica e sociale nella parte 'sana' degli Stati Uniti, o almeno così poteva essere prima dell'avvento della globalizzazione neoliberista e dei cambiamenti di mentalità degli statunitensi, dove l'"individualismo democratico" si è deteriorato, prendendo il suo posto quello che potrei chiamare individualismo della truffa di mercato. Lo abbiamo visto cosa ha portato questa forma deteriorata di 'individualismo capitalista egoista' (vedi James, 2007, tr. it. 2008; James, 2008, tr. it. 2009). Ha portato alla Prima Grande Depressione Economica del XXI secolo, a partire dal 2007, a causa del comportamento truffaldino degli agenti economici statunitensi, con quelle truffe tipo i "mutui subprime" con ripercussioni non solo nell'economia degli Stati Uniti, ma, come tutti sappiamo, in tutto il mondo, attraverso le ripercussioni negative sulla Borsa.
In Liberi e uguali, la Urbinati scrive, ad inizio del "Prologo":

"L'identificazione dell'individualismo con una visione della vita che si rispecchia nella massima 'me ne frego' è quasi un luogo comune nel nostro paese. Ma si tratta di un'identificazione sbagliata benché straordinariamente popolare. L'individualismo è il fondamento politico e ideale della democrazia e non è identico né a egoismo antisociale né a indifferenza verso gli altri e la politica. Questo rende la distinzione tra forme di individualismo un esercizio tutt'altro che scolastico e inutile."
(Urbinati, 2011, p. IX).

Così la Urbinati può osservare che l'individualismo democratico è caratterizzato da due fattori essenziali: 1) "la cultura civile dei diritti"; 2) "la cultura morale dell'eguale dignità delle persone". (Ibidem, p. 3).
Il neoliberismo, in quanto ideologia dei ricchi, dei manager che hanno scelto il loro lavoro per fare molti soldi e aspirare a una posizione di potere nelle istituzioni, qualunque esse siano, fanno anche uso della cattiveria psicologica nel gestire i loro ruoli, alquanto sadici. I ricchi, i manager, sono individui che sono estranei al valore del pluralismo democratico, alla realizzazione dei lavoratori anche nella loro individualità nell'ambiente di lavoro. Preferiscono il "pensiero unico", il "pensiero unilaterale", il terrorismo sui subordinati, l'autoritarismo. Il saggio di Michela Marzano indaga questa degenerazione nelle aziende, con conseguenze stressanti per i lavoratori fino al punto di portarli alla disperazione suicidaria (Marzano, 2008, tr. it. 2009). Del resto, anche Lyotard ha parlato del "terrore", nel suo saggio del 1979, nell'ambito dell'università, dei ricercatori, dei professori, dell'uso dell'arma del 'ricatto' rispetto, per esempio, a quale tipo di ricerca impegnarsi, se non si vuole essere sanzionati (Lyotard, 1979, tr. it. quarta ed. 1982).
Ci sono alti dirigenti, per esempio in Italia, che nelle istituzioni usano dei 'trucchi psicologici' per svalutare un operatore subordinato, magari che ha delle qualità e dei meriti, e questo 'trucco' consiste nel guardare il subordinato con uno sguardo bloccante che trasmette, però a torto, la bassa considerazione che l'alto dirigente ha nei suoi confronti, così per abuso di posizione di potere, per mostrare di avere potere sul dipendente. Quello che l'alto dirigente agisce è una forma di maltrattamento morale verso il dirigente sottoposto, una vessazione immorale, dietro la quale ci può essere una perversione del carattere. Potremmo formulare anche l'ipotesi che l'inconscio del mobber sia plagiato dall'ideologia dell'arroganza neoliberista. In questo caso, l'alto dirigente infrange "la cultura civile dei diritti" e "la cultura morale dell'eguale dignità delle persone" di cui parla la Urbinati, in quanto provoca un danno alla dignità personale dell'operatore subordinato, costretto a subire quella vessazione a causa di un rapporto di forza istituzionale a favore dell'alto dirigente. Purtroppo, fino a quando In Italia non ci sarà una legge contro il mobbing e i fenomeni vessatori correlati, come anche l'altro abuso di potere che consiste nel demansionare un lavoratore, ci troveremo in una situazione che è quella hobbesiana, per cui negli ambienti di lavoro chi ha più potere gerarchico si sente autorizzato a vessare perversamente i sottoposti, passandola liscia dal punto di vista istituzionale e legale, essendo il vertice dirigenziale dell'istituzione in ogni caso, 'ad occhi chiusi', dalla parte del mobber che è l'alto dirigente 'con tessera di partito' o no.
Certo, il sottoposto potrebbe anche prendere poi una iniziativa personale per vendicarsi, e qui le conseguenze potrebbero essere tragiche sia per chi agisce l'azione della vendetta, cioè il mobbizzato, che, ribaltando il rapporto di potere, vorrebbe, in balia di quello che mi piace chiamare complesso del Conte di Montecristo, rifarsi delle angherie subite mettendo in atto un'azione violenta nei confronti del vessatore, cioè il mobber, per cui, se ciò dovesse accadere, quest'ultimo potrebbe anche rimetterci la pelle. Se però il soggetto vessato è una persona intelligente non metterà in opera una simile vendetta, ma cercherà dei modi costruttivi e legali per rifarsi sul suo aggressore, al fine di ottenere giustizia.
Certo, ci sono altri tipi di difesa da parte del lavoratore vessato, come quella di denunciare le vessazioni pubblicamente, per esempio rivolgendosi alla stampa, rilasciando un'intervista. I sindacati purtroppo non fanno un granché quando si tratta di difendere un lavoratore dalle molestie morali nel suo ambiente di lavoro, quando si tratta di risolvere una situazione di 'demansionamento' o di aperto mobbing, mostrando di essere anche complici del datore di lavoro. Purtroppo questa è una delle contraddizione dei sindacati dei lavoratori, al di là del loro strombazzare sul web di avere aperto degli sportelli anti-mobbing. Un'altra via sarebbe quella della difesa legale, per cui il lavoratore vessato può trascinare l'istituzione che acconsente ai fenomeni di mobbing di portarla in tribunale per rispondere di queste ciniche malefatte.
La realtà lavorativa è purtroppo dura, soprattutto nell'epoca della deprecabile ideologia neoliberista che è presente in tutte le realtà di lavoro aziendali dell'Occidente, e che ha iniziato a diffondersi a partire dagli anni Settanta del XX secolo, come 'logica contrattuale del mercato', privatizzazione e deregolamentazione, disinteresse dello Stato rispetto a campi di intervento sociale in cui prima mostrava grande interesse, con risvolti negativi relativi a quella che si può chiamare "distruzione creativa" rispetto a istituzioni già esistenti, al welfare State, alla pratica dei legami sociali e affettivi, a modi di pensare e vivere (Harvey, 2005, tr. it. 2007, p. 11).
Ci sono gli alti dirigenti delle istituzioni che sono iscritti al partito politico che mantiene, in forma maggioritaria e di potere reale costituito, il suo 'governo latente' nell'istituzione, dunque alti dirigenti che adottano lo strumento del mobbing, in maniera sistematica e politica, quando vogliono avere ragione rispetto a un sottoposto preso di mira. Questi alti dirigenti sono sicuri di farla franca rispetto alle vessazioni che procurano a un loro sottoposto, che hanno anche la 'grande sensibilità cinica' (sic!) di isolarlo dalle relazioni di lavoro, di punzecchiarlo con false comunicazioni gratificanti, di utilizzare espedienti indiretti, anche visivi, per esempio la presentazione di un documento dove sono elencati i dirigenti di cui il sottoposto fa parte, ma nell'elenco fare apparire il suo nome per ultimo (sic!), e questo per tentare di danneggiarlo nella sua autostima, di comunicargli che nell'ambiente di lavoro 'non è nessuno', dunque per sottrargli potere e influenza sugli altri operatori.
Ogni 'vittima' del mobbing delle realte lavorative è innocente, come lo erano i deportati nei campi di concentramento nazisti, mentre sono i mobber che hanno dei problemi di personalità, correlati alla loro malattia dell'avidità e dell'abuso di potere, oltre che ad essere le situazioni di gruppo e le loro manipolazioni 'relazionali', come direbbe Zygmunt Bauman, immorali. La singola persona non può che essere morale, mentre spesso è la società, i gruppi sociali, come osserva ancora Bauman (Bauman, 1989, tr. it. 1992), a imporre situazioni profondamente immorali. I mobber, invece, sono simili ai negazionisti: 'chi io?, mai fatto vessazioni, per carità!'.
5. Dalle "grandi narrazioni" alle "piccole narrazioni", fino alle narrazioni schizoparanoidi
Nel 1960 il sociologo americano Daniel Bell (1919-2011) ha annunciato la fine delle ideologie, nel suo importante saggio The End of Ideology: On the Exaustion of the Political Ideal in the Fifties (Bell, 1960, tr. it. 1991). Jean-Françoise Lyotard, nel 1979, ha osservato che le "grandi narrazioni" dell'Ottocento , sia quelle "speculative" che "emancipative", sono state liquidate con il sopravvenire della società postindustriale e del postmodernismo culturale. Le "grandi narrazioni", nel nuovo tipo di società e nel nuovo modo di 'fare- cultura', non risultano più credibili. Lyotard, in questo senso, sostiene allora che il cambiamento sia sopravvenuto con la seconda guerra mondiale, con l'affermarsi della tecnica e delle nuove tecnologie, con la svalorizzazione dei fini e la focalizzazione dell'attenzione sui mezzi. Un'altra possibile interpretazione, sostiene ancora Lyotard, potrebbe essere data dal nuovo decollo del capitalismo liberale dopo l'esaurimento dell'impostazione keynesiana dell'economia, nell'intervallo di tempo fra il 1930 e il 1960. Questo rinnovamento del capitalismo liberale ha tolto credibilità al progetto comunista, mentre ha favorito una società in cui gli individui hanno usufruito di beni e servizi (Lyotard, 1979, tr. it. quarta ed., 1982, p. 69). Il discorso di Lyotard, nel suo piccolo ma importante saggio La condizione postmoderna, Rapporto sul sapere, dove sostiene queste tesi, studia la delegittimazione di un certo tipo di narrazione, quelle, appunto, del racconto speculativo della metafisica e quello del racconto dell'emancipazione etica dell'eroe kantiano, o se vogliamo anche del fallimento della ideologica filosofia della storia del progetto marxiano, che nella società postindustriale e nel postmodernismo non trovano più posto, mentre viene tollerata la "piccola narrazione" che è quella che concerna l' "invenzione immaginativa" e che si adatta alla scienza (ibidem, p. 110). Tuttavia, la narrazione, il raccontare storie, rimane importante per la scienza, anche per legittimarsi di fronte alla collettività, per legittimare le proprie teorie. Lyotard non è però un ingenuo, e pone in evidenza come i progetti di ricerca che vengono portati avanti sono quelli che ricevono finanziamenti da parte dei capitali privati, soprattutto in certi settori strategici della ricerca, come quelli che riguardano la possibilità di pervenire a nuove scoperte o invenzioni che poi possono fruttare grandi profitti economici.
Nello scenario politico dell'alba del XXI secolo, invece assistiamo, da un punto di vista psicologico, a quelle che mi viene da indicare con l'espressione narrazioni schizoparanoidi, ossia dei particolari giochi linguistici che esaltano grammatiche che pervertono le regole, non nel senso di innovazioni creative del linguaggio, no, semmai nel senso delle devianze linguistiche che provocano disastri in varie fenomenologie della forma del gioco a somma zero. Per esempio, pedofilia, sesso orgiastico, uso di droghe come la cocaina, terrorismo, uso privato del potere pubblico e delle istituzioni dello Stato democratico. In questo tipo di giochi perversi, i perdenti sono entrambi i giocatori, anche quello che si sente 'forte' e apparentemente 'inattaccabile' rispetto al giocatore più 'debole' o 'indifeso'.
Queste narrazioni schizoparanoidi prendono anche le forme che esaltano i rigidi fondamentalismi, le ideologie della morte (le guerre regionali, la minaccia di guerre nucleari), le razionalizzazioni che pretendono di giustificare la violenza nei confronti dell'ambiente naturale, l'inquinamento nelle sue varie forme. Notiamo anche che la maggioranza degli individui mostra una scarsa sensibilità, una enorme indifferenza, nei confronti della salute della natura.
L'espressione 'narrazioni schizoparanoidi' potrebbe essere considerata come un ossimoro, nel senso che un individuo che ha problematiche psicotiche, borderline e perverse, ha difficoltà a narrarsi, per cui la 'narrazione' e l'assetto dinamico, tuttavia bloccato, della "posizione schizoparanoide" possono risultare agli antipodi, cioè inconciliabili. Per cui una 'narrazione schizoparanoide' potrà sembrare impossibile, ma in realtà il narratore di una psiche scissa e che oscilla tra l'ostilità e l'idealizzazione può essere raccontata, nei suoi vissuti, da un'altra persona che conosce bene il soggetto schizoparanoide, come potrebbe essere uno psicoterapeuta. Del resto, a volte i giornalisti sono molto bravi nei loro resoconti, nelle loro intuizioni, nel diagnosticare certi personaggi del mondo della politica e dello spettacolo, per cui dai loro articoli possiamo cogliere dei ritratti piuttosto somiglianti delle persone di cui parlano.
Le narrazioni schizoparanoidi sono quelle, per esempio, del Mein Kampf di Adolf Hitler, dunque narrazioni deliranti estremamente distruttive, come del resto ci ha mostrato la storia rispetto all'orrore nazista. Questo tipo di narrazioni sono quelle, dunque, della follia omicida/suicida. E' di questi giorni, per esempio, la notizia dell'ingegnere svizzero Matthias Schepp che di fronte alla volontà della moglie Irina di passare dalla separazione al divorzio, ha deciso di uccidere le figlie, le bionde gemelline di sei anni Alessia e Livia, e poi suicidarsi (Pisa, in la Repubblica del 11 febbraio 2011, pp. 20-21). Le 'narrazioni schizoparanoidi', con i dovuti distinguo, possono perciò scatenare soluzioni finali che variano da quelle catastrofico-epocali, come l'Olocausto nazista, a soluzioni finali familiari, di gruppo, individuali, con tutte le possibili variazioni intermedie.
La narrazione schizoparanoide, se non 'curata', degenera, dunque, nell'agito radicale e distruttivo. Così, cambiando scenario, chiediamoci dove può portare vivere nella melma pseudopolitica, l'utilizzo strumentale del potere pubblico per le finalità private e corrotte di un desposta, il ritorno delle pulsioni primarie arcaiche e una ideologia di potere che tende a normalizzare l'incompetenza, l'ignoranza, la barbarie e la corruzione parlamentare, la sua malafede, per radicarsi nel potere in forma antidemocratica e delinquenziale, chiediamoci se questo è il massimo che in questa epoca di crisi si può ottenere, perché se le cose stanno così allora non possiamo che constatare l'involuzione degli stati mentali della classe politica dirigente, anche di una regressione barbara nell'elettorato che sostiene una simile élite del potere indegna in cui 'il peggio' viene esaltato come se fosse 'il meglio', ponendo, inoltre, 'il peggio' come ideologia che orienta l'anti-politica di potere di un governo dispotico, interessato soprattutto ai privilegi del proprio status, infischiandosene cinicamente del 'bene comune' della nazione.
In questo senso, ci troviamo di fronte a un mondo alla rovescia che ha finito per prevalere attraverso 'ideologie dell'arroganza' strumentalizzate da una minoranza pervertita di potere in qualche Paese dell'Occidente. Le rivolte dei cittadini in Tunisia, Yemen, Egitto, Algeria, tra la fine del 2010 e questi primi due mesi del 2011, contro il potere dispotico dei tiranni è già un segnale di cambiamento e di speranza per chi anela alla democrazia.
Che l'Occidente europeo debba riapprendere la lezione storica della rivolta dalle recenti emergenze dei movimenti collettivi dei Paesi nord-africani e medio-orientali, di cui Albert Camus aveva formulato, a suo tempo, una riflessione filosofica in L'uomo in rivolta (Camus, 1951, tr. it. nona ed., 1976), per rimettere il mondo nel verso del "bene comune"? Si tratta di una possibilità che ci auguriamo, ma tutta da costruire storicamente.

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